Francesco Vezzoli: Iniziamo con il film Caligola. Cosa hai pensato quando lo hai visto la prima volta?
Bob Colacello: Ricordo Diana Vreeland e il nostro appuntamento per vedere la prima. Debbie Harry aveva per caso sentito Diana dire: “Bobby e io andiamo a vedere Caligola domani sera!”. Così ha chiesto se poteva venire con noi. Naturalmente è arrivata in ritardo. Ci siamo precipitati nel teatro, con le luci che si stavano spegnendo. Non c’erano posti liberi tranne di fronte allo schermo. Debbie Harry ci precedeva. Portava un fazzoletto in testa, proprio come Jackie O. Appena se lo è levato, nel buio le persone hanno iniziato a dire: “È Debbie Harry! È Blondie!”. Quando il film è incominciato, Diana ha preso il suo binocolo da teatro. Le dico: “Diana, siamo in prima fila!”. E lei: “Bé, non voglio perdermi neanche un dettaglio!”. Alla fine della proiezione era furiosa: “Franco Rossellini mi aveva detto che questa era la versione integrale. Questo film è stato tagliato!”. Le dico: “Diana, cos’altro avresti voluto vedere che non hai visto?”. “Bé, quella scena in cui lui va a letto col cavallo… all’improvviso c’è un jump cut. Io so riconoscere un jump cut”. “Mi stai dicendo che volevi vedere qualcuno fare sesso con un cavallo? È questo che mi stai dicendo Diana?”. “Bé, dai, questo è Caligola! Volevo vedere qualcosa di fantastico. Volevo vedere qualcosa di favoloso e incredibile!”. Fuori dal teatro, abbiamo invitato Debbie a cena ma lei ha rifiutato dicendo: “Non posso davvero, mia nonna è morta due giorni fa e devo andare al funerale. Anzi, alla veglia”. Così ha preso un taxi. Diana era sbalordita. “Ho sentito bene? Doveva andare alla veglia di sua nonna e invece è venuta a vedere Caligola?”. Fu “questo” che Diana trovò scioccante, non il film… a me non era sembrato un film molto buono.
FV: Penso che Caligola sia una pietra miliare nella storia del cinema, perché ha finito per essere rubato dal suo regista. Mi ricorda Le Mépris e i contrasti tra Jean-Luc Godard e Carlo Ponti, proprio come tra Tinto Brass e Bob Guccione. Questo film ha così tante anime… Guccione aveva inserito alcune scene porno, dando i ruoli principali alle sue starlet di Penthouse. Così, in alcune scene vedi il volto di Malcolm McDowell e poi il corpo nudo di qualcun altro. E poi c’è la sceneggiatura tagliente di Gore Vidal… Alla fine, tutti hanno denunciato tutti. Tinto Brass ha citato Guccione, Guccione ha citato Tinto Brass. Gore Vidal ha citato Rossellini e Rossellini ha citato Guccione…
BC: È vero, e la cosa è durata a lungo. Doris Duke pagava le parcelle legali di Franco Rossellini. Il cast dei personaggi era molto interessante. Magari non è il miglior film che abbiamo mai visto, ma è uno dei più traumatici. Ci potresti scrivere un romanzo. Ricordo che all’inizio il progetto includeva Paul Morrissey come regista e Mick Jagger come Caligola. Gore Vidal scrisse la sceneggiatura. A un certo punto Franco e Gore si sono resi conto che non sarebbero riusciti a trovare i finanziamenti con Paul Morrissey come regista, così lo hanno liquidato. Poi anche Mick Jagger è uscito di scena. Ad ogni modo, è finita come tutti sappiamo.
FV: Hai conosciuto Franco Rossellini?
BC: Sì, lui era il migliore. Una delle persone più divertenti che abbia mai incontrato. Una volta eravamo in Grecia e siamo andati a cena da Stavros Niarchos. Suo figlio Philip ci aveva invitato per tirar su di morale il padre. Franco riusciva a far ridere chiunque. A un certo punto dice: “Sono in un tale pasticcio con Doris. Sono intrappolato tra Doris e Imelda, perché sono stato io a convincere Doris a prestare a Imelda 5 milioni per pagarle la cauzione. Tu lo sai Stavros, non te lo devo dire io, quanto sono tirchi i miliardari, nessuno è più tirchio di un miliardario!”. Stavros non riusciva a smettere di ridere. Questo era Franco Rossellini.
FV: Che tipo di rapporto aveva Franco Rossellini con Andy Warhol?
BC: All’inizio degli anni Settanta Andy ha fatto due film in Italia con Paul Morrissey, Frankenstein e Dracula, prodotti entrambi da Carlo Ponti. Andy e Paul hanno trascorso molto tempo a Roma e hanno potuto conoscere Franco abbastanza bene. In quel periodo stava producendo un film con Elizabeth Taylor intitolato The Driver’s Seat, tratto da un romanzo di Muriel Spark, una specie di thriller. E ha chiesto ad Andy di comparirvi. Un film così scarso che è uscito solo a Monte Carlo. La principessa Grace aveva presenziato alla prima per fare un favore a Franco. È stata una prima incredibile. C’erano sia Niarchos che Onassis. Andy aveva questa piccola parte, ma è stato un incubo, perché non riusciva a ricordarsi le battute. Anche Elizabeth Taylor era molto giù in quel periodo, si trovava nel bel mezzo dei suoi due matrimoni con Richard Burton. Non arrivava sul set prima delle quattro del pomeriggio, quindi praticamente lavorava un’ora. Ci sono volute due settimane per girare una scena che avrebbe richiesto due giorni. È stata girata in un aeroporto di Roma. È stato allora che ho cominciato a scrivere un diario, il primo dei miei diari. Vivevo in una villa che Andy aveva affittato per fare Frankenstein e Dracula. Mi aveva chiesto di restare, così avrei potuto prendermi cura del suo cane Archie mentre lui provava a recitare.
FV: È stata quella l’occasione in cui si è deciso di pubblicare i tuoi diari su Interview?
BC: Un po’ più tardi. Quando sono tornato da Roma ho incontrato Leo Lerman, il futuro editore di Vogue. Mi chiede cosa sto facendo e gli parlo del diario; e lui mi dice che lo vuole per Vogue. In seguito Alexander Liberman ha pensato che fosse troppo “mondano” per Vogue. Così lo ha spedito a Helen Gurley Brown di Cosmopolitan. Ero furioso perché non volevo ritrovarmi su Cosmopolitan… Fortunatamente Helen lo ha rispedito ad Alex dicendo: “È davvero troppo sofisticato per Cosmo!”. Alla fine Alex ha ceduto e il diario è stato pubblicato su Vogue. Il successo fu tale che Leo voleva che lo facessi ogni mese. Andy è venuto da me: “Bé, non puoi farlo per Vogue! Devi farlo per Interview!”. Ed è stato così che Bob Colacello ha iniziato, con il film di Franco Rossellini. Ho amato veramente Franco, è stato indubbiamente uno dei protagonisti degli anni Settanta.
FV: Ho sempre pensato che ci fosse una specie di legame tra il lavoro di Andy Warhol e i film di Roberto Rossellini, e mi sono chiesto se si fossero mai effettivamente incontrati. Ma non ho trovato alcuna prova certa… Sai se Warhol ha mai avuto contatti con Rossellini?
BC: Probabilmente si sono incontrati, ma io non c’ero. Non lo so.
FV: Warhol amava i film di Rossellini?
BC: Non posso dirlo con certezza. Andy solitamente amava più i film sul genere spaghetti western o dell’orrore che quelli di Rossellini o Bertolucci o Antonioni. Ha sempre dichiarato di essere contrario ai film artistici e intellettuali. Non ricordo Andy far commenti su Roberto Rossellini. Io amavo Rossellini da quando frequentavo la scuola di cinema. Penso sia stato uno dei più grandi registi italiani.
FV: Dove hai studiato?
BC: Ho studiato cinema alla Columbia University con Andrew Sarris. Per il corso di critica cinematografica dovevamo recensire ogni settimana un film che era fuori nelle sale in quel periodo. Ogni settimana, su venti studenti del corso, Sarris pubblicava i due o tre pezzi migliori su The Village Voice. Le mie recensioni venivano pubblicate abbastanza regolarmente. Ho ancora un album che le raccoglie. Mi sembra di aver recensito The Conformist.
FV: Come hai conosciuto Andy Warhol?
BC: Avevo recensito Trash di Andy Warhol per il The Village Voice. L’ho conosciuto tramite Paul Morrissey. Paul un giorno mi chiama e mi chiede se voglio scrivere per Interview, che allora non aveva più di un anno.
FV: E così è iniziato tutto….
BC: Nel giro di sei mesi sono diventato redattore di Interview e sono rimasto alla Factory per i successivi 12 anni.
FV: Hai visto la notte degli Academy Awards1? Ti è piaciuta?
BC: Hollywood mi interessa pochissimo e gli Oscar non mi sono piaciuti per niente. Ogni anno provano a renderli più interessanti ma penso che invece dovrebbero abbassare il tono. Dovrebbero semplicemente tornare all’auditorium con le tende di velluto rosso e il podio. Ogni star dovrebbe uscire, prendere il suo premio, fare il suo breve discorso e stop. Oggi lo spettacolo è troppo costoso e non ha ancora una fisionomia. Sembra un incrocio tra The Price Is Right e The Apprentice. Perfino il presentatore, Chris Rock, era totalmente inadeguato. Perché risultava divertente solo se offensivo. Il presentatore dovrebbe essere qualcuno come Hugh Grant. O più come Johnny Carson o Bob Hope.
FV: Forse l’industria cinematografica di oggi è esattamente un incrocio tra la cultura hip-hop e i reality show…
BC: Non so… l’anno scorso sono stato molto occupato a finire il mio libro su Reagan e poi a promuoverlo. Non ho avuto tempo per i film. Ho visto due film che hanno avuto le nominations. Finding Neverland mi è piaciuto molto. Adoro Johnny Depp, è un attore eccezionale perché dopo un po’ ti dimentichi che è Johnny Depp. Finding Neverland illustra molto bene il processo creativo, mostra come uno scrittore possa prendere materiali differenti e trasformarli in finzione. Anche Julie Christie è stata fantastica. Ho visto anche Closer e non mi è piaciuto per niente. Non mi piacciono i film come quello. Troppo tetro, troppo pesante. Il mio genere di film è Catch Me if You Can. Quello è un film fantastico!
FV: C’è un legame tra Andy Warhol e Ronald Reagan? So che alcune persone non capiscono come tu possa aver scritto Holy Terror: Andy Warhol Close Up e poi la biografia di Reagan. Personalmente non vedo alcun contrasto, in un certo senso simboleggiano entrambi il sogno americano. Perciò non mi sembra strano se vengono messi sullo stesso piano o se vengono recensiti nella stessa pagina. Hai scritto la biografia di una star cinematografica che poi è diventata presidente. In questo senso, è molto warholiano…
BC: È vero. Ronald Reagan in un certo senso era un “presidente Pop Art”. È stato il primo divo cinematografico a diventare presidente. In effetti George Murphy è stato il primo divo cinematografico a diventare senatore; era amico di Reagan e lo ha preceduto nella politica di due anni. Come Andy Warhol, Reagan è stato per me una grande storia americana, la personificazione del mito dell’America come la terra delle opportunità. Sia Andy Warhol che Ronald Reagan provenivano da famiglie povere e da posti sconosciuti. Hanno avuto entrambi un padre su cui non hanno potuto contare. Il padre di Andy era un minatore di carbone e morì quando Andy era molto giovane. Il padre di Ronald Reagan era un alcolizzato che a fatica riusciva a tenersi un lavoro. Così tutti e due si sono legati alle madri, due donne molto religiose le cui vite ruotavano attorno alle loro chiese. Nel caso di Andy, la Eastern Rite Catholic Church, che è stata molto importante nella sua vita. Andy andava in chiesa con sua madre. La liturgia è molto particolare e drammatica… sei tutto il tempo davanti a immagini… La chiesa della madre di Reagan era invece la Disciples of Christ, che professa il Cristianesimo delle origini. Sua madre trascorreva molto tempo ad assistere i malati in ospedale o i carcerati in prigione, e a recitare e cantare dei testi religiosi che lei stessa scriveva. Ronald Reagan è stato avviato a queste letture all’età di 10 o 11 anni. Si può quindi dire che la sua predisposizione per l’oratoria è iniziata allora.
FV: Alla fine, Warhol e Reagan non erano nessuno e sono arrivati al top. Uno è diventato l’artista più famoso del suo tempo, l’altro presidente degli Stati Uniti, seppure uno dei più discutibili…
BC: Quando erano all’apice del successo non venivano presi seriamente. Andy veniva ancora chiamato illustratore di moda, fotografo, festaiolo, specialmente negli Stati Uniti. In Europa lo hanno preso più seriamente. Mentre Ronald Reagan veniva ancora considerato un attore di serie B quando era già alla Casa Bianca. È stato solo dopo la loro uscita di scena che la gente ha iniziato a rendersi conto di quanto significativi entrambi fossero stati. Warhol ha cambiato totalmente il mondo dell’arte, mentre Reagan ha cambiato il corso della politica, ha rivoluzionato gli affari internazionali con l’appoggio di Gorbachev, del Papa e di Margaret Thatcher. Ha liberato l’Europa dell’Est non solo buttando giù il Muro di Berlino ma facendo crollare l’intera cortina di ferro. In realtà questo è successo un anno dopo la fine del suo mandato, ma era un processo che lui aveva messo in moto. Questo è stato il suo programma, fin dal primo giorno.
FV: Parlando in termini warholiani, pensi che Arnold Schwarzenegger può essere considerato una specie di Ronald Reagan dei giorni nostri?
BC: Credo che lo stesso Arnold Schwarzenegger risponderebbe di sì. La cosa interessante è che Schwarzenegger deve molto a sua moglie, Maria Shriver, proprio come Ronald Reagan doveva molto a Nancy Reagan. Sono un fantastico team politico. Lei è una democratica e questo ha giocato un ruolo fondamentale per la sua elezione in uno stato che è più democratico che repubblicano. In ogni caso, Arnold era un immigrato, un self-made man, ed è diventato una star cinematografica. C’è in Arnold Schwarzenegger qualcosa che appartiene alla classe media… o addirittura alla classe lavoratrice. Penso che questo sia fondamentale in politica. Durante la campagna elettorale del 1992, George Bush ha commesso un grave errore dichiarando di non sapere che i supermercati hanno i registratori di cassa automatici, perché la gente si è resa subito conto che Bush non entrava in un supermercato da molto tempo. Agli americani questo non piace. Perfino John Kerry e Teresa Heinz sono apparsi come troppo blasonati e privilegiati. E penso che questo alla fine non ha giovato alla campagna di Kerry.
FV: Cosa pensi della crescente reciproca influenza tra la politica e la televisione… Abbiamo alcuni buoni esempi in Europa, senza tirare in ballo l’Italia… Questo è anche un segno di come la cultura dell’intrattenimento ha preso il controllo sulla politica.
BC: Da una parte la politica è diventata una forma di intrattenimento. E questo processo è iniziato in America. Verso la fine del XIX secolo, in America il giornalismo sensazionalistico ha iniziato a essere molto potente, e i politici hanno dovuto tenerne conto. Franklin Roosevelt è stato il primo politico radiofonico; è stato un vero maestro nelle comunicazioni via radio. Le sue “fireside chats”2 hanno contribuito enormemente alla sua popolarità. Oggi questo è probabilmente ancora più importante, perché i media sono molto più potenti e più onnipresenti che in passato. Watergate è stato probabilmente un punto di svolta. La stampa ha messo realmente sotto accusa il presidente Nixon. Non lo ha fatto il Congresso, ma il Washington Post. Un episodio che ha accentuato la sensazione di potere all’interno della stampa stessa.
FV: Che relazione hai con Internet?
BC: Una volta Arianna Stassinopoulos Huffington viene da me durante una festa di Barry Diller e mi dice: “Stiamo aprendo un blog quest’anno con Harry Evans e Tina Brown e vogliamo che tu ne faccia parte. Così, quando ti svegli al mattino e sei arrabbiato per qualcosa che leggi sul giornale puoi entrare nel blog e sfogarti”. Le ho risposto: “Bé, mi arrabbio col New York Times ogni mattina. Ma quanto pagate a cartella?”. “Oh, noi non paghiamo. Siamo solo una parte della blogosfera…”.
FV: Ultima domanda: chi è Caligola oggi?
BC: Non lo so… Direi Putin. Fa molta paura. Alcuni direbbero Saddam Hussein, ma ce ne sono tanti… anche Kim Jong-il potrebbe esserlo. Infatti sembra essere una specie di maestro di questa primitiva seppur suggestiva forma di totalitarismo. A dirti la verità penso che viviamo in un mondo di Caligola.
FV: Cosa pensi di George W. Bush?
BC: Suppongo che per alcuni George W. Bush sia Caligola. Non sono d’accordo. Voglio dire, Chavez è il Caligola sudamericano. Castro per me è ancora una figura molto spaventosa. Penso che George W. Bush stia solo provando a diventare il Ronald Reagan del Medio Oriente. Sai, una volta sono andato dal mio dottore in California per il mio check-up annuale. Gli ho portato una copia del mio libro su Reagan e ho portato una copia anche alla sua infermiera. Essendo una donna di colore non ero sicuro che le sarebbe interessato un libro su Ronald e Nancy Reagan. Bé, quando gliel’ho dato sono rimasto scioccato, perché ha iniziato a baciare la copertina con la foto di Ronald Reagan. Per questo non puoi etichettare le persone… Non avevo idea che quella donna fosse una tale fan del presidente Reagan. Mi ha detto: “Adoro quest’uomo! Sono di Granada, i cubani arrestarono mio nipote e l’avrebbero giustiziato il giorno seguente. Proprio quel giorno Ronald Reagan ha inviato i marines e gli ha salvato la vita!”. Anche se tante persone di colore pensano che Ronald Reagan non sia stato un bene per la loro gente, a lei non importava, perché aveva salvato la vita a suo nipote. Alla fine, non sai mai a cosa devi credere; dipende dal punto di vista da cui guardi. È così difficile sapere chi sta dicendo la verità, il New York Times o il Wall Street Journal? CBS o Fox News? Davvero a volte non riesci a capirlo…