Maurizio Cattelan: La tua prima personale a New York presso Ramiken Crucible nel 2010, era intitolata “La gestione della barbarie”. Che tipo di barbarie stai gestendo?
Andra Ursuta: Me stessa. “La gestione della barbarie” è in realtà la traduzione di un “libro di strategie di Al-Qaeda” che descrive tattiche di incitamento al nazionalismo e all’odio religioso e alla violenza, un manuale di istruzioni alla Jihad. Io volevo capovolgere il concetto e usarlo per incanalare il mio nazionalismo e i risentimenti religiosi che provo nei confronti del mio paese.
MC: Questo è strano. Ho sentito solo cose buone sulla Romania.
AU: Siamo orgogliosi della nostra miseria.
MC: Complimenti. È così brutto essere un’artista?
AU: Non ora. Ma è un po’ imbarazzante.
MC: Hai fatto lavori di fronte ai quali la maggior parte delle persone vorrebbe nascondersi. I tuoi autoritratti sono così rudi che ho sentito persone dire che tu sei un uomo che utilizza una modella. Cosa rispondi in proposito?
AU: Che sarebbero state osservazioni molto offensive se fatte da un uomo, ma in realtà io le vedo come tentativi molto femminili di un’aggressione.
MC: Crush (2011) è un calco molto realistico del tuo corpo, nudo, come una torbiera appiattita e mummificata risalente all’età della pietra, ricoperta di quel che sembra essere una grande quantità di sperma. Perché ti sei messa in questa posizione? E come hai fatto a fare una cosa del genere?
AU: È una imbarazzante e leggermente melodrammatica descrizione di uno stato emotivo, di sentimenti di rifiuto e inutilità. Come la maggior parte dei miei lavori, ho cominciato con un’interpretazione molto stupida, letterale della parola “crush”. È la summa di tutte le infatuazioni che portano alle sofferenze che abbiamo sperimentato nel corso della vita, o nel corso dei secoli, se pensi che la protagonista femminile sia un archetipo di donna usata e abbandonata.
MC: Questa sembra un’affermazione incredibilmente negativa — ovvero che le donne siano essenzialmente ricettacoli di sperma — a proposito dei loro rapporti con gli uomini, e letteralmente “fatte a pezzi” dalla delusione delle loro aspettative.
AU: Sì, è vero. Crush è un autoritratto che soddisfa tutte queste richieste. È realizzato da una prospettiva femminile che cerca di mimare un distacco “da macho” e fallisce, evocando una violenta e degradante auto-distruzione. Le aspettative femminili sono solo parte di questo lavoro, ci sono anche aspettative culturali. Io rifiuto la cultura misogina perché vengo da essa e al contempo, anche se non è bello ammetterlo, non mi identifico con le attitudini sessuali liberali della società in cui vivo ora: entrambe le culture rimandano al senso di essere intercambiabili e quindi inutili. Per questo Crush è un lavoro su un fallimento personale e, in un certo senso, è nevrotico proprio per funzionare ottimamente nel mondo di oggi.
MC: Come la rappresentazione del tuo corpo schiacciato in Crush funziona diversamente rispetto alla versione schiacciata del tuo corpo che hai creato come parte di Vandal Lust (2011)?
AU: Il corpo in Vandal Lust è più di un sostegno, ma a parte questo sono molto simili. Entrambi i lavori alludono a eventi che risultano dalla decostruzione dei loro protagonisti. Sono parodie a cartoni animati che ti portano a immaginare un inizio ottimistico mentre ti stai confrontando con i postumi di un disastro. Questi lavori sono sculture per default: la loro funzione principale è di essere prove forensi di un fallimento.
MC: Qual è il fallimento di Vandal Lust?
AU: Vandal Lust rivisita una iconica installazione alle spalle della cortina di ferro: The Man Who Flew into Space from His Apartment di Ilya Kabakov (1988). Il lavoro riproduce un tipico appartamento sovietico all’indomani del lancio del suo abitante attraverso il soffitto per mezzo di un sistema di molle. Il tema della fuga era all’epoca presente in maniera esponenziale nella coscienza dell’Europa dell’Est e, a causa dei vari cambiamenti politici ed economici degli ultimi decenni, sopravvive ancora oggi. Vandal Lust riprende questo concetto, utilizzando una malconcia catapulta medievale per lanciare l’artista attraverso la finestra della galleria. Ma, a causa delle limitazioni fisiche dello spazio, il corpo finisce schiacciato contro il muro.
MC: Il corpo è il tuo, un autoritratto, spiaccicato come Wile E. Coyote contro un macigno: da dove stai cercando di fuggire? Dalla galleria?
AU: Scappare dalla galleria ed entrare nel mondo. Ma questo aspetto non è molto importante: io vedevo l’atto di fuggire più come un gesto convulsivo che è stato a lungo separato da un contesto significativo.
MC: Hai anche usato il tuo corpo per fare dei mobili; hai installato una scultura in un piccolo spazio su Delancey Street che consiste di 43 calchi coloratissimi del tuo sedere, assemblati come sedie. Come funziona invece questo autoritratto?
AU: L’idea era che se un pezzo fosse fallito come scultura, sarebbe stato ancora una comoda sedia — non è arte, ma almeno ti ci puoi sedere sopra. Gli autoritratti sono cominciati per ragioni simili. L’autoritratto è una delle cose più stupide e meno fantasiose nell’arte. È ammettere che non hai buone idee. Combina le due cose e avrai la sedia-sedere.
MC: Gli immigrati clandestini sono considerati impotenti dalla legge, e le persone hanno ancora paura di loro. “Magical terrorism” (2012), la tua terza mostra personale da Ramiken Crucible, era una sorta di manifestazione della potenza senza potere. Puoi spiegarci il concetto di terrorismo magico?
AU: Una volta ho letto la notizia di una protesta contro una legge emanata in Romania. Il governo aveva appena approvato una legge che riconosceva le arti magiche, che quindi diventavano una professione soggetta a tassazione. La chiromanzia e l’occulto sono lì un business in crescita, e le streghe non erano felici, così decisero di lanciare una maledizione sul governo. Questo è accaduto in concomitanza con Occupy Wall Street e sullo sfondo delle proteste nell’Unione Europea, che scemarono gradualmente senza ottenere grandi risultati. Ma il governo della Romania finì nei guai appena dopo la maledizione. Decisi così di fare un lavoro basato sulla supposizione che quella maledizione, che è una forma di terrorismo magico, aveva funzionato, e realizzai sculture di finta propaganda per celebrare queste streghe, che appartengono al gruppo etnico Rom, la quintessenza degli emarginati dell’Europa, quindi solitamente non celebrati con il marmo.
MC: Ogni cosa in mostra era basata su bambole e bancali, e la finestra di fronte della galleria era rotta, e i frammenti tutti sparsi sul pavimento. Perché?
AU: Voglio dire cose cattive perché credo che il tempo delle semplici critiche sia passato. Ma per essere perfettamente onesti, i vetri rotti non ci sarebbero stati senza l’incoraggiamento di Mike Egan, il mio gallerista e (fortunatamente) futuro marito. Ideologicamente l’intera cosa è problematica, ma mantengo i pezzi nella mostra mobili perché questo richiama lo stile di vita nomade dei Rom.
MC: Molti dei tuoi lavori sembrano provenire da una versione violata della realtà, come se tu stessi facendo a pezzi i frammenti delle contraddizioni della storia e li stessi mescolando, trasformandoli in forme e rendendoli sculture e disegni che esistono di per sé. E per questo penso che il tuo lavoro muta lo spazio intorno a sé, proprio come le sculture di Donald Judd cambiano le ragioni dello spazio che esiste intorno ad esse. Ma il tuo lavoro sembra anche cambiare la relazione fondamentale di tempo e storia intorno all’oggetto, così come lo spazio, seguendo un aggressivo annullamento di se stessi. Non stai scalando i gradini della conquista artistica — stai uccidendo i concetti di desiderio e di identità che ti hanno tradita per tutta la tua vita, sostituendo questi tradimenti con degli oggetti. Io ho il vantaggio di vedere il tuo lavoro in questo modo. Credo principalmente perché la tua prima scultura che ho visto era Ass to Mouth (2010) che è forse l’esempio più chiaro della tua arte e del tuo pensiero. Come sei arrivata a fare questo lavoro?
AU: Ass to Mouth era stata architettata all’ombra di due pilastri della “rumenietà”, Brancusi e Vlad l’impalatore. In Romania Brancusi viene riverito come un genio, si enfatizza il fatto che le sue sculture siano un distillato dell’arte popolare rumena e di conseguenza l’affermazione del genio del popolo rumeno nei secoli. Mentre la pittura rumena contemporanea ha avuto successo internazionalmente, la scultura è rimasta indietro, penso a causa dell’ossessione nazionale nei confronti di Brancusi. Uno dei suo lavori più famosi è la Colonna infinita, che è stata il punto di partenza per Ass to Mouth.
MC: La scultura sembra simulare l’esperienza di essere impalati e il piacere sessuale di un vibratore chiodato. Queste idee hanno un rapporto con le tue recenti sculture femminili, che incorporano quelle che sembrano essere fessure per le monete e genitali femminili? Brancusi sembra intrappolato lì da qualche parte, paralizzato dalla paura.
AU: Per me quel lavoro non ha nulla a che fare con il piacere e ha a che fare più con il fatto di avere cose spinte giù per la gola. C’è una connessione formale con le opere dei pali e la linea autonoma verticale, che è qualcosa di decisamente scultoreo. È anche legata al concetto pre-moderno dell’arte, in cui gli oggetti erano visti come qualcosa che possedeva un potere nascosto.
MC: Molti dei tuoi lavori sembrano essere una punizione in un certo senso.
AU: Ho molti sensi si colpa nel fare arte.
MC: Perché?
AU: Perché non credo sia completamente legale.