Zuppa Primordiale
Esiste una teoria scientifica che i biologi chiamano la “zuppa primordiale” (o primitiva…), che cerca di definire, modellare o persino riprodurre la prima forma di vita sulla Terra. Questo ambiente prebiotico sarebbe stato il luogo in cui la vita avrebbe preso forma a partire dalle protocellule. Ritroviamo la presenza di una simile zuppa nell’arte di Sylvie Auvray, capace di rivelare i componenti biochimici all’opera nella genesi formale delle sue opere? Sembra proprio di sì, e la sua zuppa si trova nella gesticolazione intellettuale che non cessa mai di abitare la sua riflessione, nella sua ricerca incessante di nuove forme, di mescolanze inaspettate di materiali, tecniche, tessuti, storie, oggetti situati e referenziati che assemblano frammenti culturali e pop-culturali dall’Oriente e dall’Occidente, fonti di nuove opere. Le fonti primarie non verranno ora completamente dissotterrate…
La serie esposta a Milano offre un comfort visivo e un’attrazione cromatica – ricordando le partizioni binarie rilevabili nei suoi Pompon Brooms, che esibiscono sfacciatamente il bastone della majorette, indurito in ceramica colorata e ruvida, esteso con ciuffi di stoppa, nastri crespi di plastica e capelli d’angelo o ruvidi fili di paglia, in agitazione perpetua e gioioso movimento durante le danze delle suddette cheerleader o ragazze pon-pon. Questa volta sono vestite in composizioni bidimensionali in cui pezzi di tessuto approssimativamente rettangolari sono fissati su solidi pannelli di gesso, supporto liscio per eventi pittorici in divenire.
Nel 1966, Lucy Lippard presentò una mostra di otto scultori alla Fischbach Gallery di New York intitolata Eccentric Abstraction. Eccoci qui! Con la pura1 libertà formale che si permette di attingere da tutti i registri delle astrazioni storiche e oltre. Ancora una volta, sarà necessario sfogliare tutte le riviste dimenticate, come Quadrum, che dal Palais des Beaux-Arts di Bruxelles dettava il tono dell’arte moderna, per ricollegare i fili con l’arte di Sylvie Auvray.
Nel 2007, con Seungduk Kim, abbiamo realizzato a Pechino e poi a Seul una mostra ambiziosa in cui The Alliance era sia titolo sia dichiarazione di intenti2. Credo che l’alleanza sia anche al centro del progetto artistico di Sylvie Auvray. Un patto, una cooperazione dominata da un’artista vibrante – vi prego di non interpretare “gesticolazione” o “vibrazione” in senso dispregiativo. Al contrario, devono essere comprese alla luce dei movimenti incessanti delle particelle elementari in fisica, dei pensieri in vortici e in azione che innescano forme, serie, sequenze di oggetti specifici, che sotto il nostro sguardo del 2025 suscitano ancora e ancora stupore, seduzione e attrazione sconfinata.
L’alleanza è fondamentale, poiché implica mutuo soccorso, cooperazione e collaborazione, una vera alternativa “anarchica” alla selezione naturale e aggressiva associata al darwinismo. Basterebbe leggere o rileggere Mutual Aid, a Factor of Evolution di Pierre Kropotkin3, o riscoprire Élisée Reclus, prolifico geografo, comunardo, anarchico, e le sue decine di migliaia di pagine umanistiche e scientifiche che invocano l’uguaglianza e l’empatia descrivendo pazientemente e attentamente una montagna o un fiume che scorre fino a dissolversi nell’acqua marina4.
L’arte è un’attenzione ai legami che conferiscono alla composizione plastica la stabilità necessaria – e la nozione di “squilibrio equilibrato” di Mondrian non è poi così lontana da tutto ciò. Il tutto è più della somma delle sue parti. Un dipinto di qualche anno fa (circa 2018) si aggiunge come contrappunto a Indian Jungle, 5 of Spades, Bonbons, Copy Top, Diamond Towing, Red Roses, Pig Eyes, Palm Spring Towel, 80’s Coffee Beans…. Di buone dimensioni, verticale, la sua superficie è attraversata da larghe strisce di pittura bianca che coprono e ristrutturano la composizione iniziale, della quale solo poche finestre rivelano un frammento del disegno narrativo originale. Inoltre, è stato rimodellato dall’azione del fuoco e da un trattamento superficiale che gli conferisce l’aspetto di un fantasma che ha mantenuto tutta la sua arroganza nonostante gli eccessi. Un’obliterazione (ri)creativa!
Pittrice, Auvray è tutto talento, brio e audacia, e se gli ultimi anni sono stati dedicati alla ceramica con la stessa libertà – in tutte le forme, dai gioielli leggermente punk chic, ai vasi, fino a modellare “peti” rassicuranti a volte, ma non sempre – e a tante altre cose inappropriate ma necessarie in questi tempi di falsa libertà formale e pura restrizione stilistica commerciale. Sempre pittrice, non smette mai di riportare il balletto di pennelli e colori al centro della sua professione. E per quanto riguarda il disegno, questa pratica non devia affatto da queste pratiche disinibite, trovando sempre il suo spazio nel gesto di Auvray. Il gesso liscio, agendo come una tela preparata, accoglie generosamente l’alleanza tra linea e colore, a volte con un graffio qua, il più piccolo colpo di pennello cancellato altrove, e ovunque un’ispirazione sconfinata o una misura perfettamente tradotta in eventi plastici. Il Kunstwerk è ancora vivo oggi e lo sarà negli anni e nei decenni a venire, e vi assicuro che non perderò la mia ammirazione per le sorprese che emergeranno dal suo atelier nel 14° arrondissement di Parigi.
Franck Gautherot