Chiara Badinella / Fabrizio Affronti: Sono ormai molti anni che vivi negli Stati Uniti — prima a San Francisco e ora a New York — puoi raccontarci le tappe di questo percorso? Hai lasciato il tuo paese quando eri molto giovane; cosa ha spinto la tua famiglia a trasferirsi negli Stati Uniti?
Ali Banisadr: Sono cresciuto in un periodo di sommosse in Iran. Quando avevo tre anni scoppiò la rivoluzione islamica, a cui seguì immediatamente la guerra con l’Iraq, che durò otto anni. La mia famiglia voleva scappare da tutti questi disordini per dare a mia sorella e a me una vita migliore, così decidemmo di trasferirci negli Stati Uniti.
CB / FA: Cosa ti ha spinto a intraprendere la carriera artistica?
AB: Fin da piccolo sono sempre stato circondato dall’arte, che è sempre stata oggetto di discussione in famiglia. Durante la guerra sentivo i fragori delle bombe che cadevano e gli areoplani che volavano sopra di noi, un grande caos. Iniziai a disegnare questi mostri per provare a esprimere e dare un senso a ciò che accadeva intorno a me. Poi a San Francisco, dove ho studiato psicologia, ho iniziato a fare graffiti insieme a un gruppo di amici. Stavamo tutti sperimentando l’arte in un modo non tradizionale, e questo mi spinse a volerla esplorare in maniera più seria. Ho iniziato a pensare seriamente all’arte come carriera quando decisi di trasferirmi a New York nel 2000 per frequentare una scuola d’arte. Fu durante il mio anno di laurea, intorno al 2006, che sentii che le mie idee stavano finalmente riunendosi insieme e facendosi strada nel mio lavoro nel modo in cui volevo.
CB / FA: Ti consideri più americano o iraniano, oppure un misto di due culture?
AB: Quando penso alla mia identità culturale, mi considero un misto, avendo vissuto in entrambi i paesi. Mentre quando penso alla mia arte, considero me stesso solo un artista — non necessariamente un artista americano o iraniano.
CB / FA: Come nascono i tuoi quadri? Parti da immagini fotografiche volutamente riprese per diventare la base di un’opera, da idee che nascono nella tua mente o l’opera si costruisce man mano che la dipingi? Quanto c’è di preparato o intuitivo?
AB: Non uso fotografie, provo a utilizzare referenze visuali che ho raccolto nella mia memoria. Bisogna sempre creare una connessione con il dipinto e iniziare un dialogo con esso. Il suo risultato finale nasce da questa comunicazione e le mie idee trovano sempre e naturalmente la loro strada nel mio lavoro. Così quando non dipingo, studio e quando realizzo l’opera, le scelte sono intuitive.
CB / FA: Realizzi dei disegni preparatori o dipingi direttamente sulla tela? E quanto è importante il colore nella tua pittura?
AB: Il modo in cui i dipinti si rivelano a me è parte del processo. Inizio a dipingere direttamente sulla tela e non faccio mai schizzi. Allo stadio iniziale il dipinto è molto fisico e astratto. Il colore gioca un ruolo significativo nel mio lavoro, crea l’umore e l’atmosfera che voglio trasmettere.
CB / FA: Nei tuoi lavori è evidente una grande attenzione ai dettagli, e anche una grande forza gestuale. La pittura per te è un atto liberatorio?
AB: La pittura è una via per focalizzare i miei pensieri e poter incanalare tutti questi differenti flussi in un unico luogo. In questo senso può veramente essere come una meditazione che porta un senso di calma e chiarezza a tutte le idee che corrono nella mia testa.
CB / FA: Nelle tue opere appare sempre un grande caos ma sembra tu riesca a gestirlo molto bene: è una cosa che ti è sempre venuta naturale o c’è voluto molto studio per arrivare a quel segno gestuale controllato che contraddistingue la tua arte?
AB: Prima che andassi alla scuola d’arte, i miei dipinti erano similmente caotici. Mi è sempre piaciuto creare un mondo enciclopedico dove c’è una storia dentro una storia. Quando decisi di frequentare la scuola d’arte, volevo imparare gli elementi fondamentali della pittura e del disegno così che fossi capace di creare ciò che volevo e organizzare un po’ di più quel caos. Mi ci volle un sacco di lavoro per raggiungere finalmente un punto in cui ero capace di trasferire ciò che accadeva nella mia immaginazione sulla superficie della tela. Per me l’opera è ora un caos controllato in procinto di andare a pezzi. Mi piace questa incertezza, dà al lavoro vita ed energia.
CB / FA: Quali sono i pittori del passato che ti hanno maggiormente influenzato, e quali sono gli artisti contemporanei che stimi di più o che senti maggiormente vicino a te?
AB: Per quanto riguarda i pittori del passato, solo per nominarne alcuni, Hieronymus Bosch, Pieter Bruegel, Dürer, Goya, i maestri veneziani, Velázquez e le miniature persiane del XVI e XVII secolo. Per quanto riguarda gli artisti contemporanei, sono attratto dai lavori di Anselm Kiefer, Neo Rauch, Cecily Brown, Willem de Kooning, Matthew Barney…
CB / FA: Come riesci a combinare arte occidentale e orientale? Che cosa ti affascina di più nell’arte del tuo paese di origine?
AB: Penso di essere in grado di combinare naturalmente idee orientali e occidentali, perché conosco entrambe le culture e capisco le loro similitudini e differenze. Non faccio alcuno sforzo consapevole per creare un legame tra loro. L’Iran ha una storia culturale così ricca e antica, dalle miniature persiane alla poesia. Quest’ultima in particolare è qualcosa con cui sono cresciuto e che ancora influenza il modo in cui penso e metto le cose in prospettiva. Sono anche molto interessato alla religione zoroastriana pre-islamica dell’Iran.
CB / FA: Sei religioso? C’è una connessione tra la religione e la tua opera?
AB: Sono sempre stato affascinato dalla religione comparativa, perciò è possibile che essa esista nella mia opera.
CB / FA: I titoli dei tuoi quadri sono sempre molto semplici ma diretti e incisivi. Puoi svelarci qualcosa?
AB: Si suppone che i titoli debbano portarti in una direzione. Danno un suggerimento, ma alla fine spetta allo spettatore capire cosa il dipinto significhi per lui.
CB / FA: Dipingi un solo quadro alla volta o più opere contemporaneamente?
AB: Solitamente lavoro contemporaneamente a un quadro di grandi dimensioni e ad alcuni più piccoli.
CB / FA: Uno dei titoli dei tuoi quadri, Nothing That Is So Is So, viene da La dodicesima notte di Shakespeare. La letteratura ha influenzato il tuo lavoro?
AB: La Dodicesima Notte è una commedia basata sul travestimento, le bugie e le identità fraintese, la mancanza di fiducia, i falsi eroi, ecc., così aveva perfettamente senso fare riferimento a essa.
CB / FA: Nel 2007 hai creato un’opera intitolata Black. Nel 2008 è stata seguita da Untitled (Black 2) e nel 2009 da Black 3. L’ultima è la più scura e monocromatica. Consideri queste opere come una serie? Ti riferisci a qualcosa in particolare?
AB: Suppongo siano una serie ora che ne ho dipinte tre. Per me questo tipo di opere è come una nota musicale; mentre sto lavorando a un gruppo di opere, i dipinti neri danno una nota scura tra i dipinti cromatici.
CB / FA: Nei tuoi dipinti la violenza delle guerre passate e di quelle contemporanee sembrano convivere.
AB: Forse sto provando a interrogarmi sull’idea del progresso umano. La storia che si ripete è sempre una cosa affascinante per me. Più le cose cambiano, più rimangono le stesse, non è vero?