Nell’epoca della globalizzazione, delle nuove economie e della crisi del capitalismo, le abilità artigianali vecchie e nuove, il “saper fare a regola d’arte”, acquistano sempre maggior rilevanza. Capita nei Paesi emergenti, come l’India, dove si investono le maggiori risorse proprio nella formazione professionale, ma anche in Occidente: la tendenza al do it yourself, indotta anche dalla recente crisi, ha prodotto fenomeni come la cosiddetta Pro-Am Revolution dell’eclettico Charles Leadbeater ma anche esperienze come quella di Matthew Crawford che, smessi i panni del colletto bianco a Washington, ha aperto un negozio di riparazione di cicli e moto. Il suo libro, Il lavoro manuale come medicina dell’anima, sembra una riedizione in chiave contemporanea dell’ottocentesco Walden di Henry David Thoreau, quasi il mito di un nuovo ritorno alle origini. Il sociologo statunitense Richard Sennett, nel suo recente L’uomo artigiano ha approfondito la riscoperta dell’“arte del saper fare” dandone una valenza etica, di riscatto delle virtù civili e individuali insite nell’attività della poiesis.
Il progetto della Galleria Comunale d’Arte Contemporanea di Monfalcone indaga le implicazioni derivanti dal confronto dell’arte contemporanea con l’artigianalità nei diversi campi d’applicazione, dalla musica al design, all’architettura. E lo fa non tanto sotto un profilo puramente tecnico né mettendo al centro il prodotto finale, ma piuttosto, con Sennett, indagandone le conseguenze etiche e antropologiche.
Quando Pierre Bismuth manipola oggetti e ambienti aprendoli a nuove ipotesi di senso, egli rivendica la legittimità dell’atto creativo anche attraverso la sovversione e il fallimento. Così la struttura gotica edificata nell’ingresso della galleria da Christian Eisenberger prevarica gli spazi razionali neutralizzandoli con una sorta di fantasma architettonico fatto di tubi di cartone. Il gesto dell’homo faber si pone come antidoto al dominio dell’immaterialità ed esalta il valore della sedimentazione delle esperienze, riscatta la concezione modernista del tempo connessa all’idea di progresso.
Per Jay Heikes il passato è una persistenza in eterno disfacimento che ammanta il dato reale, condizionandolo ineluttabilmente; Jorge Pardo e Atelier Van Lieshout rivelano attitudini generative e biomorfe dell’architettura e della scultura.
Già negli anni Trenta del secolo scorso anche Simone Weil sottolineava le qualità etiche del lavoro artigianale, della libertà creativa svincolata dal dominio del prodotto mentre più in là Walter Gropius, nel Manifesto del Bauhaus, inneggiava alla perfezione del mestiere come fonte di immaginazione e ispirazione.
Per Anna Galtarossa e Daniel González gli oggetti sono entità stratificate che finiscono per perdere vocazione funzionale e si fanno veicoli di messaggi universali, mentre l’autoritratto di Sissi è l’ossessiva accumulazione di una manualità antica. Di deriva antropologica è anche l’opera di Nico Vascellari, che rimanda a una ritualità ancestrale, mentre Oscar Tuazon mette al centro dell’attenzione la sostenibilità dell’operare umano nel rispetto dell’ambiente e della natura che ci circonda.