Antonello Tolve: The Shivering: The Third Degree è il titolo che hai scelto per rappresentare il Padiglione croato alla 56ma Biennale di Venezia. Puoi raccontare il progetto che proponi al pubblico?
Damir Ocko: Il progetto proposto per il Padiglione della Croazia a Venezia ruota intorno a due miei recenti film: TK che è stato fatto nel 2014 e rappresenta il nucleo del progetto Studies on Shivering a cui ho lavorato negli ultimi anni, e The Third Degree, un nuovo film realizzato appositamente per il padiglione che apre un nuovo territorio riflettendo simultaneamente su alcuni aspetti di TK e tematiche in cui mi sono imbattuto riguardo al modo particolare in cui TK è stato filmato. Tra i due film in mostra c’era un vasto spazio in cui altri lavori come installazioni sonore, oggetti, poesia e lavori su carta includono il rapporto di fondo tra i due film. La mostra comunque non è solo sulla relazione tra i due film, ma potrebbe essere intesa come chiave di volta per indagare le tematiche che i lavori stessi prendono in esame. TK è un film sulla violenza, girato in maniera molto violenta. Questo è qualcosa a cui The Third Degree si riferisce. Una sorta di circuito di responsabilità politica che non evita l’auto-critica e l’approccio analitico per rendere un argomento consistente.
AT: C’è un rapporto con “All the World’s Futures”, il concept scelto da Okwui Enwezor?
DO: Mi piacerebbe credere di sì. Vedi, c’è un’idea di solidarietà che mi interessa molto. La solidarietà che si evolve dal violento “insieme” nelle ultime sezioni di TK towards The Third Degree dove attraverso un caleidoscopio, le immagini riflesse creano un’altra idea di “solidarietà” che ingloba le questioni di colpevolezza e responsabilità collettiva.
AT: Il corpo come parole, come luogo poetico, come un suono, rumore, segnale, segno, come ordine e disordine, è al centro di un paesaggio contemplativo da cui prendi le distanze per esplorare l’uomo contemporaneo nelle varie società compromesso dalle politiche internazionali e dall’economia. Come configuri le tematiche del corpo nello scenario che proponi per il Padiglione croato?
DO: La spina dorsale del progetto traccia una relazione tra il corpo e il suo contesto politico. Il corpo come rappresentazione del panorama sociale. In TK ci sono due interruzioni fisiche che ho osservato. Innanzitutto c’è un vecchio uomo con il morbo di Parkinson a cui ho chiesto di scrivere le linee che iniziano con la parola “tranquillità” su carta. Egli scrive la tranquillità con inquietudine. Poi ci sono scene in cui ho chiesto a giovani uomini di tremare nudi in un gelido giorno fino a che il loro corpo non ce la faceva più. È un lavoro sul mostrare i meccanismi di controllo. Il corpo umano che rabbrividisce quando non si ha più controllo su di esso. In The Third Degree, esprimo il ruolo della camera in maniera differente, mostrando i loro corpi che performano, integrando loro stessi insieme al soggetto del film, ovvero corpi di donne fortemente spaventate dal fuoco. Così mentre continuo con il soggetto, allo stesso tempo rendo noi stessi, il gruppo, la macchina da presa, una simbiotica parte di esso. Questa è l’idea di solidarietà.
AT: The Third Degree, il nuovo video che presenti in Biennale, insieme a TK, è un capitolo inedito di una ricerca che hai sviluppato per un certo periodo. In che modo questi due momenti si relazionano e come si affrontano?
DO: TK e The Third Degree offre due differenti esperienze. La prima è piuttosto un’esperienza con varie scene, recital poetici e musica chiusa in un movimento segnato. Ciononostante, The Third Degree d’altra parte è più aperto, naturale. Nonostante differenti approcci formali, i due film sono legati tra loro. The Third Degree è un’autopsia cinematografica di certi aspetti di TK.
AT: Le tue mostre personali “Studies on Shivering: The Hunt” (Kasia Michalski Gallery, Varsavia 2015), “Studies on Shivering” (Künstlerhaus Halle für Kunst & Medien, Graz 2014), “The Body Score” (Yvon Lambert Gallery, Parigi 2013), “The Kingdom of glottis” (Palais de Tokyo, Parigi 2012) e “We saw nothing but the blue uniform of the Sky” (Galleria Tiziana Caro, Salerno 2012) sono un dialogo tra cinema, poesia, disegni e collage. Questa inclinazione trans-semiotica è una necessità e quanta importanza ha nell’organizzazione del padiglione?
DO: Si tratta di un aspetto importante della mia mostra. Non solo mostrare il procedimento che c’è dietro, ma presentare i miei video come uno spazio espanso. La mostra offre molto di più di una proiezione per me e sono propenso a espandere i film attraverso altri lavori lì dove è possibile. Le preoccupazioni principali erano di trovare un modo per espandere le poetiche dei film ovunque, forse addirittura in lavori completamente differenti. Ma c’era la questione di come gli oggetti che vengono dai film si comportano nel contesto della mostra. Ho deciso di includere oggetti come per esempio poesie e installazioni di specchi che derivano direttamente dai film. Quello che ha fatto capovolgere la mia idea era che per esempio l’installazione in The Third Degree ha un ruolo differente di quella in mostra. Nel film rimbalza verso lo schermo gli organi interni del film, togliendosi la pelle, abbraccia il pubblico. Concettualmente parlando questo completa il cerchio, indicando le parole chiave come per esempio “solidarietà”, nella prospettiva di ciò che la mostra può essere.