Michele D’Aurizio: Da dove vieni?
Andrea De Stefani: Vengo da un paio di posti. Ho vissuto undici anni a Venezia, mi sono trasferito lì per studiare all’università, ma poi ho deciso di prolungare la mia permanenza. L’ultimo anno l’ho passato ad Arzignano, un paese della Valle del Chiampo in provincia di Vicenza, che è il luogo in cui sono nato e cresciuto e dove ancora abita la mia famiglia.
MDA: Descrivi il paesaggio che ti circonda.
ADS: Sono a Venezia, seduto sulla soglia di casa; c’è una luce estiva feroce. Di fronte a me si estende uno spiazzo rettangolare sui 1000 metri quadri. I masegni sotto i miei piedi scottano e la loro disposizione a terra suggerisce una griglia prospettica incasinata, irregolare. Approssimativamente al centro del campo c’è un pozzo di pietra, alla sua base un piccione spacca l’immobilità della scena rovistando tra mozziconi di sigaretta e altri rifiuti di piccola taglia. Il perimetro della piazza è delimitato su tre lati da grossi edifici restaurati alla meglio, non proiettano ombre. Il fianco destro è solcato da un canale la cui acqua appare gelatinosa, ha il colore di un fondo di bottiglia. In alto, oltre lo skyline poco mosso, vedo il cielo, azzurro, piatto. Nell’aria c’è odore di acqua marcia e frittura di pesce; III Valley Prodigies, una canzone dei Liars, si diffonde dal mio computer.
MDA: Adesso descrivi il paesaggio che ti circonda tramite una metafora.
ADS: Stadio di San Zandegolà, tribuna centrale. Di fronte a me, fuori dal tempo, si svolge un incontro metafisico tra linee e campiture. Nessuno intende muovere per primo, è sospensione. Scopro che ogni azione di gioco è dettata esclusivamente dallo spostamento delle mie pupille. Spannung: Invasione di campo! La stasi è violata dal manifestarsi di alcuni fenomeni di ordinaria brutalità. La materia grezza si infiamma e dagli spalti fa sentire la sua voce. E io inizio a divertirmi.
MDA: Cosa ti suggeriscono certi materiali?
ADS: Ogni cosa al mondo ha diversi gradi di intellegibilità: proprietà chimico-fisiche, meccaniche e tecnologiche; campi di applicazione; struttura; aspetto esteriore; espressività; potenzialità; vicende storiche e curiose teorie della segnatura. Alcuni materiali (come pure alcuni oggetti) mi parlano più di altri, le storie che raccontano a volte mi affascinano, a volte mi lasciano indifferente. Capita che un materiale da cui sono attratto riesca a suggerirmi una sua volontà di riposizionamento o interazione, ma molto dipende dalle mie capacità interpretative e immaginative, e dalle circostanze dell’incontro.
MDA: Nella tua pratica artistica, perdi mai il controllo della forma?
ADS: Materia e forma sono alleate. In fase di prova spesso inciampo in reazioni impreviste della materia che ostacolano la mia volontà di controllo sul progetto. Questi incidenti però mi permettono di valutare i margini entro cui la forma potrebbe autodeterminarsi. A volte accolgo questa parziale indipendenza con entusiasmo, a volte mi porta a rivedere interamente i miei piani.
MDA: Descrivi l’opera Polygonal Lasso (2013), esposta nella tua ultima mostra personale “Smash-Up”, presso la galleria Fluxia, a Milano.
ADS: Polygonal Lasso è un’area geometrica disseminata di entità ibride provenienti dalla periferia urbana. Si tratta di un “paesaggio secco” modellato da varie ipotesi di smash-up, ovvero collisioni formali e ideali tra elementi naturali e artificiali.
MDA: Le tue opere sono la manifestazione di un’assenza o di una presenza? O meglio: di una fede o di sfiducia?
ADS: Condivido l’assunto secondo cui certe assenze si rivelano a noi come presenze, particolarmente aggressive ed estranee ai limiti della materia, e sono suscettibile al richiamo di tanta vanità. Ma credo anche che i limiti siano eccezionali qualità caratterizzanti: ci parlano del mondo sensibile, che è lo scenario nel quale sguazzo con più entusiasmo. Mi piace afferrare assenze, investirle di forma, impiastricciarle di mondo e renderle fisicamente vulnerabili; allo stesso modo, mi piace scovare presenze e alterarle, violentarle, rinvigorirle — magari attraverso parziali occultamenti. In ogni caso, i risultati di questi processi sono la manifestazione di una forte volontà di partecipazione rispetto alle “cose del mondo”, senza fede e senza sfiducia.
MDA: Racconta la tua ultima epifania.
ADS: Una notte camminavo lungo una statale deserta. All’improvviso, dalla roggia che costeggia il marciapiede, balza fuori una faina, mi schiva e avanza di un paio di metri. Si gira verso di me, si alza sulle zampe posteriori e mi fissa. In bocca stringe un flacone di Svelto Limone Turbo Sgrassante da 1000 ml. Neppure il tempo di prendere il cellulare per fotografarla, che quella riparte con uno scatto lungo la carreggiata. Digerito l’incontro, tornando verso casa penso:
a) Sicuramente quello era un flacone di detersivo, ma per quanto riguarda la faina devo controllare su Google.
b) La natura non teme alcuna collisione; tuttavia la tensione costante che la spinge all’equilibrio sfocia spesso in un evidente “umorismo da patibolo”.
c) Il paesaggio è un libro aperto che esprime le peculiarità di una cultura o di una società che opera in funzione di una cultura, con le proprie necessità e perversioni e i propri specifici rapporti ambientali.
Voglio imparare a leggere meglio i segni che mi si parano davanti.