“Wolves” è una mostra che comprende sculture, immagini in movimento, suono e, soprattutto, scrittura dell’artista, critica, curatrice e editrice statunitense Aria Dean. Allestita negli spazi di Progetto, a Lecce, l’esposizione dimostra quanto sia futile dilungarsi su sofismi e tautologie o interrogare esplicitamente l’artista, che ammette liberamente di cercare qualcosa di “impossibile” nel materiale e nel testo. Prodotte in situ nelle quattro stanze comunicanti che si sviluppano attorno al piccolo e luminoso cortile centrale di un palazzo del XV secolo, le tre fasi di “Wolves” – il film omonimo, una serie di sculture in ferro e l’installazione Mare (tutti del 2023) – si muovono discretamente e sardonicamente attorno ai temi dell’umanesimo liberale, della politica della parola e della vista e della critica agli sforzi umani di esercitare un controllo sugli animali.
Riflettendo lo spirito di Box with the Sound of Its Own Making (1961) di Robert Morris – un cubo di legno di nove centimetri per nove che emette i suoni del martello e della sega prodotti durante la sua stessa creazione – FIGURE A, Friesian Mare (2023) raffigura la forma di un cavallo giocattolo sovradimensionato, e perdipiù da poco passato attraverso un compattatore di rifiuti. Premettendo che “il minimalismo elude quasi completamente la sfera rappresentativa”, per Dean la figura o l’oggetto del cavallo preterintenzionalmente distrutto diventa una figura associativa, un proxy. In cima a un pallet di legno riciclato e strati di polistirolo, giace un pesante medaglione di pietra leccese, sulla cui superficie sono incisi gli zoccoli, il muso, il corpo, le zampe e la criniera di un altro malcapitato pony. “Ha chiesto al programma di liquefare la scansione del giocattolo e di lanciarlo contro un muro”, mi ha spiegato Jamie Sneider, artista e fondatrice di Progetto. Collocata in posizione appena sfalsata rispetto al motivo al centro del mosaico che riveste il pavimento, la scultura è illuminata in modo surrettizio da una luce screziata che penetra attraverso una fessura nelle imposte. Mare è un omaggio alla regione; Dean si chiede: “Cosa accadrebbe se si liquefacesse un cavallo, lo si lanciasse contro un muro e poi lo si facesse realizzare in Puglia?”.
Nella seconda stanza intermedia, più piccola, cinque campane di ferro sono appese al soffitto all’altezza della testa, fiancheggiando le porte e il lato destro della finestra aperta che dà sul cortile. Le campane, che hanno come titolo una serie di parole masticate (poulet opal, pooled, LUPO, loop loop loop e Leo lopes opaque, tutte del 2023), sono opportunamente prive di battagli, rendendo di fatto vana la loro funzione di strumento per la pastorizia. Senza campane, un pastore non può sapere dove si trova il suo gregge quando sfugge alla sua vista. Quel tintinnio ondulatorio aiuta a tenere lontani i predatori e si dice che contribuisca a tenere calmi gli animali. Tuttavia, una rigorosa e aprioristica logica carceraria informa questi oggetti e le opere d’arte modellate di conseguenza: l’idea che dei collari che suonano con il movimento siano forniti per motivi di sicurezza anziché per garantire al proprietario il mantenimento della sua proprietà – specie dal momento che essi sono qui installati come trofei – è moralmente fuorviante.
La colonna sonora di “Wolves” – composta dal compagno dell’artista, Laszlo Horvath, che l’ha accompagnata nel viaggio in Puglia e in tutta la fase di produzione della mostra – riecheggia fievole negli alti soffitti delle stanze. Nel terzo ambiente, insolitamente vuoto, le imposte sono chiuse, e la porta che solitamente collega le sale tre e quattro, dove è installato Wolves, è bloccata da un cancello di ferro nero, Il recinto (2023). Il design elementare a barre verticali del cancello, prodotto a Squinzano, è complicato dall’inserimento di quattro spirali a forma di S distribuite su barre parallele, creando un motivo non dissimile dal segno del dollaro americano. La visione dell’opera è doppiamente ostacolata dalla presenza di un proiettore montato su un sostegno e festonato di cavi. Il film, della durata di venticinque minuti, è stato realizzato presso una fattoria di pecore e un caseificio locale e si compone di buio e suono, seguiti da un’unica ripresa improvvisata. Delle pecore in gregge si annidano tra loro sul lato sinistro dell’inquadratura, con le campane che battono. Poi indietreggiano quando il Labrador che le sorveglia impartisce dei comandi; quando il cane si muove per abbaiare alla macchina da presa di Dean, con una zampa alzata, esse si mescolano dietro di lui; quando si siede abbaiando e ringhiando, le pecore sbattono le palpebre e le campane si placano.
Si presume che la popolazione di lupi in Puglia sia raddoppiata durante la pandemia. Le inferenze contenute in questa nozione aneddotica – così come il fatto che le pecore vengono munte quando vengono nutrite, o che vengono nutrite quando vengono munte, una tautologia che contiene implicazioni separatamente complicate – forniscono una profondità inespressa al lavoro di Dean, che in questa iterazione si interroga sul modo in cui l’agency è coinvolta nelle relazioni uomo-animale e sui transfer tra le posizioni implicite del soggetto.