Se i disegni e i dipinti di Agnes Martin sono stati spesso definiti saggi su “interiorità e silenzio”, allora quelli di Adelaide Cioni potremmo chiamarli “canzoni”. “Songs” è infatti il titolo della serie di lavori realizzati in tessuto che apre la mostra “Ab ovo / On Patterns”, che si riversano verso l’alto in una danza visibile dalla strada attraverso le finestre di Mimosa House. Ogni canzone ha una dedica: al mare, al fuoco, a Sol LeWitt. Questi lembi di mussola, solitamente uniti da una cucitura centrale, presentano bordi tagliati irregolarmente e sono fissati a un supporto di legno lungo il bordo superiore. Sono appesi in modo grezzo e semplice ma danzano dolcemente, lasciando ondeggiare le estremità sfilacciate. La relazione con Martin va oltre l’uso che Cioni fa del disegno, della linea e del colore. Come accade con Martin, queste canzoni diventano inni e preghiere, meditazioni sul disegno e sulla natura, sul desiderio umano di riordinare il caos e la casualità del mondo naturale.
“Ab ovo” – termine che dà il titolo alla personale – si traduce in “dall’uovo”, e la mostra è un tentativo di approcciarsi al primato della forma. Prima dell’immagine viene la linea; prima della linea, la storia, l’idea, l’impulso. È nella preistoria che Cioni ricerca gli schemi che si ripetono in natura e in culture geograficamente lontane: dall’onda al cerchio, dal quadrato alla croce. Così il cardo rimanda ai disegni dei carciofi realizzati dagli antichi egizi – alla complessità della rosetta squamosa del carciofo che segue la sequenza di Fibonacci addomesticata da linee rette e triangoli curvi. Tutta la materia può essere comunicata in questo modo, eppure è sempre e solo un fatto di comunicazione. Cioni, che in passato ha tradotto Lydia Davis e David Foster Wallace, usa il disegno anche come strumento di traduzione, per andare oltre, sempre consapevole che in questo processo piccole parti di sé rimarranno ancorate al testo.
“Ogni artista la guarda e sa che fallirà”, dice Cioni a proposito della natura. Eppure, il tentativo di conoscerla è senza fine, così come il disegno. E come la natura, che ostinata rimane accidentale e fortuita, Cioni non cerca la perfezione. Un semplice schema composto da triangoli è interrotto da un punto rosso, come una macchia di vernice che cade e interrompe momentaneamente la meditazione dello spettatore richiamando la mano dell’artista. Il corpo è quindi sempre presente, anche in quello che a prima vista potrebbe apparire come un intelletto puramente matematico e ordinato.
È impossibile percorrere la mostra senza essere consapevoli del proprio corpo, nel labirinto di tessuti sospesi che ci accompagnano verso un’esplosione di motivi. Gli spazi sono interamente ricoperti di segni e linee che si ripetono coinvolgendo i visitatori e, a volte, dei danzatori che improvvisano movimenti in risposta ai quadrati, ai cerchi, ai triangoli creando un intreccio. Nonostante l’ubiquità delle forme, Cioni guarda all’invisibile che si cela nel quotidiano – che Deborah Levy chiama “personaggi minori”, ovvero quegli oggetti quotidiani che si depositano nella memoria come granelli di sabbia. Le forme delle opere presenti in mostra riecheggiano le forme tipiche dell’artista, come quelle delle foglie di palma che nel suo film Kew. A Conversation in Green (2019), realizzato con una Super 8, danzano, gocciolano e si intrecciano le une con le altre come tessuti, mentre un pettirosso si posa su un ramo, evocando il costume di una ballerina composto da forme triangolari come le zampe del volatile. Il mare è un’altra presenza ricorrente nei motivi ondulati cuciti a mano, in lana blu su flanella, che vibrano negli occhi di chi guarda. Durante la performance, invece, il costume di uno dei danzatori presenta cerchi di iuta sovrapposti creando una specie di tunica, che con il movimento si increspa ricordando le squame di un pesce. Un’energia interiore e puramente inesprimibile cerca di liberarsi verso l’esterno, in una vibrazione ritmica che potrebbe funzionare come un pattern, ma non lo diventa mai. La verità risiede negli schizzi, nel canto, nel caos. In quello spazio tra le linee e in mezzo alle linee stesse, che non può essere tradotto.