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23 Febbraio 2017, 11:04 am CET

David Adamo di Gabrielle Giattino

di Gabrielle Giattino 23 Febbraio 2017
Untitled (Moonlight; 2008). Veduta dell’installazione presso lo studio di Jota Castro, Bruxelles. Courtesy Fruit and Flower Deli, New York. Foto: The Keeper.
Untitled (Moonlight; 2008). Veduta dell’installazione presso lo studio di Jota Castro, Bruxelles. Courtesy Fruit and Flower Deli, New York. Foto: The Keeper.
Untitled (Moonlight; 2008). Veduta dell’installazione presso lo studio di Jota Castro, Bruxelles. Courtesy Fruit and Flower Deli, New York. Foto: The Keeper.

Gabrielle Giattino: Vorrei iniziare parlando di alcuni tuoi lavori del 2004-2005; opere che abbiamo definito “incidentali”. In una pedinavi di nascosto un tuo amico e, ossessionato dai suoi scarti, creavi un archivio delle sue tracce e informazioni.

David Adamo: All’epoca in cui realizzai Macgregor Card vivevo in uno sgabuzzino, letteralmente… il mio studio era due volte il mio letto. Durante il giorno mettevo il materasso in verticale e sotto c’era un piano che utilizzavo come tavolo. Fondamentalmente avevo quattro scomparti per riporre la mia roba: due per i vestiti e due per le mie collezioni. Non c’era molto spazio per creare oggetti, così iniziai a collezionare piccole cose. All’inizio occupavano tutto il ripostiglio, erano sotto il letto, tra le pagine dei libri, in mezzo ai vestiti piegati o dentro i calzini. Solo verso la fase finale del progetto portai tutti gli oggetti da mio padre e “archiviammo” tutto insieme. La calligrafia delle annotazioni è la sua.

GG: C’è un elemento ricorrente nel tuo lavoro, queste piattaforme/rialzi che si trovano nelle tue installazioni dal… forse dalla Biennale di Atene del 2007? Come sei giunto a questa forma e com’è entrata a far parte delle tue installazioni?

DA: Nel 2007 mi sono trasferito in un altro alloggio di fortuna a Bushwick. Vivevo in una specie di stanzetta. Mi ricordava un pollaio perché quando mi ci sono trasferito c’era della paglia in terra e tanti piccoli scomparti in legno. Il soffitto non era alto a sufficienza per stare in piedi, ma se ci si sdraiava era abbastanza confortevole. Questa stanza si trovava all’interno di un enorme spazio per eventi chiamato Starr Space. In pratica lavoravo come custode per pagarmi l’alloggio. Era fantastico perché per il 90% del tempo avevo l’intero spazio a mia disposizione. È lì che ho imparato a ballare il valzer. Mi ritrovavo sempre a pulire dopo gli eventi, riordinavo le sedie e gli altri mobili. Questa fu la mia ispirazione iniziale per le installazioni realizzate negli ultimi anni. Le pedane ricorrenti nei miei lavori si ispirano fedelmente a quelle che dovevo spostare quando mi trovavo nello Starr Space.

GG: Perciò la tua abilità stava nel considerare le pulizie e riordinare come una specie di danza; lo spostare gli oggetti in giro per questo  grande spazio è diventata la parte performativa delle tue installazioni. Credo che il fatto straordinario nella tua pratica sia la tua capacità di adattarti e di trovare ispirazione nei posti più banali e in situazioni abitative difficili. Quando ti sei trovato a non avere nulla per creare un’opera, l’hai creata dal nulla — con ottimi risultati.

DA: Dopo anni di vita in situazioni abitative precarie, ho immagazzinato molta frustrazione e tensione, e penso che ciò sia molto evidente nelle mie recenti sculture. Sopravvivere non è facile. Molti di noi (artisti) erano in serie difficoltà, anche al picco del boom economico dell’arte. Ora che c’è la crisi economica sto meglio che mai; penso che sia il momento migliore per uno che fruga nella spazzatura. 

Gabrielle Giattino è co-fondatrice di Dispatch, New York. Vive e lavora a New York.

David Adamo è nato nel 1979 a Rochester (USA). Vive e lavora a Berlino.

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