Etsuro Sotoo è uno scultore giapponese che da oltre trent’anni si occupa delle statue della facciata della natività della Sagrada Familia, la straordinaria basilica di Barcellona progettata e iniziata dall’architetto Antoni Gaudí nel 1882 e non ancora terminata. Tuttavia il 7 novembre di quest’anno, durante una visita di Benedetto XVI in Catalogna, il tempio verrà consacrato. Etsuro Sotoo è soprattutto membro della Junta Constructora, l’equipe di artisti che in collaborazione con architetti, designer e ingegneri dirige i lavori dell’eterno cantiere modernista, e nel suo piccolo studio non lontano dalla chiesa fa nascere le idee per i modelli che poi verranno consegnati ad assistenti perché li realizzino coprendoli di maiolica in piccole tessere. Il romantico e paradossale episodio di Barcellona è però utile a introdurre alcuni concetti riguardanti i rapporti tra la Chiesa e l’arte che non sono mutati con la contemporaneità: la necessità di un immaginario che si misuri con l’eternità, l’evoluzione della tradizione in un linguaggio che parli all’uomo e che faccia i conti con la liturgia, l’architettura sacra come uno dei principali teatri dove l’arte possa trovare espressione, la reale tensione tra l’autonomia dell’arte e la sua assunzione al servizio della Chiesa. Su questo ultimo passaggio vale soffermarsi, ben prima di percorrere un logoro percorso di analisi intorno alle differenze in epoca contemporanea tra ars religiosa, ars sacra e ars liturgica. La fede chiede infatti di essere resa percepibile non solo attraverso l’ascolto della parola di Dio ma anche attraverso gli altri sensi, soprattutto la vista. Questa relazione ha costituto la base teologica che segnò la fine dell’iconoclasmo e rese possibile un’immensa produzione artistica nelle chiese d’Oriente e d’Occidente.
Il rapporto della Chiesa con le arti è da lungo tempo oggetto di dibattito, anche se negli ultimi due anni ha riconquistato gli onori speculativi della cronaca. In Europa e altrove ci si sforza di migliorare quelle relazioni di cui Paolo VI aveva lamentato l’interruzione nel suo celebre discorso (Lettera agli artisti) del 1964, al quale si è richiamato papa Benedetto XVI nell’incontro con agli artisti il 21 novembre 2009, dove anch’egli ha sottolineato come la Chiesa abbia bisogno delle arti. Non ultimo l’evento della prossima Biennale d’Arte di Venezia del 2011, che vedrà per la prima volta un Padiglione della Santa Sede. Un’idea del presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, monsignor Gianfranco Ravasi, che avrà di certo il merito con l’ufficialità della manifestazione e il conseguente riscontro mediatico di suscitare l’interesse di nuove porzioni dell’opinione pubblica e non solo di quei gruppi di addetti ai lavori che da tempo ragionano sul delicato rapporto tra arte del nostro tempo e Chiesa del nostro tempo. “I discorsi che l’interesse cristiano consuma a proposito dell’arte si precipitano prevalentemente sul bisogno, a mio avviso abbastanza ingenuo, di definire gli aggettivi sacra, religiosa, liturgica, scavalcando completamente il compito di affrontare una riflessione sul sostantivo arte. La questione di sostanza è appunto sul concetto arte, su cosa sia diventata nel frattempo l’esperienza dell’arte per l’uomo contemporaneo. Evitando questo affondo e limitandosi a limare quello che resta dei piccoli contenitori confessionali, la riflessione e la pratica cristiana dell’arte in realtà restano semplicemente al di qua della vitalità culturale contemporanea, oltre che fallire il compito del tutto evangelico di una fraternità culturale con il presente. Questo passaggio è più decisivo di qualsiasi caratterizzazione dell’arte in quanto sacra, religiosa, liturgica”. Questo parere è un pensiero di Giuliano Zanchi, teologo e sacerdote nonché direttore del Museo diocesano di Bergamo, ma anche fautore della riapertura di un antico oratorio del Settecento, San Lupo, edificio di proprietà della diocesi ridotto a magazzino e ora riconvertito in spazio museale. San Lupo è un luogo in cui artisti sono chiamati a interpretare passi delle scritture o significativi interrogativi tra uomo e Dio. Il lavoro svolto da Zanchi rappresenta un esempio di come potrebbe agire la numerosa rete di musei diocesani, raccogliendo tracce di identità locale sia storica che contemporanea e impastandole con gli stimoli degli artisti. Per ora sono stati coinvolti Jannis Kounellis, Giovanni Frangi, Ferrariofreres, per fare solo alcuni nomi, ma il valore dell’iniziativa sta tanto nella qualità intellettuale delle opere quanto nell’essere un progetto curatoriale che ha il merito di smuovere le coscienze, di porre degli interrogativi, di essere una forma discreta, opinabile ma chiara e autentica di educazione alle forme dell’arte contemporanea. Una riflessione sul campo che va oltre il tentativo del convegno dello scorso giugno presso la comunità di Bose, in Piemonte, dal tema “Liturgia e Arte.
La sfida della contemporaneità”, in cui insigni teologi, liturgisti, religiosi e studiosi hanno condiviso un catalogo di occasioni in cui l’arte contemporanea si è ritrovata in chiesa. Certo vi sono delle differenze tra l’installazione permanente di un’opera d’arte all’interno di un polo liturgico, un intervento temporaneo in un museo o casi di spazi multiconfessionali che vanno dallo straordinario esempio della Rothko Chapel ai casi più standardizzati ma non per questo banali delle cappelle degli aeroporti. Eppure l’annuale riunione di Bose, punto di incontro di diverse comunità religiose e intellettuali pronte a dibattere sullo stato dell’arte e sui rapporti tra architettura, arte, urbanistica e liturgia, si è arenata in quella distinzione sopra indicata tra arte religiosa, sacra e liturgica che Albert Gerhards, professore presso l’Università di Bonn, sintetizzava nelle conclusioni del convegno con differenti binomi. Gerhards parlava appunto di “arte religiosa-arte non religiosa: l’opposto dell’arte religiosa non è il profano, ma il secolare — la negazione di ogni trascendenza. Arte sacra-arte non sacra: l’arte sacra tradizionale è andata in crisi, perciò è nato l’iconoclasmo nelle chiese moderne. La questione, se si possa continuare con l’iconografia tradizionale, è aperta. Arte liturgica-arte non liturgica: ci sono delle esigenze pratiche da parte della liturgia, come il criterio di funzionalità. Un altro criterio è quello del luogo dell’opera d’arte nello spazio liturgico”. Una sintesi rassicurante ma per certi aspetti riduttiva che sfiora soltanto la questione della bellezza partecipata che l’arte in chiesa deve infondere. Per dirla con Hans Urs von Balthasar, di che qualità è una bellezza che include la gloria di Dio e la teologia della croce? Una strada è il dialogo con le grandi figure dell’arte contemporanea, con gradi artisti del nostro tempo per scrivere a quattro mani alcune ipotesi di soluzioni convincenti, di prospettive per il futuro. Non è una strada semplice: dietro l’intervento di Richter nella cattedrale di Colonia (una grande vetrata), di Barcelò nella cattedrale di Palma di Maiorca (il rifacimento di una cappella laterale), ci sono state estenuanti tensioni tra l’artista e l’istituzione, un complesso processo di mediazione che garantisse all’artista autonomia e alla committenza un grado accettabile di servizio e funzionalità. Non sempre queste strade portano a un risultato o a una conclusione: il caso della Via Crucis di Frank Stella per la chiesa di Tor Tre Teste a Roma disegnata da Richard Meier è emblematico. L’opera giace nello studio dell’artista in attesa che si sblocchi una controversia che solo apparentemente è economica. Sebbene esistano delle difficoltà culturali e sostanziali, è quando la Chiesa sceglie di tornare a essere committente e riaccendere il dialogo tra artista e comunità che avvengono cambiamenti utili sia sulla scala locale che su quella nazionale, divenendo casi sperimentali, moltiplicatori d’opinione. Alcuni esempi: il processo di adeguamento liturgico della cattedrale di Reggio Emilia promosso da monsignor Tiziano Ghirelli vede la partecipazione di artisti come Ettore Spalletti e Hidetoshi Nagasawa; la riapertura della raccolta d’arte del cardinal Giacomo Lercaro a Bologna che contiene opere dei grandi maestri della pittura e della scultura del Novecento segna anche una collaborazione con il centro culturale San Fedele di Milano, dove la condivisione di esperienze e la realizzazione di un centro studio ha riattivato una rete in cui sono coinvolti attori del sistema dell’arte; l’attività di conservatrice e curatrice di Micol Forti, responsabile della sezione contemporanea dei Musei Vaticani. Pochi ma seri tentativi di riconciliazione tra Chiesa e arte contemporanea.