Andrea bellavita: Io sono il tuo spettatore perfetto. Ero presente a Un certain régard per Bissfully Yours e a Documenta, Frieze e a Cannes per Mekong Hotel; ti ho seguito sul web e ho letto tutte le riviste hipster che hanno scritto di te. Ma chi è il tuo spettatore abituale?
AW: Tu sei perfetto, infatti! Si tratta di conoscerci attraverso i film nel corso degli anni. Penso e spero che i miei spettatori siano persone che amino un pizzico di attesa e mistero.
AB: Come definiresti lo spettatore? Un collezionista? Un amante? Un consumatore?
AW: Io stesso posso essere tutto questo allo stesso tempo. Diciamo che noi siamo fondamentalmente consumatori.
AB: Film, video e installazioni site specific: che tipo di rapporto hai con lo spazio e con gli spettatori?
AW: Io ho una formazione in architettura e penso che l’architetto che è in me lavora molto in termini di disegnare il tempo per un particolare spazio. Sto ancora imparando nel corso delle varie mostre. Il rapporto con il tempo è diverso per ogni spazio. Per i film conduci il gioco come un ipnotista, per un certo lasso di tempo. Per le installazioni site specific, invece, ci sono diversi momenti di sogno, di tempo, di intensità.
AB: Pensi sia possibile leggere il tuo lavoro come un dittico?
AW: Sei il benvenuto. Sono interessato alla dualità, al contrasto, al materiale e all’immateriale.
AB: Perché nei tuoi lavori audiovisivi hai il bisogno di separare la narrazione? Cosa significa un non-racconto?
AW: Io utilizzo differenti piani di narrazione in qualsiasi lavoro io faccia. È così che funziona, giusto? Cercare di trovare il senso nel turbine di storie e il loro infinito numero di realtà.
AB: Qual è la tua serie tv preferita? E quella di quando eri bambino?
AW: Mi piaceva Futurama, e anche le prime stagioni di Fringe. Penso che la protagonista Anna Trov sia straordinaria. Quando ero piccolo guardavo e leggevo un sacco di cartoni animati e manga. Ero anche drogato di drammi in costume thailandesi.
AB: Qual è il racconto che definiresti più lineare?
AW: Domanda difficile! Penso che tutto abbia la sua complessità, anche semplicemente la lettera “A”.
AB: Che cos’è un fantasma secondo te? E qual è il suo ruolo nell’atto creativo?
AW: Il paese nel quale vivo, la Thailandia, è pieno di fantasmi. Sono cresciuto programmato per credere nelle anime degli alberi, delle rocce, della terra. Poi ho cominciato a guardare alla nostra essenza attraverso lenti politiche, e ho scoperto che siamo stati posseduti per molto tempo. La paura del comunismo negli anni Cinquanta e Ottanta, le trappole di Confucio, la propaganda di Stato, la nascita della tirannia buddista… tutto produce costantemente nuovi fantasmi.
AB: Che cos’è una malattia? E qual è il suo ruolo nella creazione?
AW: I miei genitori sono medici e io tendo a riferirmi alle cose con i loro sintomi. Ci sono molte malattie bellissime (come l’amore). Molti dei miei lavori hanno origine dal tema della malattia (anche la mia location preferita per un film è l’ospedale). Mi piace la naturalezza della malattia. Il nostro corpo, il nostro cervello è una macchina straordinaria. Le illusioni. Tutto questo accade, ci infetta.
AB: Qual è la differenza tra fare un film e fare arte?
AW: Fare un film è una cosa piena di restrizioni, mentre fare arte è una cosa abbastanza libera. Ma a volte hai bisogno di restrizioni. È come un gioco. Quindi le diverse azioni che coinvolgono le immagini in movimento si completano l’un l’altra molto bene. Esse ti fanno esplorare le possibilità della narrazione in forme differenti. Ma io direi che un film è una creatura molto strana. Rende la vita più lunga. Rende l’ordinario straordinario.
AB: Dimmi qualcosa a proposito dell’ironia nel tuo lavoro. È una sorta di sarcasmo?
AW: Io mi godo la luminosità e l’oscurità della vita di tutti i giorni. E noi thailandesi sorridiamo sempre quando siamo nei guai. Sto cercando di rappresentare una sorta di commedia della sofferenza.
AB: Qual è il tuo rapporto con altri registi? Chi è il tuo preferito?
AW: Amo i vecchi registi europei o addirittura qualli scomparsi e i nuovi asiatici influenzati da loro. Jacques Rivette, Antonioni, Fellini, Tsai Ming Liang.
AB: E cosa mi dici degli artisti contemporanei? Dimmi la tua top 5.
AW: Rirkrit Tiravanija, Dominique Gonzalez-Foerster, James Coleman, Andy Warhol, Sharon Lockhart.
AB: Qual è l’opera d’arte o il video che vorresti vedere l’ultimo giorno della tua vita?
AW: Forse Blue di Derek Jarman, con il volume off.
AB: Come descriveresti il tuo lavoro in due parole? Reale/onirico, sicuro/malato, temporaneo/soprannaturale, prima/dopo, giusto/sbagliato, simbolico/immaginario?
AW: Luce/buio.
AB: Qual è la cultura più distante da te?
AW: Non sono sicuro di aver capito bene la domanda. Ma direi che sono sempre perplesso e imbarazzato di fronte alla cultura di una grande città.
AB: Qual è il tuo piatto preferito francese, thailandese e internazionale?
AW: Noodle saltati con uova e aglio. Chirashizushi. Qualsiasi cosa con l’avocado.
AB: Quando eri bambino, desideravi diventare…
AW: Un regista e un veterinario.
AB: Che cosa è il mito per te? E qual è la differenza tra un mito e una leggenda? E tra una leggenda e una superstizione?
AW: Io penso che ci siano diverse realtà per le persone, come la religione. Eccetto forse che non implicano molti soldi.
AB: I tuoi film vogliono dare piacere al pubblico?
AW: Vogliono suscitare certe emozioni, sì.
AB: L’ultima volta che hai provato piacere?
AW: Troppi momenti per elencarli qui. Soltanto ieri ero malato in un ospedale e il semplice gesto di riuscire a muovere il corpo era piacevole. Oggi la cacca del mio cane aveva una bella forma e questo mi ha reso felice. Qui è la fine dell’inverno e tutte le foglie secche stanno cadendo, specialmente quelle di bambù. Mi piace moltissimo vederle sparpagliarsi.