Curata dalla Haus der Kunst di Monaco con il Van Abbemuseum di Eindhoven, concepita, nella riproposizione di Sandra Solimano, come un vasto video-archivio organicamente distribuito sui vari piani del museo, “Art As Life” è la prima grande mostra postuma di Allan Kaprow (Atlantic City, New Jersey, 1927 – Encinita, California, 2006), che dopo Genova farà tappa prima a Berna e poi a Los Angeles.
La rassegna ricostruisce, con installazioni, testi, fotografie, videoregistrazioni di interviste e di eventi, uno sguardo attento agli anni della formazione dell’artista, all’evoluzione delle sue idee, che progressivamente sottraggono scenografia agli environment e teatralità agli happening, di cui aveva coniato il termine nel 1959, denominandoli nel 1971 più appropriatamente “activity”, al fine di ascriverli alla fluidità non programmabile dell’esistenza.
In vista dell’approccio all’equazione arte-vita, rappresentazione-realtà, punti chiave di lettura del passaggio dalla bidimensione della pittura alla tridimensione del collage — in cui si realizza fisicamente una contiguità spazio-temporale degli elementi tratti dal quotidiano — e poi all’ambiente, sono i dieci dipinti —Kaprow fu allievo di Hans Hofmann — e collage inediti esposti in mostra (datati dal 1947 al 1956) e il noto assemblage di pannelli catramati, mele finte, foglie, legno, specchio, lampadine colorate Rearrangeable Panels (1957-1959).
Ideata dall’artista con Stephanie Rosenthal ed Eva Meyer-Hermann, la mostra intende rivitalizzare il ruolo del museo, rendendolo spazio di interazione con il pubblico e di reinvenzione nel tempo delle modalità espressive di Kaprow, sulla base delle indicazioni dei suoi innumerevoli “score”.
Sembra che Genova riconfermi oggi il suo storico legame con l’artista, a partire dalla mostra “Take Off”, alla Martini & Ronchetti nel 1974, e dal workshop “Just Doing” del 1998, a Villa Croce con l’Università e UnimediaModern. Si deve infatti all’artista fluxus Geoffrey Hendricks la riproposizione, all’esterno del museo, di Out, un happening del 1963 (Edimburgo); a Cesare Viel, con gli studenti dell’Accademia Ligustica di Belle Arti, quella dell’environment Stockroom, del 1961 (Stoccolma); a Caterina Gualco e Geoffrey Hendricks, presso UnimediaModern, la restituzione del gioco al linguaggio dell’ambiente Words del 1962, alla Smolin Gallery di New York; a Franco Sborgi quella dello spazio alterato della Martha Jackson Gallery (1961), denominato Yard-Carpet, nella Loggia della Mercanzia di Piazza Banchi; e a Pietro Millefiore, presso la Facoltà di Architettura dell’Università di Genova, dell’environment Push and Pull.