Gli eremi, luoghi mistici e religiosi, spesso immersi nella natura, dove raccogliersi per godere della pace oerta, in Abruzzo sono scavati all’interno della montagna, mimetizzati nella roccia. Insieme a uno dei fondatori, Silvano Manganaro, ripercorriamo la genesi e lo sviluppo del progetto Eremi Arte.
Ilaria Gianni: Come avete riscoperto questi luoghi remoti e sconosciuti e, soprattutto, pensati come spazi per accogliere opere d’arte site specific? Cosa intendevate rivelare tramite l’apertura di questi luoghi agli artisti?
Silvano Manganaro: L’intuizione di far intervenire artisti contemporanei all’interno degli eremi abruzzesi è stata di Marco Brandizzi, artista romano e, all’epoca (parliamo del 2016), direttore dell’Accademia di Belle Arti L’Aquila. Un’idea innanzitutto poetica, adata poi a tre docenti: Maurizio Coccia, Enzo De Leonibus e me, che avevo appena iniziato a insegnare a L’Aquila. Confesso che l’approccio fu eroico e pieno di entusiasmo. Si voleva sottolineare l’elemento della spiritualità ma non in senso religioso, quello che ci interessava era portare l’arte contemporanea in luoghi inaccessibili, sottolineando come il gesto artistico non brama necessariamente grandi folle e possa essere anche lasciato alle intemperie, alla mercé del tempo e dei viandanti. In qualche modo quello che ci interessava era la radicalità del gesto dell’eremita. Confesso però che l’approccio fu plurale, invitando il primo anno ben ventuno artisti, anche molto diversi tra loro, così come lo erano i siti: si andava dalla grotta raggiungibile solo con ore di cammino a luoghi di culto molto frequentati. Quello che ci interessava era far incontrare, quasi casualmente, pubblici diversi: da un lato un turismo religioso o legato all’escursionismo che si imbatteva – fortuitamente – in interventi di artisti contemporanei; dall’altro gli appassionati d’arte che magari, per vedere l’opera di un artista che apprezzavano o perché incuriositi dal progetto, si avventuravano in luoghi che difficilmente avrebbero pensato di visitare.
IG: Il rapporto tra spiritualità e natura, tra cammini mistici e aree naturali protette e incontaminate, in qualche modo ore una faccia dell’identità storica dell’Abruzzo. Dalla Morgia attribuita a Sansone, alle fate abitanti delle grotte, dai boschi sacri, alle streghe curatrici, dai lupi mannari ai pesci luminosi, l’Abruzzo è patria di storie, racconti popolari e affascinanti leggende che creano un forte legame tra tradizione popolare, religione, territorio e ambiente naturale. Quali sono state le storie che più hanno ispirato Eremi Arte?
SM: Non parlerei di storie specifiche. Innanzitutto invitammo Edoardo Micati, autore di un importante libro sugli eremi abruzzesi, a tenere una lezione in Accademia, come fonte iniziale di ispirazione e formazione. Poi i racconti sono emersi parlando di volta in volta con la gente del posto: i parroci, i volontari che custodiscono questi luoghi, ma anche la gente comune. Alcuni artisti, penso a Moira Ricci ma non solo, hanno fatto di queste chiacchierate il tema del loro intervento. Per tutti, in ogni caso, è stata una scoperta di tradizioni, di contesti antropologici, sociali e paesaggistici incredibili.
IG: Come avete accompagnato gli artisti nell’ascolto degli spazi, e nella relazione processuale con l’eremo a loro assegnato?
SM: Diciamo che ci è voluto un pizzico di follia per affrontare un progetto come Eremi. Ventuno siti il primo anno e undici il secondo. Questo voleva dire fare almeno due-tre sopralluoghi per ogni intervento. Paesi che sulla mappa sembrano vicinissimi, nella realtà sono divisi da montagne impervie o strade impercorribili. Personalmente ricordo di aver rischiato di non scendere più a valle in almeno due occasioni, quando istallavo o smontavo i lavori di Alice Cattaneo alla Madonna del Cauto e di Calixto Ramírez a San Giovanni all’Orfento. Riguardo invece il percorso di accompagnamento concettuale, il primo sopralluogo con gli artisti è stato fondamentale, per far loro respirare lo spirito del luogo e comprendere il contesto. Quasi nessuno aveva un’idea prestabilita di che tipo di lavoro realizzare, quindi non restava che mettersi in ascolto. In alcuni casi abbiamo dato vita a delle vere e proprie mini-residenze, in altri l’artista ha subito individuato il focus e ha lasciato a noi (curatori e studenti) l’istallazione. Se in alcuni casi la nostra mediazione è stata fondamentale, in altri casi – penso ad Alterazioni Video – gli artisti sono stati bravissimi a stabilire rapporti umani con gli abitanti dei paesi limitrofi fin da subito. Molto dipendeva dalle singole sensibilità.
IG: Eremi Arte è un progetto nato all’interno dell’Accademia di Belle Arti dell’Aquila. Come avete immaginato, e costruito, il rapporto tra formazione, sviluppo progettuale delle opere, relazione territoriale e restituzione concettuale a un pubblico nello svolgimento del progetto?
SM: Fin da subito abbiamo pensato che questo progetto avrebbe dovuto avere una finalità formativa e, soprattutto, di esempio. Gli studenti hanno partecipato alle diverse fasi di allestimento e disallestimento, stabilendo anche dei buoni rapporti personali con i diversi artisti. Forse anche grazie a Eremi in
quegli anni si formò un gruppo di giovani artisti in Accademia che poi ha continuato a lavorare insieme e a realizzare progetti interessanti a Pescara. Inoltre siamo convinti che un progetto come questo, all’interno di un’Accademia di Belle Arti, possa valere come esempio di progettualità possibile, una suggestione, uno spunto per chi intraprende una carriera artistica. Tra l’altro non posso non ricordare che Eremi ha portato, grazie alla caparbietà di Enzo De Leonibus, alla donazione (da parte della baronessa De Domizio Durini) di una ricostruzione istallativa, documenti e due multipli di Joseph Beuys che erano stati esposti a Santo Spirito a Majella. Oggi tutto il secondo piano dell’Accademia è dedicato a Beuys, una presenza importante per tutti gli studenti. Probabilmente la parte più complessa del progetto è stata proprio il rapporto con il pubblico generico e le relazioni col territorio. Non è facile far comprendere a persone lontane dall’arte contemporanea (comprese le amministrazioni locali) alcune esigenze, necessità e idealità.
IG: Qual è il futuro di Eremi Arte? Come immaginate i prossimi episodi e cosa vi augurereste di poter raccontare al pubblico attraverso gli interventi degli artisti coinvolti?
SM: Eremi è stato un progetto pionieristico, realizzato grazie alla volontà ostinata di un gruppo di persone. Interrotto nel 2017, continua ancora adesso a destare interesse (su eremi.abaq.it è ancora possibile scoprire tutte le location). Eremi ci ha permesso di far muovere l’Accademia de L’Aquila su tutto il territorio regionale, stabilendo dei rapporti proficui con le diverse realtà territoriali. Come spesso accade in Italia, purtroppo, è mancata la capacità della politica di credere e investire in questo progetto, per garantirgli continuità. Però, come si dice, le idee non muoiono e forse in futuro, in modalità diverse (magari intervenendo su un solo eremo alla volta), l’iniziativa potrebbe ripartire. L’Accademia sta facendo tanto per rinsaldare i rapporti con le istituzioni culturali e politiche regionali. Un progetto come Eremi ci parla di ecologia, storia, aree interne, paesaggio, conservazione, tutela e valorizzazione dei beni culturali, turismo sostenibile, ecc. Tutti temi che gli artisti hanno raccontato, e potrebbero continuare a raccontare, con la loro intelligenza e profondità. Vorrei chiudere ricordando il lavoro di Bianco-Valente, che consisteva in una lampada a olio scavata in un blocco di pietra di Latronico e portata, quasi in pellegrinaggio, nell’eremo di Grotta Sant’Angelo a Palombaro, che, secondo me, ben sintetizza lo spirito dell’intero progetto. Gli artisti hanno infatti dichiarato: “Nel tentativo di dare una risposta a […] domande esistenziali, sono nate le religioni, si è sviluppata la filosofia e alcuni individui hanno sentito, e sentono ancora, il bisogno di isolarsi dalla mondanità, dal quotidiano, per donare a sé stessi e all’umanità il tempo, la meditazione, la preghiera. Ci sarà sempre una luce accesa finché l’uomo continuerà a porsi domande sul mistero della vita.”
Ecco, diciamo che la luce di Eremi vogliamo tenerla sempre accesa.