Pubblicato originariamente su Flash Art Italia no. 355 Inverno 2021-22
A partire da Alberto Burri, uno degli elementi chiave che ha ispirato il lavoro di molti artisti in Italia fino a oggi è il paesaggio italiano. Nella sua opera, Burri non crea un rapporto di semplice “rappresentazione” del paesaggio, ma, con i sacchi e i cretti, un legame metonimico con il contesto italiano. A partire da questo aspetto del suo lavoro viene sviluppata un’attitudine che ha influenzato in modo determinante l’arte in Italia dal secondo dopoguerra a oggi: la relazione intima e fondante con il suo paesaggio. Ed è importante sottolineare proprio questo legame per parlare del lavoro di Alberto Garutti.
Con l’espressione “paesaggio italiano” intendo definire un habitat specifico, che non è semplicemente fatto degli elementi naturalistici del territorio, ma anche delle rimanenze storiche e degli insediamenti industriali che mangiano in parte le tracce del passato senza cancellarle. Un contesto che si è venuto sempre più precisando come lo sfondo da cui l’arte italiana ha tratto il suo significato e la sua origine negli ultimi settant’anni. Il paesaggio italiano è diventato una riserva di senso che conferisce un significato profondo all’arte italiana contemporanea. Questo habitat ha prodotto quella condizione di museo all’aria aperta che è l’Italia, meticciata con i segni evidenti della modernità diffusi soprattutto a partire dalla ripresa industriale dell’ultimo dopoguerra, che rappresenta una ulteriore cifra importante della via italiana all’arte contemporanea.
Se si ripercorre l’arte degli ultimi decenni in Italia è possibile vedere quale è stata l’influenza del paesaggio italiano. Si può trovare questa influenza in molti artisti successivi a Burri. Per esempio, nell’Arte povera di Jannis Kounellis, Luciano Fabro, Mario Merz o Giulio Paolini, per citarne alcuni tra i maggiori. Anche se l’Arte povera risolve il suo legame con il paesaggio storico, naturalistico, industriale in una relazione di “azione”. Utilizza, cioè, il paesaggio italiano come sfondo per trasformare l’opera in un gesto che esprime il suo significato generale di arte come forma di azione. Se nell’Arte povera il paesaggio italiano si precisa sempre più come sfondo dell’agire artistico e in definitiva si trasforma in un contesto specifico nel quale l’opera acquista senso, questo utilizzo del paesaggio diviene sempre più evidente nelle generazioni seguenti. È la grande riserva di significato che, come un magnete, attrae e alimenta molte delle opere degli artisti più giovani. L’arte italiana contemporanea vive all’interno del suo paesaggio e può essere compresa fino in fondo solo a partire da questo.
Una situazione particolare è rappresentata dal lavoro di Alberto Garutti. La sua opera richiede una lettura diversa perché il contenuto del paesaggio italiano non costituisce lo sfondo implicito da cui prendono significato le opere – come nella gran parte dell’arte italiana contemporanea – ma è un dialogo dichiarato con esso.
Nel suo recente progetto per Ca’ Corniani, Garutti scrive: “Ogni mio lavoro pensato per abitare lo spazio pubblico muove nell’intenzione di costruire un sistema di relazioni […] L’opera esiste solo nell’incontro con lo spettatore […] nella città e nel paesaggio è parte della mia strategia operativa scendere dal piedistallo retorico che la società dell’arte concede all’autore, per ‘andare verso’ lo spettatore, il cittadino, il paesaggio, e concepire l’opera stessa come una sofisticata macchina di connessioni, sguardi e reciproche vicinanze, incontri e racconti”. Queste affermazioni esprimono chiaramente la posizione di Garutti, che vuole costruire un dialogo con il paesaggio italiano a partire dalle relazioni espresse dalle persone che lo abitano.
Che cosa vuol dire per l’artista “costruire un sistema di relazioni”? Appare evidente che per lui il paesaggio non è fatto di porzioni fisiche da citare o rappresentare, ma l’artista esprime la consapevolezza di questo grande sfondo nel quale si trovano a operare gli artisti italiani: lo riconosce e lo fa diventare la fonte primaria d’ispirazione per il suo lavoro. Non sono le presenze fisiche naturali e storiche o i piccoli oggetti che popolano la quotidianità, ma la rete invisibile delle relazioni dei viventi che abitano il paesaggio italiano a costituire la materia del suo lavoro. Per questo non si mette a lato utilizzando semplicemente gli elementi del paesaggio per costruire la sua opera, ma si pone al centro di esso e ne studia le relazioni che si determinano al suo interno. Se per molti altri artisti italiani il paesaggio è una riserva di senso che intuitivamente entra nella loro opera, ponendosi come un magnete che genera il significato e conferisce forza al lavoro, Garutti studia la relazione con questo potente magnete e parte dalla consapevolezza della sua influenza. Si potrebbe osservare che, ricostruendone le relazioni al suo interno, l’artista “abita” il paesaggio italiano, ne ricostruisce l’interna vitalità e ne interpreta il suo farsi presente: in una parola lo rende attivo.
Nel 2000, invitato a prendere parte alla rassegna Arte all’Arte a San Gimignano, realizza il progetto Corale Vincenzo Bellini. Il suo intervento consiste nella ristrutturazione della sede cinquencentesca della Corale di Colle Val d’Elsa. Scrive: “Riattivando l’edifico della Corale, l’artista ha rinunciato a lasciare un segno riconoscibile nel contesto urbano e realizzato un’opera ‘utile’ alla comunità con la quale è entrato in contatto”.
La rinuncia a lasciare un’opera stilisticamente riconoscibile nel contesto urbano è un elemento molto importante che segnerà il suo lavoro futuro. Il legame con l’edificio passa attraverso quello con la comunità e rimanda, allo stesso tempo, al luogo storico sede della corale. Quindi, in definitiva, al paesaggio italiano e alla sua complessa stratificazione storico-naturalistica, nella quale Garutti riattiva una rete di relazioni umane. La cosa che sorprende è l’alto livello di consapevolezza dell’artista che si muove all’interno del paesaggio con la stessa familiarità con cui si muove all’interno della sua opera, identificando l’uno con l’altra. Il paesaggio italiano diventa il luogo del suo agire artistico, lo studio nel quale egli vorrebbe idealmente abitare. In questo progetto l’artista ricrea un’occasione d’incontro per gli abitanti di Colle Val d’Elsa in un luogo storicamente importante per la città. All’esterno pone una targa su cui, tra le altre cose, scrive: “Tutto il tempo e il lavoro prestato hanno avuto come spinta ideale la costruzione di un incontro tra l’arte e la realtà della vita di questa città, nel tentativo di toccare la sensibilità delle persone che vi abitano”.
Due anni prima realizza a Bergamo Ai nati oggi (e successivamente in città come Mosca, Gent, Istanbul), in cui la luce dei lampioni di un’area della città si illumina gradualmente ogni volta che nasce un bambino nell’ospedale cittadino. Ancora Garutti: “Ai nati oggi instaura infatti un dialogo diretto con la città e i suoi abitanti, nel tentativo di riavvicinare l’arte alla realtà della vita: l’opera si radica nel territorio dell’intervento e chiama a sé le persone che lo abitano attraverso la volontà di suscitare in loro un’emozione sincera’”.
Questo dialogo con la città e i suoi abitanti e il radicamento nel territorio sono già un dialogo con il paesaggio italiano, che è il vero contenuto dell’opera. L’artista non usa il paesaggio citandone alcune sue parti, ma riesce ogni volta a farlo diventare protagonista scoprendo un modo attivo di relazionarsi con esso, poiché ne ricostruisce la vita al suo interno. Questo è il punto chiave che distingue il suo lavoro da quello di altri artisti che da Burri in poi hanno incluso nella loro opera il contesto nel quale si trovavano ad operare.
Vi è nel lavoro di Garutti un carattere performativo che può in parte sfuggire poiché si tende a vedere soprattutto gli aspetti site-specific delle opere, che sembrerebbero collocarle nel mezzo tra interventi di arte pubblica e quelli urbanistico-architettonici. Se volessimo guardare il suo lavoro da questa angolazione, come relazione fisica con il luogo, potremmo dire che Garutti pratica un’arte pubblica che ha inglobato l’esperienza della performance degli anni Settanta. Parlando dell’opera Tutti i passi che ho fatto nella mia vita mi hanno portato qui, ora (2007-21), l’artista afferma: “L’opera esplora la fitta rete di relazioni che ogni persona attiva con la propria esistenza, svelando all’improvviso allo spettatore stesso la complessità del proprio vissuto. Il lavoro sottolinea il valore dell’energia cinetica e potenziale racchiusa nella vita di ciascuno di noi”. L’opera consiste in una lastra di pietra con la scritta che fa da titolo collocata sul pavimento dell’aeroporto di Milano Malpensa. La sua presenza fisica è minimale, quasi inesistente. Quello che ci vuole indicare è la rete delle relazioni umane occasionali che si creano in un grande aeroporto italiano. La figura dello spettatore dell’arte è qui dissolta nelle presenze dei viaggiatori che attraversano lo spazio fisico dell’aeroporto. Ancora una volta, Garutti ci mostra come i luoghi non si definiscono per la loro fisicità, ma per le relazioni umane che li attivano. Il paesaggio italiano con cui l’artista dialoga continuamente è un paesaggio vissuto, al centro del quale l’artista si pone idealmente, abitandolo.
Ritorniamo ancora a Ca’ Corniani, che può essere considerato una dichiarazione della poetica dell’artista, in cui egli fissa il suo rapporto con il paesaggio. In questo progetto della maturità tutte le modalità che ho descritto sono presenti. Di fatto è un manifesto non solo “dell’identità del luogo”, come egli scrive, ma del proprio lavoro.
Le tre opere parte del progetto – il tetto dorato, le sculture degli animali e la scritta luminosa – sono i segni che creano il legame del visitatore, cittadino o semplice passante, con il paesaggio: “Tre lavori-manifesto in cui l’arte è al servizio della comunità e del paesaggio, in cui l’opera si attiva tra la natura e le persone per produrre una nuova trama di sguardi e di relazioni”. Il tetto dorato è un segno minimamente invasivo che pone Ca’ Corniani al centro dell’atteggiamento di inazione con il quale l’artista si colloca dentro il paesaggio italiano. È la rappresentazione di un nucleo storico e sociale di relazioni tra esseri viventi, umani e animali, che rendono quella parte di paesaggio autentica e vitale. Le sculture dei cavalli e dei cani che vivono nei paraggi sono monumenti al quotidiano che fissano la vita del luogo, colta non nelle figure eroiche o protagoniste della storia di Ca’ Corniani, ma nelle presenze più discrete, che lasciano affiorare lo sfondo delle vicende umane rappresentate nel paesaggio. La scritta al neon – Queste luci vibreranno quando in Italia un fulmine cadrà durante i temporali. Quest’opera è dedicata a chi passando di qui penserà al cielo – opportunamente controllata da un sistema computerizzato, si illumina ogni volta che un fulmine cade vicino. Le modalità non invasive del lavoro di Alberto Garutti fanno diventare il paesaggio e i suoi eventi naturali i veri protagonisti del lavoro. Non passa inosservato il fatto che, anziché riferirsi al territorio specifico nel quale si situa Ca’ Corniani, l’artista menzioni esplicitamente l’Italia e il suo paesaggio.
Perciò, mentre questo rappresenta uno sfondo e un potente magnete cui è difficile sottrarsi per molta arte italiana, l’ascolto di Garutti lo fa diventare il protagonista della sua opera. Il suo atteggiamento di “inazione” riesce ad aver ragione della complessità e forza d’attrazione che il paesaggio italiano possiede, riuscendo a volgerle a suo favore con una strategia senza precedenti, che risponde alla questione delle radici dell’identità dell’arte italiana contemporanea iniziata da Burri alcuni decenni fa.