“A Matter of Life and Death” è il titolo del progetto espositivo a cura di Jenni Lomax presso la galleria Thomas Dane di Napoli. La mostra deve il nome a un film hollywoodiano del secondo dopoguerra, dove una rovinosa caduta aerea diventa l’inizio di un’altra vita. Nella pellicola l’atmosfera è quella di un disastro che si annuncia, mentre la vita, ciclicamente, si rinnova. Dal film americano si passa al territorio partenopeo, caratterizzato da forze energetiche e primordiali: le aree vulcaniche del Vesuvio e dei Campi Flegrei. Nutrendosi di tali suggestioni, la mostra raccoglie opere realizzate in argilla. Ceramica, smalti, porcellane, lava, rocce, elementi vegetali, fuoco, acqua, umidità, elementi organici e inorganici appartengono alla stessa economia energetica di terra e aria, organizzati secondo regimi diversi di processualità. Le opere della mostra sono state eseguite con artigianalità, sviluppate da forze contrarie. Tra fragilità e resistenza, e coinvolgendo plasticità ora anatomiche ora informi, sono prove poetiche e materiche dell’effimera e sensuale vulnerabilità dell’esistenza e delle innumerevoli possibili relazioni con la materia.
Gli artisti in mostra non hanno solo una pratica legata all’argilla, ma si sono misurati con essa in virtù delle proprietà di distruzione e vitalità che questa propone. Tali polarità sono presenti nella serie di sculture di Lucio Fontana, disseminate in varie sale, in forma ovale e di tavoletta, le quali rivelano spazialità, senso di naturalezza e sensualità verso la materia. La precarietà della natura rientra pienamente sia nella fragilità dell’argilla sia nei suoi processi di lavorazione. Le porcellane di Andrew Lord, ad esempio, assecondano queste precise caratteristiche e sono realizzate intenzionalmente in maniera imperfetta. I cerchi di rondini e carciofi suggeriscono, anche grazie alla luce naturale della sala in cui sono esposti, una temporalità che dischiude cicli stagionali di vita e morte. L’argilla, non a caso, è la materia con cui per secoli la civiltà umana ha prodotto i propri contenitori. Come per la nota “carrier bag” – a cui la visionaria scrittrice Ursula K. Le Guin ha attribuito la forma di una sporta o di un sacchetto per la spesa – la ceramica per le sue proprietà di infinita malleabilità può prestarsi al gioco del racconto. Non necessariamente prometeico o apocalittico, né progressivo e lineare, o tecno-eroico. Piuttosto, come ci raccontano le opere in mostra, rivolto alle forze della fragilità, ai tentativi di sopravvivenza e di distruzione.
La fontana e il candelabro di Phoebe Cummings sono ricavate da un processo continuo di conflitto e armonia che, a contatto con l’aria, il sole e l’acqua, decade fino a ridursi in minuscoli granelli di polvere; i vasi chiamati Farfalle di Chiara Camoni mimano in maniera totemica ambiguità antropomorfe mentre accolgono al loro interno elementi vegetali; le sculture di Lynda Benglis presentano un continuo movimento, un annodarsi della materia e il rilascio dopo un simile gesto; l’aria e la luce attraversano delicatamente i trafori delle superficie ondulate e concave delle sculture di Lawson Oyekan, le quali spesso incorporano testi in inglese o in lingua Yoruba; i voluttuosi vasi di Magdalene A. N. Odundo sono delle terrecotte arrotondate dalla caratteristica superficie levigata, realizzate con una tecnica di svuotamento da una forma di argilla; le sculture di Philip King sembrano dei piccoli guerrieri feriti e vulnerabili.
Alcune opere esposte, nonostante la loro valenza formale, hanno un carattere piuttosto performativo. Keith Harrison, ad esempio, non produce ceramica, ma la utilizza come medium o pretesto per narrare configurazioni stranianti afferenti alla realtà; i frammenti di Anya Gallaccio, dal titolo Beautiful Minds, sono stati emessi da una stampante 3D con cui l’artista ha voluto replicare il volume di una montagna statunitense; con i contenitori rigonfi Witch Bottle e la gigantesca collana con grani in ceramica, Serena Korda ha indagato le possibilità sonore di oggetti legati ai miti greci o celtici.
La mostra configura una costellazione di sopravvivenze materiche e spirituali, di simbolismi e camouflage mimetici, sensualità e fragilità, ricolme e cosparse di energia.