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9 Settembre 2015, 11:56 am CET

Alexander McQueen di Silvia Conta

di Silvia Conta 9 Settembre 2015
Alexander McQueen, collezione autunno/inverno, 2010. Courtesy Metropolitan Museum of Art, New York. Foto: Sølve Sundsbø.

 

Alexander McQueen, collezione autunno/inverno, 2010. Courtesy Metropolitan Museum of Art, New York. Foto: Sølve Sundsbø.
Alexander McQueen, collezione autunno/inverno, 2010. Courtesy Metropolitan Museum of Art, New York. Foto: Sølve Sundsbø.

Con “Savage Beauty” — che con oltre 661 mila visitatori si colloca all’ottavo posto nella storia delle mostre temporanee del Metropolitan Museum of Art di New York — l’istituzione statunitense celebra il lavoro dello stilista inglese Alexander McQueen, genio precoce, indipendente e maudit capace di affascinare con le proprie creazioni l’alta società internazionale così come le popstar, che in diverse occasioni hanno voluto i suoi abiti in videoclip divenuti celeberrimi. “Savage Beauty” fa, non a caso, parte di un programma di mostre con cui il Metropolitan rende omaggio annualmente alla figura di un designer profondamente significativo per la storia del costume e della cultura. In esposizione oltre centocinquanta capolavori tra abiti e accessori, dalla collezione post diploma del 1992 fino a quella presentata postuma nel febbraio dello scorso anno.
Nella ricerca di McQueen — scomparso nel 2010 a soli quarantuno anni — nulla è pura estetica. Il suo lavoro si configura come costante affermazione di una libertà di pensiero totalmente espressa e sostenuta da un’immaginazione prorompente e profondamente coerente con se stessa, nutrita da un costante rapporto con la realtà e da una sorprendente abilità tecnica, irriverente nell’annullare i requisiti tecnici di un abito o di un accessorio per superarne i limiti fisici.
La ricerca di McQueen — i cui cardini sono il sublime romantico, il dramma, l’ossessione e la magnificenza — diviene il veicolo per l’espressione di una complessità concettuale che trova il suo culmine in creazioni con numerosi punti di contatto con l’installazione e in sfilate al confine con la performance. In questi contesti, che vanno considerati naturale “estensione” dell’abito, lo stilista attiva un’energica e totale orchestrazione, che gli consente di mantenere salde le redini della propria espressività e gli permette di lavorare in modo diretto sulle emozioni dell’osservatore. Per McQueen, infatti, l’attivazione di uno stato profondamente emotivo nello spettatore è funzionale all’esperienza estetica intima e profonda in cui la bellezza è intesa come tensione verso il sublime romantico, viva e reale nel contrasto tra opposti — meraviglia e orrore, fascinazione e repulsione, eternità e caducità. L’elemento emotivo non viene mai diviso, tuttavia, da componenti culturali, politiche e identitarie, che per lo stilista non possono in alcun caso essere scisse dalla moda.
In mostra, attraverso un percorso cronologico scandito dalle collezioni, trovano spazio anche altre tematiche che hanno influenzato la creatività di McQueen quali primitivismo, nazionalismo, victorian gothic e culture lontane, in particolare quelle africane e orientali. Primo fra questi temi è però la natura, a cui lo stilista guarda come massima fonte di magnificenza e meraviglia, quale esempio di meccanismo dalle dinamiche ineluttabili e come fonte di ispirazione per forme e materiali — spesso impiegati grezzi. Nell’ultima collezione lo stilista arriva a porre la natura in una relazione visionaria con la tecnologia, riflettendo sulla compressione di spazio e tempo innescata dalla diffusione di Internet.
A conferire unità a tutti questi elementi è l’istintiva capacità di McQueen di rendere, a livello concettuale, centro e periferia di volta in volta mutevoli nelle differenti collezioni, pur mantenendo un’armonia e una compattezza che rendono il suo lavoro espressione estremamente efficace e coerente del sistema di pensiero di cui è incarnazione.

Metropolitan Museum of Art, New York.

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