In un panorama culturale sempre più frammentato, “Prada Frames” si distingue come un’oasi di riflessione critica durante la frenetica Settimana del Design milanese. Giunto alla sua quarta edizione, il simposio curato da Formafantasma quest’anno esplora il tema “In Transit”, indagando le complesse trame delle infrastrutture che definiscono la mobilità contemporanea – non solo di corpi, ma anche di merci, dati e informazioni. Abbiamo incontrato Andrea Trimarchi e Simone Farresin, i fondatori dello studio Formafantasma, per approfondire l’evoluzione del loro approccio curatoriale e il significato di un evento che, svolgendosi in location emblematiche come il treno Arlecchino e il Padiglione Reale della Stazione Centrale, invita a ripensare radicalmente il ruolo del design nell’era delle crisi globali. Un dialogo a porte aperte che, senza supporti visivi digitali, riporta al centro la potenza delle idee e la necessità di un pensiero interdisciplinare.
Cristiano Seganfreddo: Questa è la quarta edizione di “Prada Frames” che curate. Come si è evoluto il vostro approccio curatoriale nel corso degli anni, partendo da “On Forest” fino ad arrivare a “In Transit”?
Formafantasma: Il nostro approccio curatoriale è evoluto notevolmente nel corso degli anni, con ogni edizione che riprende dove l’altra ha concluso. Nella prima edizione, “Prada Frames: On Forests”, abbiamo affrontato le urgenti problematiche ambientali legate alle foreste, enfatizzando la loro importanza ecologica, culturale e filosofica. Con “Materials in flux” e “Being Home”, abbiamo iniziato ad esplorare temi più profondi e complessi: la materialità degli oggetti e il loro ciclo di vita, così come l’intersezione tra casa, architettura e sistemi socio-economici. Quest’anno, “Prada Frames: In Transit” segna una naturale evoluzione verso l’affrontare questioni sistemiche di dimensioni più ampie, in particolare il tema delle infrastrutture. Il focus sulle infrastrutture è una risposta alla crescente necessità di comprendere non solo il design degli oggetti, ma i sistemi più ampi che plasmano il nostro mondo. Questa edizione adotta una visione più complessa della mobilità, del design e della tecnologia, riflettendo la nostra convinzione che il cambiamento sistemico sia fondamentale per l’innovazione. Dal punto di vista pratico sin da “Being home” abbiamo deciso di rimuovere ogni schermo o strumento visivo per il simposio. L’idea di avere dele conversazioni non mediate dalle immagini ci sembrava il modo migliore per rendere gli incontri più intimi e sottolineare in modo inequivocabile che il focus in questo caso sono le idee.
CS: Come nasce il tema “In Transit” e perché avete scelto di concentrarvi sul concetto di infrastruttura per questa edizione?
FF: “In Transit” nasce dalla crescente consapevolezza della complessità che circonda le dinamiche di mobilità e infrastruttura nel mondo in cui viviamo. La mobilità è centrale per la nostra vita quotidiana, eppure spesso ignoriamo le forze che ne governano l’accesso e l’equità, e per mobilità non intendiamo solo quella dei corpi ma anche dei dati, delle informazioni, delle merci. Abbiamo scelto di concentrarci su questo concetto per esplorare come le infrastrutture influenzino non solo il movimento fisico, ma anche quello sociale, economico e culturale. Questo approccio tende a mettere in luce le contraddizioni e le ingiustizie associate alla mobilità, enfatizzando la necessità di riflessione critica sulle politiche che definiscono il nostro accesso al mondo. In aggiunta, pensiamo sia sempre importante fare delle scelte contestuali. “Prada Frames” si tiene durante il Salone Del Mobile. Gli oggetti che saranno presenti in fiera e in città non esisterebbero se non grazie una infrastruttura complessa. Riconoscerne l’esistenza e i funzionamenti è l’unico modo per fare scelte consapevoli, come designers e come cittadini.
CS: In che modo “In Transit” si inserisce nel vostro percorso di ricerca come studio Formafantasma?
FF: “In Transit” rappresenta un ulteriore passo nel nostro impegno a decostruire le narrazioni prevalenti legate al design e all’architettura. Come studio, abbiamo sempre cercato di esplorare le intersezioni tra materiali, processi e contesti sociali. Questo simposio si allinea perfettamente con la nostra ricerca attuale, che si concentra sull’analisi delle reti di approvvigionamento e distribuzione, nonché sull’impatto ambientale e sociale delle scelte progettuali. Mostre come quella che abbiamo fatto alla Serpentine Gallery che si chiamava “Cambio” e guardava alla produzione di legname o quella attuale allo Stedelijk di Amsterdam sulla lana e la relazione complessa che abbiamo con gli animali, vanno nella stessa direzione di “Prada Frames”. Esplorare l’infrastruttura significa per noi indagare non solo gli oggetti, ma anche i sistemi che li generano e li distribuiscono.
CS: Quest’anno avete scelto location molto particolari: il treno Arlecchino e il Padiglione Reale della Stazione Centrale. Come queste scelte amplificano il messaggio del simposio?
FF: Le location selezionate sono emblematiche della connessione tra design e mobilità. Il treno Arlecchino, un capolavoro del design italiano del dopoguerra, incarna l’idea di viaggio e progresso e rappresenta una parte della produzione di Ponti meno conosciuta. Ci piace sia il progetto meno borghese di Ponti. Mentre il Padiglione Reale rappresenta la storicità delle infrastrutture legate al trasporto. Questi spazi non solo fungono da palcoscenico per le nostre discussioni, ma amplificano il messaggio del simposio. Utilizzare questi luoghi storici per un dialogo contemporaneo permette di tessere una narrazione che è sia locale che globale, evidenziando il ruolo del design nel plasmare le esperienze. Come accennato precedentemente, da due anni le conversazioni avvengono senza nessun supporto visivo digitale. E’ il luogo in cui si tengono gli incontri che come dice il nome del simposio “Prada Frames”, viene contestualizzato in modo diverso.
CS: Avete coinvolto figure molto diverse tra loro come Paola Antonelli, Hito Steyerl e Kate Crawford. Quali criteri avete seguito nella selezione dei partecipanti?
FF: La selezione dei partecipanti è stata guidata dalla volontà di includere voci molto diverse e che potessero espandere il dibattito sulle infrastrutture. Ogni relatore porta una prospettiva diversa, attingendo a discipline come la filosofia, l’ecologia, l’architettura e l’attivismo sociale. Ad esempio, Paola Antonelli esplorerà le dinamiche della circolazione di beni e potere, mentre Hito Steyerl affronterà le implicazioni politiche delle immagini nel contesto delle infrastrutture digitali. Abbiamo cercato di creare un programma che stimoli il dialogo critico e metta in discussione le idee precostituite e tradizionali sul design e la mobilità. Di sicuro quando abbiamo iniziato a lavorare a questa edizione di “Prada Frames” ci siamo posti un obiettivo, quello di riconoscere la tensione tra la facilità con cui le merci e i materiali circolano più o meno liberamente sul pianeta (perlomeno sino ad oggi), in contrasto ai limiti imposti ai corpi. Avremo alcuni interventi che guarderanno proprio a questo come per esempio quello di Marta Foresti di Lago Collective.
CS: In che modo il formato del simposio permette di esplorare tematiche complesse in modo più efficace rispetto ad altri formati espositivi?
FF: Ogni formato nasconde al suo interno sia possibilità che problematiche. Nella nostra pratica infatti siamo abituati ad usare una commistione di formati che vanno dal simposio, alle pubblicazioni, alla mostra, alla produzione di materiali audiovisivi. Se dovessimo contrapporre per rispondere alla tua domanda, le possibilità che il simposio offre a confronto con il formato mostra, diremmo che sta esattamente nella riduzione o mancanza di apparato visivo. La mostra è una esperienza spaziale, il simposio ha una dimensione maggiormente performativa. La performance o semplicemente assistere con il proprio corpo ad una esperienza dal vivo, è in questo momento estremamente interessante. E’ essere presenti qui ed ora. L’artificio è minimo. Considerando come siamo esposti costantemente a immagini e artefici, il simposio richiede invece di condividere con più persone delle idee, in modo collettivo e radicato alla realtà . Questa interattività è fondamentale per affrontare tematiche complesse, poiché permette di esplorare diversi punti di vista e di co-creare conoscenza collettiva.
CS: Qual è il vostro rapporto di collaborazione con Prada? Come si inserisce questa iniziativa all’interno della visione del brand?
FF: Non spetta a noi dire come “Prada Frames” si inserisca nella visione del brand. Detto questo, per noi è evidente che questo progetto potrebbe esistere solo con Prada. Nessun altro brand avrebbe mai creduto che un progetto come questo, quasi accademico, potesse funzionare. La Signora Prada ha una visione critica e attiva in ogni aspetto del brand ed è particolarmente attenta agli output culturali. È stata proprio lei a incoraggiarci a sviluppare il formato partendo esclusivamente dai contenuti e a non compromettere in alcun modo la visione di “Frames”. La Signora non ha mai trattato “Prada Frames” come un progetto di marketing, ma come un progetto culturale dedicato alla ricerca. Forse una cosa che ci sentiamo di dire è che dobbiamo tutti avere più fiducia nella capacità delle persone di interagire e apprezzare contenuti complessi. “Prada Frames” non tenta mai di semplificare ciò che è complesso, ma piuttosto di proporlo con chiarezza e senza compromessi. In tal senso, il nostro rapporto con Prada è ottimo. In studio, a volte con i ragazzi che lavorano per noi, ci siamo chiesti quale sia il modo migliore per valutare un lavoro che stiamo sviluppando con un cliente. Abbiamo capito che il vero valore che fa la differenza è l’ammontare di apprendimento che è possibile ottenere dall’interazione con il cliente e dalla costruzione dell’outcome richiesto. “Prada Frames”, in questo senso, è l’ideale.
CS: “Prada Frames” si svolge in parallelo al Salone del Mobile ma con un focus sulle idee piuttosto che sui prodotti. Che tipo di dialogo cercate di instaurare con l’evento principale della Design Week?
FF: Mentre il Salone celebra la creatività attraverso la presentazione di oggetti, noi vogliamo spingere i partecipanti a riflettere sul contesto più ampio in cui questi oggetti esistono. Vogliamo porre domande sulle pratiche di produzione, distribuzione e consumo, e su come queste influenzino il nostro ambiente e le nostre vite quotidiane. Il nostro obiettivo è quello di creare un ponte tra la creatività tangibile del Salone e le idee astratte che possono guidare il futuro del design. Quando abbiamo iniziato a lavorare a “Prada Frames” avevamo un obiettivo: fornire la miglior piattaforma di riflessione critica sulla contemporaneità durante uno dei più grandi eventi di design, moda e marketing globali. La città attira professionisti e studenti da tutto il mondo. Di sicuro Milano in questa settimana non aveva bisogno di più aperitivi, feste o mobili.
CS: Il comunicato menziona “la convinzione che la ricerca intellettuale e il dialogo interdisciplinare possano agire come veicoli di progresso”. Cosa significa concretamente per voi questa frase?
FF: La conoscenza occidentale, così come è strutturata, spesso compartimenta i diversi campi-sia che si tratti di ingegneria, filosofia, antropologia o arte-ognuno esistente nel proprio silo. Questa frammentazione ha lo scopo di creare competenze in ambiti ristretti, il che è perfetto per una specializzazione profonda. Temiamo però che questa struttura derivi maggiormente dalle necessità dell’efficenza produttiva più che da una visione sofisticata del mondo. Questo focus sulla specializzazione infatti porta inevitabilmente ad una frammentazione delle responsabilità, rendendo difficile risolvere problemi complessi che esistono all’intersezione di diversi campi. Lo abbiamo visto in modo eclatante con la difficoltà della comunità scientifica in relazione al cambiamento climatico. Problemi come questo o le disuguaglianze o l’urbanizzazione non possono essere risolti esclusivamente attraverso una sola prospettiva come l’economia o la tecnologia. Questi problemi richiedono il contributo delle scienze ambientali, della teoria sociale, della politica, del design e oltre.
CS: In che modo pensate che un evento come “Prada Frames” possa avere un impatto concreto sulle pratiche di design contemporanee?
FF: “Prada Frames” è un’iniziativa che sposta l’attenzione del design (che sia design del mobile, degli abiti o delle architetture) da una mera questione estetica o formale a una considerazione più profonda del suo contesto e impatto. Questo approccio è cruciale perché, nel mondo di oggi, il design è spesso visto come qualcosa che riguarda principalmente la creazione di cose esteticamente piacevoli come viene rappresentato nelle riviste, nei media e persino anche nei musei. Questa comprensione ristretta può offuscare il vero potere del design di dare forma al mondo. Quando parliamo di design, dovremmo pensare a molto più di semplici oggetti—il design non è limitato ai prodotti o agli spazi fisici. Esso comprende anche abbigliamento, sistemi, servizi e infrastrutture che influenzano profondamente il modo in cui viviamo, lavoriamo e interagiamo con il mondo. “Prada Frames” si dedica all’idea che il design non sia solo estetica superficiale. In questo modo, l’evento può avere un impatto tangibile sulle pratiche di design contemporaneo, ridefinendo il modo in cui designer, professionisti del settore e il pubblico pensano al loro lavoro. Li incoraggia ad adottare un approccio più critico ed espansivo.