Il lavoro pittorico di Alessandro Roma si è notevolmente sviluppato negli ultimi cinque anni, dal suo ritorno a Milano dopo una breve permanenza berlinese. Partendo da un’estetica pop di derivazione psichedelica articolata in serie di collage dall’estetica “vintage”, ha presentato quest’anno una serie di lavori pittorici di grande formato in cui il paesaggio viene solo evocato da forme e motivi astratti.
Parlando con l’artista dei suoi lavori ho voluto soffermarmi sulla loro genesi e il loro sviluppo; infatti, è come se ciascuna nuova serie emergesse da quella precedente trasformandone però forme e contenuti. Alessandro Roma mi ha raccontato che il suo lavoro nasce dalla “frantumazione” delle immagini cartacee che raccoglie costantemente in un archivio aperto fatto di fotografie trovate in libri, giornali, musei e su Internet. Le immagini vengono riunite in maniera quasi inconscia e, solo quando sembra affiorare una suggestione interessante per l’artista, una parte di queste immagini viene “lavorata”, tagliata, montata in una serie di collage di diversi formati che fungono da bozzetti sia per le tele che per le opere tridimensionali. Il lavoro di smontaggio-montaggio delle immagini viene completato da disegni e interventi dell’artista, che inserisce anche materiali diversi come stoffa o carta da parati. Il processo si articola attraverso un impulsivo accumulo d’informazioni che solo nella fase finale viene “distillato” in opere finite.
Riappropriandosi della tradizione surrealista, in cui le immagini devono sorgere autonomamente dall’inconscio, Roma si trova prigioniero di una dicotomia in cui il tentativo di definire razionalmente un flusso continuo d’immagini porta a una serie di bozzetti dal formato ridotto che poi vengono ripresi, in scala, e rianimati sulla tela. Questi lavori su carta, che l’artista raramente condivide con il pubblico, funzionano da spunti per l’opera finale che resta aperta a ulteriori trasformazioni.
Nato nell’era della totale digitalizzazione dell’immagine, costantemente montata e manipolata, Alessandro Roma crea le sue tele artigianalmente, quasi come se lavorasse al computer montando frammenti per creare una narrazione. Il collage così nelle sue mani diventa un modo per comporre e non scardinare la percezione dell’immagine e della realtà, offrendoci delle impossibili visioni del mondo, composte, anche su tela dal collage di frammenti, sia pittorici che cartacei. Le sue opere si fruiscono lentamente attraverso un’indagine visiva in cui l’occhio scorre sulla tela senza identificare alcuna prospettiva unitaria, né un unico punto di vista, ma deve comporre e smontare particolari astratti in cui riconosce dettagli figurativi. Questo procedimento è anche il modo per sfuggire a una certa autoreferenzialità tipica di molta pittura contemporanea. Per questo l’artista spesso annota in brevi testi il processo formale e tecnico di nascita di un’opera, in particolare il rapporto altalenante tra pittura e collage. A differenza di molti giovani pittori, che lasciano tutte le loro opere untitled, Alessandro Roma elabora complessi titoli, lunghi e narrativi, la cui natura sottilmente inquietante attiva i lavori e ne trasforma la lettura, connotandoli figurativamente.
Le opere di Alessandro Roma si strutturano come contemporanee “velature pittoriche” in cui ogni strato segna silenziosamente il passare del tempo, quello tecnico della creazione del lavoro, quello mentale della sua trasformazione, marcando metaforicamente la genesi di una bidimensionalità capace di schiudersi in universo simbolico. Sintomatici gli spazi racchiusi nei quadri più recenti, che evocano visioni frammentate di giardini; si strutturano, infatti, per sovrapposizioni di campi le cui diverse profondità mettono in discussione l’idea di quadro come finestra sul mondo e trasformano le opere di Alessandro Roma in una sorta di filtri tra la nostra percezione del mondo e i ricordi che ne serbiamo.
Interrogando l’artista sulla natura della sua pittura, e se in generale lui si consideri un pittore astratto o figurativo, si conclude che i suoi lavori esistono sul crinale tra questi due mondi, come se l’uno completasse l’altro. Guardare le opere di Alessandro Roma è come cercare di mettere a fuoco molteplici oggetti contemporaneamente o forse, come guardare il mondo con tre o quattro paia di occhi.
Le sculture nascono, anche esse, da bozzetti bidimensionali a cui si sovrappone un’approfondita ricerca sui materiali (dalla ceramica alla resina, dal gesso alla terracotta e alle piante) che determina dei tempi più articolati nella genesi dei lavori. Le sculture hanno articolato ulteriormente l’uso del collage attraverso una ricerca da una parte concettuale e dall’altra surrealista, legata all’interesse dell’artista per le opere su carta di Max Ernst, che forma questo mezzo espressivo attraverso una pratica quasi artigianale. I suoi lavori parlano del potere delle immagini nel mondo contemporaneo e riconoscono al fare pittorico concettuale la medesima forza dirompente, riconosciuta ad altre forme artistiche. È come se Alessandro Roma riuscisse a usare la pittura per raccontare il mondo, ma contemporaneamente, attraverso i materiali con cui lavora, manifestasse l’urgente bisogno di cancellare e nascondere le immagini che ha scelto e creato.