Margherita Artoni: Ho l’impressione che per comprendere la tua opera sia necessario partire dalla memoria e dalle evidenti “ossessioni” che spesso nutrono la tua esperienza personale. Non mi riferisco solo al lavoro autobiografico ispirato a Sophie Calle ma più in generale al modo in cui il tuo sguardo tende a filtrare il sistema dell’arte contemporanea attraverso un duplice livello di lettura. Come vivi la dialettica tra il carisma impulsivo che contraddistingue la tua produzione e il distacco critico con cui ami osservare il mondo?
Alfredo Aceto: Non so se esiste davvero una dialettica tra impulsività e distacco critico ma certamente memoria e ossessione sono due temi che caratterizzano la mia vita e che difficilmente possono essere divisi. Un po’ come una macchina e il suo volante. Credo possa essere definito un lungo processo ossessivo che viene ogni tanto interrotto per essere mostrato, dopodiché riprende il suo corso.
MA: Entro quali termini ti consideri un artista italiano? Vivere in Svizzera ha cambiato la tua prospettiva dal punto di vista creativo?
AA: Credo che la gente mi consideri “artista italiano” e questo non mi disturba perché in fondo è così, ma non penso sia necessario che io mi debba sentire qualcosa di preciso. Mi sento di passaggio un po’ ovunque. Sono rimasto sorpreso da questo paese dove le nozioni di tempo e spazio sono completamente diverse e dove la gente sembra un po’ troppo quieta. Io resto sveglio lo stesso!
MA: Per essere poco più che un ventenne sono molti i progetti che stai portando avanti. Qual è il motore della tua ambizione?
AA: Divertirmi e a volte rompere i coglioni! Quando inizio un progetto la mia ambizione è quella di vivere una sensazione, un luogo o un momento che nella realtà non esiste. Non mi pongo troppe domande sulla quantità dei progetti da portare avanti finché sono meno di quante siano le mie idee.
MA: In che modo riesci a dare coerenza all’impianto multimediale della tua opera?
AA: Io faccio delle cose che poi le persone amano chiamare arte contemporanea, ma inizialmente il mio obbiettivo è quello di soddisfare dei miei bisogni personali in termini di esperienze o di sensazioni. Tra vent’anni potrò forse parlare di coerenza ma ora mi accontento di fare ciò di cui ho bisogno. Credo sia l’unico modo per non stufarsi e vivere sempre una nuova vita.
MA: Per forgiare il tuo linguaggio prediligi la chiave narrativa o quella simbolica? Se in Untitled (Carpet) — emblem of Buthan storia e icona tendono quasi a coincidere, il confine appare meno labile in altri lavori.
AA: Prediligo la mia vita nelle sue contraddizioni e ossessioni interessandomi alla mia storia, agli oggetti e alle situazioni come fossero tre capitoli diversi. Penso che dietro un’icona ci sia la narrazione e che questa possa diventare icona.