Costellazioni e tutti i nomi immaginati per questa rubrica di

di 28 Marzo 2025

Costellazioni è una rubrica sulla performance a cura di Alberto Groja. Un atlante in movimento di corpi, pensieri e linguaggi performativi, tracciato tra festival contemporanei e contenuti d’archivio.

Veduta della mostra di Luiz Roque “Estufa” presso KW Institute for Contemporary Art, Berlino, 2024. Fotografia di Alberto Groja.

Dani Blanga Gubbay
Un festival è piuttosto un soggetto che raggruppa
diversi tipi di entità pensanti: lavoratori, artisti,
pubblico… e in più è un’entità pensante in sé. È qui
che sta la sua complessità e la sua potenzialità.

Livia Andrea Piazza
Nello spazio tra le sue parti. 1

Per un attimo – o forse più – la rubrica ha rischiato di chiamarsi “Delirious Italy”, un accenno a Delirious New York (1978) di Rem Koolhaas. Nel suo saggio-manifesto, definisce come Manhattanism2 quella sorta di laboratorio fantastico che diventò il quartiere, dove il reale cessò di esistere a favore di un’immaginazione collettiva. Un ecosistema complesso, così come i festival, fatto di linee di tensione, spazi vuoti, memorie e palcoscenici fantasma per citare Bernard Vouilloux sul lavoro di Giselle Vienne.3 Un luogo iperproduttivo nonostante il delirio, nella costante perdita di un’unica realtà. In questo stato di trasformazione ed energia si collocano gli spazi che esploreremo, quelli che da anni operano nell’immaginazione, grazie al lavoro di curatrici come Francesca Corona, Piersandra Di Matteo e Silvia Bottiroli, che hanno contribuito a costruire un discorso avanzato sulla performatività in Italia. Costellazioni diventa così sismografo di un delirious Italy, un dispositivo critico e poetico per osservare come i linguaggi performativi riorganizzano il reale.

Allora perché costellazioni? Cercando informazioni sul web, scopriamo che sono raggruppamenti di stelle variabili a seconda della prospettiva da cui le osserviamo. Durante un ipotetico viaggio interstellare non riusciremmo più a identificarne alcuna, rendendo ogni sosta vicino a una stella uno spiraglio dal quale scrutarne di nuove, visibili solo da quella prospettiva. Così si muove questa rubrica: senza una posizione fissa, esplorando sguardi, archivi e pratiche performative.

Costellazioni prende forma dal potere trasformativo della performance: non un’entità statica, ma una rete in continuo movimento, dove il significato emerge dalle connessioni tra i suoi elementi. Come una costellazione, che si svela nella relazione tra i punti, anche i linguaggi performativi affiorano nella complessità. Seguendo le traiettorie dei festival di arti performative, la rubrica traccerà un atlante di corpi e pensieri, attraversando spazi che ridefiniscono le forme di spettatorialità, oltre la semplice programmazione.

Nonostante esperienze come Santarcangelo Festival o Xing abbiano esplorato le potenzialità della liveness, la curatela nel campo delle arti performative in Italia è stata teorizzata con evidenti ritardi, preferendo rimanere dentro le gallerie fino a notte fonda, e soprattutto dentro un mercato. Forse l’abbiamo chiamata Costellazioni anche per questo: per quel senso di darkness che si prova di fronte all’immobilità culturale italiana. Un punto di luce in realtà c’è stato, la rubrica curata da Helena Kontova dal 1978 agli anni a seguire: Flash Art Performance. Pubblicata nell’edizione internazionale della rivista, ha tenuto uno sguardo vigile su quello che accadeva a New York negli spazi indipendenti. Negli stessi anni, Kontova ha curato inoltre Teoria della performance, definita come una regolare rubrica di diversi e spesso contradditori interventi sul problema della performance. Fa riflettere, come il performativo tenga dagli anni Settanta a oggi un velo di misteriosità; una distanza che lo ha reso, rispetto ad altre forme artistiche, una forza destabilizzante e politica che, per tutto questo tempo, ha lavorato a ritmi differenti rispetto le arti visive, a volte intercettandosi, ma sempre con il rischio che l’ingresso in gallerie e musei ne privasse la potenza immaginativa.

È fuori dalle gallerie, in strada, dove le cose accadono.

Attraverso Costellazioni non vogliamo considerare l’atto performativo come un’entità singola e calendarizzata, né fare una presentazione formale dei festival. Piuttosto, ci interessa esplorare la complessità che permea questi eventi: i linguaggi, le forme e le riflessioni che generano. La mappatura non seguirà quindi un ordine archivistico, ma tratterà gli elementi allo stesso modo, senza gerarchie. Una progressione geografica, dove le nozioni vengono prodotte dalla costellazione e non dalla successione, rimanendo visibili l’una attraverso l’altra.4

Mi sto accorgendo ora di come il 1978 sia diventato un punto di partenza, o almeno un anno a cui guardare con attenzione. Da Flash Art Performance a Delirious New York, si delinea un archivio di saperi da custodire e portare avanti in questo spazio. Immaginando le forme che potrà assumere questa rubrica, mi viene in mente un altro testo pubblicato nel 1978 e curato da Gianni Celati: Alice disambientata; altro titolo che avremmo potuto rubare, Alice. Perché Alice si muove per spostamenti laterali, senza mai mirare al cuore, alla verità, alla penetrazione.5 Il suo disambientamento, dopo quarantasette anni, è ancora quello che pervade il contemporaneo. E così invade anche questa rubrica, fatta di sguardi annebbiati, talvolta inefficienti.

Dichiariamo l’inefficienza per prendere le distanze da quel termine, performance, ormai abusato in ambienti competitivi. Qui dentro, nessuno ha bisogno di performare. Tantomeno Alice. Lasciamo quindi spazio a tutti i corpi che attraverseranno questa rubrica. Buon ipotetico viaggio interstellare.

Alberto Groja è ricercatore e curatore indipendente. Ph.D. candidate all’Università IUAV di Venezia, conduce una ricerca focalizzata sulla curatela nel campo delle Arti performative.

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