Nel finale del film Oltre il giardino [Being There, 1979], interpretato da Peter Sellers, in occasione di un’orazione funebre, sono ricordate alcune frasi celebri pronunciate dall’estinto. Tra queste, è possibile ascoltare l’asserzione “La vita è uno stato mentale”, frase che sembra voler sintetizzare la filosofia di vita del protagonista Chance Giardiniere. Un’affermazione suggestiva, che pone l’accento su due termini: essere nel mondo produce dei riflessi mentali che possiamo considerare come la vita stessa. Noi diveniamo il nostro pensiero, il nostro stato emotivo o razionale dinnanzi ai cambiamenti della realtà. Questo approccio può servirci per evidenziare un modo estremamente attuale di concepire l’opera d’arte. Molti artisti oggi operano all’interno di questa simbiosi tra stato mentale ed eventi reali. La propria vita, e lo stato d’animo indotto, diventano punti di partenza per elaborare strategie estetiche che plasmino e diano forma a queste condizioni. Nella prospettiva ora suggerita possiamo collocare le opere di Simone Barresi, che rivelano attitudini personali, proprie dell’artista, nel momento di stabilire un punto di confronto con il mondo. Un’attenzione particolare è rivolta ad esempio al desiderio di armonizzare elementi artificiali e naturali, e la scelta dei materiali in gioco appare in questo senso significativa: il cemento, la plastica, il polistirolo si trovano a interagire con la presenza dell’uomo ma anche con elementi vegetali oppure organici. Anche il colore gioca un ruolo importante introducendo aree di confronto tra figurazione e astrazione. In Attento Saverio! tutti questi fattori concorrono a determinare un’unica e semplice immagine fotografica: una palla arancio, come fosse pilotata da una misteriosa forza fuori campo, schiaccia il volto di una persona su un muro di cemento, mentre sullo sfondo intravediamo alcuni alberi. Anche in questo caso Simone Barresi sceglie modalità flessibili per costruire un ponte tra realtà e riflessi mentali, senza chiudere mai l’accesso alle componenti emotive. La carica “mentale” che possiedono i suoi interventi si manifesta in modi fortemente liquidi e invasivi, evidenziando un estremo grado di libertà d’indagine. Ci troviamo a una netta distanza rispetto alle esperienze concettuali degli anni Sessanta e Settanta che ora possono apparire maggiormente formali. In quel momento storico emergeva una tendenza all’analisi linguistica, oggi diversamente, in un clima di maggiore indipendenza nei confronti dei registri espressivi, il punto focale verte sulle componenti emotive e sulle forme di relazione con il mondo.
Anche Paolo Gonzato si muove in una direzione analoga. Nel suo caso assistiamo a una maggiore sensibilità verso l’esperienza personale e il dato autobiografico. L’ego dell’artista e la dimensione narcisistica costituiscono un filtro per orientare una sensibilità fortemente estetica ed edonistica. Trovano spazio superfici seducenti, materiali riflettenti, e una particolare attenzione a cromie sezionate e scomposte in modi analitici. In alcuni casi, gli oggetti risultano avvolti da un certo grado di sex appeal, come nel caso dell’installazione The Sound of My Ego, costituita da un ramo fasciato di nastro viola, le cui estremità sono coperte da palle da tennis gialle, e poggiante su una banalissima scatola da imballaggio in legno. A ciò si deve aggiungere una sorta di decorazione natalizia che ribadisce un tono formale volto verso un aspetto scenografico. Ma si tratta di una attitudine che seduce e incuriosisce per l’imprevedibilità degli accostamenti e per uno spirito giocoso che sottilmente aleggia senza mai forzare i limiti. Nell’opera Gold Experience, una bicicletta senza ruote, rubata alla stazione Garibaldi a Milano, è stata ricoperta d’oro ed esposta esattamente nella stessa posizione in cui si trovava al momento del furto. Lo spettatore la può osservare legata in verticale a una finestra con un vetro rotto, posizionata esattamente nello stesso modo in cui il proprietario l’aveva originariamente assicurata a un’inferriata, servendosi di una catena antifurto. L’artista, dunque, ha scelto di idealizzare la bicicletta e l’azione del furto — in quanto frammenti provenienti dalla realtà — per connettersi immediatamente e senza retorica alla città. Ma questo omaggio al tessuto cittadino è stato rivisitato e reinterpretato mediante una trasfigurazione completamente personale. Anche in questo caso, l’identità dell’artista costituisce il filtro con il quale relazionarsi con il mondo e selezionarne alcune parti per ricostruire, in base a un proprio codice di valori, il contatto con le cose stesse. In una prospettiva completamente differente si muove Felice Serreli. Nei suoi interventi, il senso dell’organico e del biomorfo ha il sopravvento. L’artista evidenzia atmosfere evanescenti sia attraverso il mezzo pittorico sia con fotografie o installazioni. Nel dipinto Freezer l’apertura e l’instabilità di un universo formato da bolle e formazioni gassose si fonde con una cromia accesa. Ma tutti gli elementi curvilinei appaiono come universi chiusi, autoreferenziali, contenuti nei propri contorni che ne delimitano i perimetri. Come macchie d’olio colorate, non mescolandosi tra loro, queste aggregazioni di elementi giungono ad accostarsi senza mai fondersi reciprocamente. Su questa cornice il fondo bianco pone in evidenza ogni più piccolo dettaglio, divenendo un campo di forza sul quale gravitano gli agglomerati di materia.
Anche Michael Fliri trae energia da uno stato mentale fortemente stimolato dall’incontro con gli oggetti che lo circondano. A questa condizione di partenza segue un’attenzione alla costituzione di un processo, a una trasformazione di stato che modifichi una serie di variabili poste in gioco. L’agire sul vestito, ad esempio, spesso gli consente di giocare sul tema dell’identità e di innescare una mutazione. Non solo i costumi e i materiali, ma anche lo spazio espositivo può essere la scintilla che genera il punto focale dell’opera. Se lo spazio che accoglie la mostra è la Rocca Sforzesca di Imola, allora l’identità dell’artista si proietta nell’immaginario suscitato dal luogo stesso. La serie fotografica “The Magnificent Seven” che ritrae delle armature di cartone utilizzate per fasciare il corpo del performer, diventa il veicolo per stabilire un punto di contatto con il quotidiano, scegliendo un materiale consueto, ma soprattutto, mediante il concetto stesso di armatura, si coinvolge la dimensione storica. A questo punto, il guerriero Fliri può viaggiare mentalmente nel tempo ed accogliere quegli elementi di fascinazione che giungono dall’idea di abbandonare il proprio ruolo e i propri vestiti per abbracciare un universo differente.
L’esigenza principale è di risvegliare, con una certa dose di ironia, il senso dell’avventura, oppresso dalla feroce morsa dei doveri quotidiani che giornalmente ci impediscono di utilizzare a fondo le nostre risorse immaginative. Se vivere corrisponde a immergersi in uno stato mentale particolare, le possibilità del proprio ego di seguire più direzioni costituisce una ricchezza a cui non si può rinunciare. In questo senso, nelle sue opere Fliri suggerisce percorsi sempre imprevedibili, oppure T-Yong Chung, artista di origine coreana, preferisce definire uno spazio del pensiero che lo ponga in contatto con le memorie di vita più radicate nel suo inconscio. Nei suoi interventi, l’artista vuole rivivere un rapporto con gli oggetti e la realtà che sia in sintonia con le esperienze vissute nella propria infanzia. Partendo dalla banalità del quotidiano, sono innescati rimandi poetici legati al fantastico. Come nella fotografia Compass, che propone una misurazione del tutto personale del cielo e della distanza tra le stelle, oppure in alcuni disegni e dipinti su fondo nero, dove risaltano oggetti quotidiani, colti in un punto di confine con l’astrazione. In queste opere, il segno utilizzato diventa una traccia luminosa che anima gli oggetti, certamente riconoscibili e identificabili, ma dalla consistenza di ectoplasmi giunti da una realtà parallela. Queste soluzioni mostrano il desiderio di immergersi in un cosmo misterioso che non prescinda dalla percezione della realtà stessa. Una relazione con la quotidianità, che però viene rivissuta e trascritta attraverso gli strumenti della pittura, della scultura o, in altri casi, servendosi di operazioni concettuali. I punti di contatto con il mondo, rivisitati creativamente dall’artista, rivelano uno sguardo innocente, che vuole restituire una carica emozionale, non corrotta dall’abitudine o dai rapporti legati alla funzione degli oggetti stessi.