La pratica dei Brave New Alps (Fabio Franz e Bianca Elzenbaumer) è una riflessione teorica applicata sulla responsabilità etica nell’uso di strumenti di comunicazione avanzata quali quelli del design. In assonanza con la metodologia progettuale, essa procede empiricamente seguendo desideri, configurazioni, applicazioni e riflessioni valutative. A oggi la sua vocazione è raffinare gli strumenti con il fine di articolare al meglio le risposte per proposte ad ampio raggio. Alla base c’è un’ambizione prima di tutto autogovernativa che si basa sulle seguenti domande:
– È possibile abitare con continuità pensieri radicali?
– Quale valore diamo alle nostre riflessioni e al nostro tempo?
– Come possiamo spostare la progettazione oltre ai perimetri imposti dalle discipline accademiche prima e dal mercato poi?
– E dunque, com’è strutturato il sistema economico e sociale vigente?
– A quali differenze possiamo ambire e con quali strumenti di azione individuale e collettiva?
Le risposte passano per via teorica sotto alcuni grandi temi che fanno parte della nostra attualità: i beni comuni, i beni relazionali, l’antagonismo non violento, le reti di mutuo sostegno, l’autoproduzione, l’autoapprendimento. Ma detti così sono punti cardinali piatti. Viceversa i tentativi di applicazione sono maturati nel tempo attraverso uno stretto rapporto ricorsivo fra la speculazione e la pratica. Per descriverli è utile seguirne il passo avendo come riferimento i progetti ossia lo strumento centrale della loro produzione.
L’inverno nuovo e Intacta
turismi, paesaggio, mito
Il diploma di laurea dei Brave New Alps presso l’Università di Bolzano si chiude con L’inverno nuovo, una serie fotografica sul cambiamento paesaggistico nelle Alpi e Intacta, un progetto farsa sulla costruzione di un muro a garanzia di un’area alpina — mitica perché intatta e dunque “più naturale” delle altre — al fine di creare percorsi turistici di lusso. Gli scatti e l’installazione de L’inverno nuovo respirano l’aria della migliore fotografia socioantropologica di quegli anni. Essi indagano con piglio ambientalista gli effetti dell’industria del paesaggio in cui la costruzione posticcia di ambienti reali (le piste da sci, le architetture tradizionali) diventano lo strumento per l’emersione di immaginari cuciti attorno allo sguardo del turista. Allo stesso modo il fake Intacta, grazie a una magistrale orchestrazione narrativa, alimenta una riflessione pubblica sui confini dello sfruttamento culturale dell’ambiente.
Decode Jerusalem
l’indagine di un male comune
La risposta al turismo onirico e ipnotico del paesaggio è Decode Jerusalem, una guida turistica alternativa per Gerusalemme Est. Scottati dallo sfruttamento retorico delle Alpi, i Brave New Alps optano per una forma di pudore esplorativo: la guida suggerisce un’informazione fredda in cerca di una equidistanza scientifica fra la visione israeliana, quella palestinese e quelle delle Nazioni Unite.
Uno dei valori più rilevanti di Decode Jerusalem è la volontà di un approccio conoscitivo ed empatico verso ciò che è sconosciuto. Banalmente un modo per credere nel turismo inteso non come strumento di dimenticanza e di annebbiamento, ma piuttosto come elemento di comprensione. Per raggiungere certi obiettivi bisogna sporgere lo sguardo oltre i decori. L’invito a inoltrarsi in aree lasciate ai margini dell’attenzione pubblica, ma socialmente rilevanti al fine di svelare alcune fra le logiche più oscure del sistema vigente è al centro anche di Perceptive Safari. Per due giorni un gruppo di 22 persone ha seguito il corso del Tamigi a partire dalla periferia est di Londra, fra centri di aggregazione popolare e terreni industriali più o meno abbandonati. Ancora una volta il progetto sollecita una stretta connessione fra sapere e toccare al fine di conoscere. Una richiesta di presenza che come vedremo è potenzialmente il risultato più rilevante del progetto successivo.
Fortezza Open Archive
Franzensfeste
il design dei luoghi e delle storie
Fortezza Open Archive Franzensfeste è il progetto sviluppato dai Brave New Alps per la sede nel comune di Fortezza di Manifesta 7. Esso rappresenta un passaggio fondamentale per gli sviluppi del gruppo. Sulla scia dei community-based project i Brave New Alps per tre mesi vivono e lavorano con gli abitanti del luogo. L’obiettivo è rinsaldare e reinventare il senso di comunità all’interno di un territorio in crisi di identità dopo la perdita dell’economia frontaliera e ferroviaria. I Brave New Alps mettono a disposizione degli abitanti gli strumenti del designer: danno vita a un luogo di aggregazione abbandonato da dieci anni, organizzano una serata di memorie, invitano il pubblico a una festa e creano un ufficio per un archivio pubblico della città. I risultati del progetto sono ottimi, ma si spengono con l’evento. “Dopo Fortezza abbiamo capito che bisogna andarci cauti nello sviluppare progetti con le comunità. Ci piace lavorare con le persone. Lo faremo ancora. Ma solo se abiteremo quei luoghi. Coinvolgere una comunità significa assumersi delle responsabilità di cui ci si può far carico solo se si sta lì.” Come a dire: delle sole idee non ce ne facciamo nulla. Una piccola rivoluzione nella visione del progettista moderno: non colui che governa la soluzione e “disegna” una comunità come se fosse un processo industriale, ma qualcuno che per disegnare deve necessariamente esserci. Un problema irrisolvibile per le passioni del nostro mondo liquido? Come noto da tempo nel dibatto sull’arte pubblica, di sicuro la questione è fondamentale per gli artisti che intendono applicarsi nella materia.
Department 21
l’ecologia dell’apprendimento
Nel 2010 il Royal College of Art di Londra decide di traslocare le classi di pittura in un’altra sede. La separazione ha agli occhi dei Brave New Alps l’unico vantaggio di liberare un ampio spazio. Insieme a un gruppo di studenti, dopo una serie di trattative con l’istituzione, decidono di occupare il secondo piano dello Stevens Building e di fondare Department 21. Il progetto è una vera e propria scuola nella scuola. Esso intende riunire in un’unica classe i 20 dipartimenti del Royal College of Art. Nella pratica Department 21 è un’infilata intelligente di mostre, eventi, proiezioni, approfondimenti, bozze di archivi, testimonianze, intrattenimento. Basta fare un giro sul sito www.department21.net per rendersi conto della mole di attività sviluppate dagli studenti che hanno partecipato al progetto nell’arco di circa 8 mesi. I titoli di alcuni eventi danno la misura dell’ampio spettro di azione e ancor di più della volontà di intrecciare momenti pratici, con spazi di riflessione ontologica e attività applicata. Roundtable discussion: Initiatives in institutions; The power of interdisciplinarity; Publication brainstorm-brunch; Review of Ceramics & Glass workshop; Communicationg History of Design; Dialogues in Design: Amateurism – Today; Outerdisciplinary; Echo Chamber the writing Festival; Reconfiguration; D21 launch take two; Eating practices: Food in Art and Design; Modes of teaching and knowlodge distribution; Staying alive: collaboration for survival; Discussing alternative education models; Paper Marbling workshop. Department 21 disegna buona parte della pratica attuale dei Brave New Alps. La qualità dell’offerta generata, i workshop, gli approfondimenti sono un fatto in sé. Ma ciò che forse più sorprende di Department 21 è l’esperienza umana che traspare: la voglia di apprendere, la socialità, la condivisione di obiettivi comuni. Forse abita lì il segreto della progettazione futura?
Laboratorio Campano
il design dell’informazione
Dopo la sbronza formativa di Departmet 21, i Brave New Alps si concedono una vacanza. Decidono di coltivare la vecchia passione per l’ambientalismo e di trasferirsi per un certo periodo a Napoli. In Campania l’incontro fra il capitalismo, il malaffare e la connivenza pubblica non è riuscito a seppellire gli effetti anche di breve periodo dei consumi di massa. Laboratorio Campano è un’indagine informativa sviluppata in un sito web e in un’installazione, sul ciclo della produzione di merci e sugli effetti di questi ultimi sull’ecosfera. Da questo punto di vista i fatti dell’immondizia campana più che raccontare la cronaca di una eccezione sono la lente di un presente che altrove non emerge: Laboratorio Campano è un tentativo per mostrare sotto una lente di ingrandimento la presunzione dell’economia industriale in rapporto alle risorse ambientali. Mappe, fotografie, reperti, interviste, una raccolta giuridica e un glossario imbastiscono una vera e propria antimitologia degli effetti collaterali del consumismo di massa. Ci sono gli antieroi come Mario Tamburrino, il camionista che senza volerlo diede vita alle prime inchieste sui rapporti fra il ricco nord e la disponibile Campania. C’è la descrizione del far west del capitalismo, un paesaggio fatto di periferia e deliberato sfruttamento del territorio. Ci sono gli attori principali imprenditori e delinquenti che da proprietari di un’officina di assistenza stradale arrivano, grazie al traffico illegale di rifiuti tossici, ad andare a lavorare in elicottero. Rispetto alle comuni inchieste, ciò che i Brave New Alps aggiungono è un modo di comunicare a tutto tondo che, come era già capitato per Decode Jerusalem, integra con intelligenza didattica immagini e testi, rimandi ad approfondimenti in rete, esplorazione virtuale dei luoghi e scansioni narrative dei territori.
Cantiere per pratiche non affermative
il disegno del mestiere
Cantiere per pratiche non affermative è il proseguimento ideale di Department 21. Il progetto fa parte di una più ampia fase di ricerca che va sotto il nome Designing Economic Cultures. Entrambi cercano di rispondere a una domanda cruciale per l’evoluzione della nostra società: com’è possibile conservare quell’energia appassionata, gratuita e generativa che spesso si forma durante i percorsi di studio protetti, ma altrettanto spesso evapora nelle logiche del mercato?
Per Cantiere per pratiche non affermative i Brave New Alps hanno deciso di condividere la propria residenza presso il Careof. Un gruppo di giovani designer italiani, diplomati di recente con tesi su tematiche sociali e ambientali, sono stati invitati a Milano per capire come orientare le proprie scelte dopo il periodo di studi. I designer avevano innanzitutto la possibilità di approfondire i temi preferiti — di solito quelli sviluppati con la propria tesi di laurea — invitando esperti e condividendo con gli altri partecipanti presupposti e risultati, con la possibilità di maturare fertilizzazioni incrociate e incidentali. Un’altra fase del progetto ha visto il gruppo impegnato nella comprensione delle logiche dei lavoratori della cultura. I creativi sono fra le avanguardie del precariato ad alta competenza. Il gruppo ha cercato di capire quali sono le prospettive dietro l’angolo: lavoro sottopagato, rilevante numero di ore di lavoro, lunga, forse lunghissima fase precaria. Quali le alternative? Ma prima ancora quali le logiche che governano le dinamiche del capitalismo avanzato e del relativo precariato? Un workshop con economisti, giuristi, esperti fiscali ha provato a individuare i passaggi principali. A partire dalla problematiche di natura culturale: un lungo approfondimento con Hervé Baron ha individuato i pilastri socioantropologici del sistema vigente: innovazione, competizione, singolarismo. Quale cultura opporre? Sul solco di Designing Economic Cultures, Cantiere per pratiche non affermative disegna un antagonismo culturale e non violento che mira più che a un capovolgimento immediato dello stato delle cose, a un percorso di maturazione di una coscienza differente. A partire dal fare di singoli gruppi agenti. Le cosiddette pratiche non affermative: piccoli non-disegni del mondo che hanno la capacità di migliorare la qualità di vita di collettivi e comunità tramite reti di sostegno e coltura dei beni relazionali. La Cantieroteca è l’archivio ospitato dal Careof che raccogliere alcuni esempi di pratiche non affermative.
Terminata la fase più viva del progetto bisognerà verificare gli effetti a medio e lungo periodo: “quando si abbandona il luogo fisico è un momento particolarmente delicato. A distanza le cose fanno fatica a stare insieme”.
Note conclusive
Con i loro progetti i Brave New Alps hanno costruito un percorso di apprendimento lungo e felice che lascia presagire progettualità ancora più fertili. Seguire quanto sviluppato fa maturare una passione militante e a volte acritica. Il risultato è una attesa di ampia portata accompagnata dalla speranza che il tutto non diventi accademia e possa rispettare la coincidenza fra pensare e fare. Le mie sono note non richieste e forse anche fuori dalle righe. Ma come mi hanno detto di recente: “in questo periodo di studio abbiamo conosciuto molte persone che non avevano paura del futuro” perché dovrei averlo io per loro?