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358 AUTUNNO 2022, Recensioni

3 Novembre 2022, 9:00 am CET

“Afterimage” Museo MAXXI / L’Aquila di Eleonora Milani

di Eleonora Milani 3 Novembre 2022
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Massimo Grimaldi, Scarecrow, 2021. Immagine digitale, slideshow su 12.9’’ Apple iPad Pro. 28 x 21 x 0,60 cm. Courtesy Roberto e Carla Mantica.
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June Crespo, Untitled (Voy, sí), 2021. Cemento, calcestruzzo, pigmenti, tessuto, tondino d’acciaio, paraffina. 38 x 79 x 86 cm. Fotografia di Carlo Favero. Courtesy P420 Gallery, Bologna.
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Frida Orupabo, Labour II. Collage. Fotografia di Mario Todeschini. Courtesy l’artista e Stevenson Amsterdam / Cape Town / Johannesburg.
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He Xiangyu, Asian Boy, 2019-20. Acciaio inossidabile. 140 x 40 x 45 cm. Fotografia di Laci. Courtesy Fondazione MAXXI.
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Marisa Merz, Senza Titolo, 2000-2010. Tecnica mista su carta, scultura in pietra e argilla, lastra di rame. 350 x 250 cm; 20 x 14 cm; e 96 x 96 cm. Fotografia di Patrizia Tocci. Courtesy Fondazione MAXXI.
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Benni Bosetto, Saturniidae, 2022. Dimensione variabile. Fotografia di Andrea Rossetti. Courtesy Fondazione MAXXI.
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Elisa Sighicelli, SenzaTitolo(5016), 2021. Fotografia di Andrea Rossetti. Courtesy Fondazione MAXXI.
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Danh Vo, Untitled, 2022. Veduta della mostra “Afterimage” presso MAXXI L’Aquila, 2022. Fotografia di Andrea Rossetti. Courtesy Fondazione MAXXI.

In ogni immagine c’è qualcosa che proviene da qualche altra parte. Una traccia, una “opacità” a cui spesso non si attribuisce l’origine. Quello che in un certo senso resiste a uno stimolo visivo, la suggestione che sopravvive all’immagine che vediamo in un dato momento. Su questa residualità si sviluppa “Afterimage”, una collettiva che si dipana nelle quindici sale di Palazzo Ardinghelli, oggi sede del MAXXI L’Aquila, con la doppia curatela di Alessandro Rabottini e Bartolomeo Pietromarchi. L’eterogeneità delle produzioni raccolte in questo viaggio nell’immagine residua è piuttosto evidente e a tratti confonde, e va persino oltre il margine ipotetico che una mostra sull’immagine – spesso associata all’immaterialità, alla fugacità – imporrebbe. Perché questa non è una mostra sull’immagine, ma sulla persistenza del grado zero di un’impressione retinica, sulla transitorietà di quest’ultima e della sua capacità a instillarsi nella memoria e nei corpi.

In tal senso, la nuova commissione di Oliver Laric Sleeping Figure (2022) risulta emblematica. Attraverso un processo ormai abituale – realizzato mediante la produzione di un file digitale da uno scanning 3D per poi arrivare alla fusione in scultura viva – il lavoro di Laric è indicativo di quanto la manipolazione, e per certi versi la performatività in gioco nel processo di riproduzione delle immagini, sia incisiva nella proliferazione delle stesse. Qui, recuperando l’originale di una statua romana dal bozzetto conservato al British Museum, ne ha ricostruito le sembianze iniziali di un ermafrodito – divenuto Venere a causa della manomissione di un collezionista nel XIX secolo. Il cast che vediamo nella prima sala esiste/resiste quale memoria “indistruttibile”.

Il resto delle produzioni con una importante matrice sculturale presenti in mostra – come le nuove commissioni Land, Nation- State, Empire di Dominique White; Fiume buio di Luca Monterastelli; o Saturniidae di Benni Bosetto (tutte 2022); Untitled (Voy, sì) (2021) di June Crespo; o Man, Hanging (2018) di Paloma Varga Weisz – mi riportano alla mente un libretto di George Didi-Huberman che, nello sviscerare la memoria della forma nella scultura (di Giuseppe Penone, nello specifico), ci ricorda che “la memoria è una qualità propria del materiale stesso: la materia è memoria1”.

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June Crespo, Untitled (Voy, sí), 2021. Luca Monterastelli, Fiume buio, 2022. Veduta della mostra “Afterimage” presso MAXXI L’Aquila, 2022. Fotografia di Andrea Rossetti. Courtesy Fondazione MAXXI.
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Dominique White, Land, Nation-State, Empire, 2022. Veduta della mostra “Afterimage” presso MAXXI L’Aquila, 2022. Fotografia di Andrea Rossetti. Courtesy Fondazione MAXXI.
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Massimo Grimaldi, Scarecrow, 2021. Veduta della mostra “Afterimage” presso MAXXI L’Aquila, 2022. Fotografia di Andrea Rossetti. Courtesy Fondazione MAXXI.
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Esther Klas, Ba///, 2013. Esther Klas, Bronzato. Veduta della mostra “Afterimage” presso MAXXI L’Aquila, 2022. Fotografia di Andrea Rossetti. Courtesy Fondazione MAXXI.
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Francesco Arena, Masso con gli ultimi 5 giorni, 2022. Veduta della mostra “Afterimage” presso MAXXI L’Aquila, 2022. Fotografia di Andrea Rossetti. Courtesy Fondazione MAXXI.
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Frida Orupabo, Mother and Child I, 2020. Frida Orupabo, Labour II, 2020. Frida Orupabo, Untitled, 2020. Veduta della mostra “Afterimage” presso MAXXI L’Aquila, 2022. Fotografia di Andrea Rossetti. Courtesy Fondazione MAXXI.
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He Xiangyu, Asian Boy, 2019-2020. Dominique White, Land, Nation-State, Empire, 2022. Veduta della mostra “Afterimage” presso MAXXI L’Aquila, 2022. Fotografia di Andrea Rossetti. Courtesy Fondazione MAXXI.
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“Afterimage”. Veduta della mostra presso MAXXI L’Aquila, 2022. Fotografia di Andrea Rossetti. Courtesy Fondazione MAXXI.

Come anche i luoghi, spugne di immagini stratificate e invisibili. La Sala della Voliera del palazzo è momentaneamente abitata da un intervento di Thomas Demand che ricopre interamente le pareti con una serie di scatti realizzati nell’archivio di Azzedine Alaïa, stilista franco-tunisino. I cartamodelli diventano così architetture mentali, a tratti fisiche, suggerendo un’ulteriore meta-ricostruzione della sala – il cui soffitto esplicita l’intervento di restauro subito dal palazzo dopo il sisma del 2009.
L’archeologia del video e della fotografia in mostra, che presenta sperimentazioni storiche come le serie Interni mossi (1967–1979) di Mario Cresci; Cameron Obscura (1981) di Paolo Gioli; o Terra animata (1967) di Luca Maria Patella, ritorna per certi versi nelle sperimentazioni più contemporanee, come nei soggetti di Massimo Grimaldi nella serie Scarecrows (2021), volti in cui la saturazione dei colori e la sovrapposizione di filtri deforma l’immagine al punto tale da allontanarsi dai confini della corporeità propriamente umana.

A fare da collante nell’impossibilità di afferrare l’immagine nella sua manifestazione ultima e definitiva troviamo i lavori di Francis Alÿs e Frida Orupabo, in cui il corpo è presente in tutta la sua mancanza, il suo vuoto. I frammenti di queste visioni che ci arrivano e ritornano all’immagine sono la traccia di quel residuo, e fanno eco ai passage benjaminiani. Quell’incompiutezza che il filosofo riconosce proprio nella lastra fotografica impressionata, che si rivelerà in un altro tempo, in un altro spazio.

1 George Didi-Huberman su Penone, Electa, Milano, 2008; p.20. Trad it. George Didi-Huberman, Être crane. Lieu, contact, pensée, sculpture, Les Éditions de Minuit, Paris, 2000.

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