I quadri di Cecily Brown oscillano in modo precario tra improvvisazione e un più consapevole controllo, tra astrazione e figuratività, evitano di giungere a una conclusione e si crogiolano nell’ambiguità e nella sorpresa. Il suo è un erotico vortice di pennellate che attraggono voluttuosamente gli occhi in cerca di sensualità e le opere più recenti hanno dato un’impennata a questa tumultuosa bellezza.
In una recente conversazione, l’artista ha parlato del dipinto che Michelangelo ha realizzato quando aveva dodici o tredici anni, ispirato a un’incisione di Martin Schongauer (1450-1491) che raffigurava sant’Antonio sospeso in aria assediato da pugnaci creature ibride che, irte di punte, lo circondano, lo attaccano urlando, afferrandolo e tirandolo da ogni lato. Si tratta di demoni che si infuriano per il desiderio che il santo prova nei confronti di un’amica di sua sorella, mentre dovrebbe concentrarsi sulla sua solitudine nel deserto egiziano, la forma più autentica di devozione. A pensarci bene, il tema della tentazione di sant’Antonio ha occupato i pensieri di molti pittori. Il Beato Angelico ha preceduto Schongauer e Michelangelo con un timido sant’Antonio tentato da un bel gruzzoletto d’oro che appare a breve distanza. Hieronymus Bosch dipinse la sua versione intorno al 1500, mostrando il santo prediletto sotto pressione perché cedesse alla tentazione in un turbolento mondo alla Bosch. Sant’Antonio ha continuato ad apparire periodicamente fino al XX secolo, come attesta la sua presenza nel noto quadro di Cézanne del 1867-69 dove appare raffigurato insieme a quattro robusti nudi femminili, e poi ancora in un affresco di Picasso in un caffè di Montmartre nel 1901 che si ispira allo straordinario dipinto di Cézanne sopra citato. L’opera di James Ensor Tribolazioni di sant’Antonio del 1887 lo mostra assediato in uno spaventoso paesaggio; lo stesso autore l’anno successivo avrebbe realizzato un formidabile disegno in grafite e gesso nero intitolato Demons Tormenting Me. La scandalosa versione del 1945 di Max Ernst mostra il santo tormentato, prono in un contesto infernale, assediato da demoni non tanto dissimili da quelli di Schongauer e di Michelangelo.
Cecily Brown non dava alcun sentore di tormento quando ci siamo incontrati per parlare del suo modo di intendere la pittura, eppure aveva menzionato sant’Antonio. “Perché?”, mi sono chiesto mentre rientravo a casa. Il primo collegamento a cui ho pensato è stato il modo in cui Schongauer e poi Michelangelo (a sua volta facendo propria la composizione di Schongauer) avevano creato alcune figure sospese nello spazio mentre erano sotto attacco. Diversi giorni prima avevo visto tre dei dipinti di Cecily Brown. Le raffiche di pennellate erano slegate dalla legge di gravità; sembrava che fossero semplicemente sospese e vibrassero molto intensamente nel regno dell’irresoluzione, sulla superficie della tela. Sono stato risucchiato in questo limbo volteggiante. I nostri occhi, per quanto sia frammentario lo scenario che si ritrovano davanti, cercano sempre una conclusione. Il bisogno di rintracciare un senso ci spinge a ottenere una risposta. Ma io sono riuscito a rinunciare gradualmente a quel bisogno mentre una sensazione di meraviglia si impossessava di me che guardavo una tale varietà di pennellate, dalle diverse dimensioni, ora dense, ora trasparenti, ora veloci, ora lente, ora definite, ora indistinte. Sbattevo le palpebre per lo stupore mentre attraversavo con lo sguardo la superficie di ogni dipinto: un po’ come un subacqueo che esplora con cautela le forme e i colori mai visti prima di una barriera corallina, mi trovavo di fronte a sembianze simili a un cervello o alle corna di un alce, ma che tali non erano, erano piuttosto paragonabili alla pietra, che sembra scolpita e colorata di tinte esotiche e appare simile a un fiore o a una pianta, ma, in realtà, come tutti i coralli, è un componente del regno animale. Ecco, mi stavo concedendo una vacanza dal mondo delle certezze.
Se la tentazione ha quindi un ruolo in questo caso, cos’è che tenta Cecily Brown? Ciò che mi è apparso del tutto chiaro fin dall’inizio è stato che il primo dipinto esaminato appariva sfacciatamente improvvisato. Tuttavia, esplorando l’opera più attentamente, mi sono accorto di due gambe sollevate in una posa provocante, come se si stessero preparando o avessero appena terminato un coito. Il corpo a cui quelle gambe appartenevano non era visibile, appariva sotto forma di una folata di pennellate grigie e celesti sormontata da una testa femminile tratteggiata in modo schematico. A destra, a breve distanza, verso il basso rispetto alle gambe, si notava una chiazza bruna, quasi del tutto distinta, e un braccio color carne che se ne allontanava. Tutt’a un tratto vidi una testa, staccata dal corpo, forse maschile, proprio accanto alle gambe sollevate della figura presumibilmente femminile. Quello che all’inizio sembrava un dipinto decisamente astratto, veniva ora interrotto da eventi figurativi che non pareva volessero far parte della coesione narrativa di un’opera figurativa. La speranza del dipinto di raggiungere questa coesione narrativa derivava da una struttura a forma di croce, posizionata al centro dell’opera e attraversata da innumerevoli intrusioni pittoriche, che ne compromettevano la stabilità. In sostanza stavo guardando un’astrazione che non lo era, e un dipinto figurativo che non possedeva coerenza né visiva né narrativa. Come dovevo classificarlo? “Figstratto”? Astrattivo? Ovviamente nessuna di queste alternative funzionava.
In sintesi, sembra che Cecily Brown intenda creare dei dipinti che non sono astratti né figurativi. Mentre parlavamo, le ho chiesto come nasce un quadro e quanta improvvisazione sia necessaria all’inizio. Mi ha risposto che comincia sempre con alcune pennellate e via via che emergono e si aggregano, si manifestano allusioni figurative ben accette e incoraggiate, ma solo fino al punto in cui divengono referenziali. Non vuole arrivare a creare un dipinto completamente figurativo, e non vuole nemmeno essere tentata dal crearne uno puramente astratto. Sono queste dunque le tentazioni da evitare. Non intende realizzare né un dipinto coerentemente figurativo, né uno totalmente astratto. Queste tentazioni non sono forse così minacciose a livello fisico o mentale come quelle che affliggevano sant’Antonio, ma possono comunque generare ansia e interruzioni indesiderate. E allora, cosa dipinge?
Cecily Brown sembra rendere visceralmente visivi i processi mentali insiti nella creazione pittorica. Non parla di dipingere figure o astrazioni, bensì sensazioni come la lacerazione della pelle. Ha trascorso una decina di anni a eliminare a poco a poco dalle sue tele i soggetti immediatamente riconoscibili. L’inondazione di liquido blu che rischia di sommergere una coppia che fa sesso in Performance (1999-2000) aumenta lentamente fino a dissolvere quasi tutto ciò che appare ancora riconoscibile, compresi quei coniglietti sessualmente esuberanti che le avevano tributato riconoscimento e fama durante la metà degli anni Novanta. Nel 2001 una tela intitolata Bacchanal si sarebbe potuta collocare in un ambiente riconoscibile, con diversi alberi, ma i partecipanti al baccanale appaiono come un mucchio indistinto, probabilmente in preda a un orgiastico caos che lo spettatore può immaginare anche solo leggendone il titolo. L’uso della pittura, però, stava diventando sempre più vigoroso e accattivante. Il titolo Bacchanal avrebbe potuto essere più adatto a descrivere Tripe with Lemons (trippa con limoni) del 2004, con la festa di gialli che ne attraversa la superficie. Al centro, quasi in fondo, si scorge qualcosa che assomiglia a un piatto pieno zeppo di pennellate brunastre che potrebbe essere la trippa del titolo, o quella che molti cuochi inesperti considerano uno scarto. Sulla destra, alla base della tela, troviamo un piatto giallo con quattro limoni. Aujourd’hui Rose (2005) ci coinvolge in una sorta di gioco di illusione ottica che recentemente è diventato più difficile da riconoscere, in quanto sembra spuntar fuori dal nulla e senza senso. Qui le orbite oculari del teschio di uno scheletro presentano al loro interno le teste di due ragazzine che giocano con un cane.
E poi una natura morta intitolata Memento Mori I (2006-2008) cade, precipita ed esplode, invadendo la superficie con schegge di immaginazione — forse qui si scorge qualcosa che assomiglia a un vassoio, là una mezza testa (o sto solo immaginando?). Nulla è certo, tutto vola in quella furia distruttiva così velocemente e con altrettanta certezza come accadrebbe nella realtà. Uno sciame di colore, uno sciame di pittura che vira verso la raffigurazione. L’artista stava giungendo a destinazione.
Willem de Kooning è un importante punto di riferimento per Cecily Brown. Le pennellate più ampie e curve, con le abbondanti tonalità color carne che osserviamo in Wake, Awake, for Night Is Flying (2010), come anche il frammento di testa in cima alla pila di pennellate volteggianti nella notte, si avvicinano a Woman as Landscape (1955) di de Kooning; in quest’ultimo caso la donna è delineata in modo più evidente e si trova sulla superficie della tela più di quanto avvenga nell’opera di Cecily Brown, dove la figura è appena accennata. Lei, inoltre, aggiunge dettagli stuzzicanti, come una testa canina e un coniglietto annidato in fluide pennellate blu — soggetti forse ripresi da un precedente dipinto. Lo spettatore viene di conseguenza nuovamente invitato all’indecisione, a esplorare una lunga serie di opzioni pittoriche.
In un trittico del 2010, The Sick Leaves, che misura oltre sei metri di larghezza e quasi tre metri di altezza, Cecily Brown ha scatenato quello che sembra costituire il suo intero arsenale di pennellate in un pandemonio, una sorta di caleidoscopio gigante riempito di liquidi o un’eruzione cinematica monumentale — una bellezza tumultuosa, esigente, che vacilla, che si stende, ora ti rabbuffa, ora ti accarezza, si alterna tra la sfida e la gratificazione.
L’artista è annoverabile fra gli antesignani che hanno reinventato l’astrazione smontandola e rimontandola, spesso usando mezzi controversi. Andy Warhol è stato uno di questi, soprattutto considerando i suoi “Oxidation Paintings” creati nel 1978 utilizzando tecniche miste su pittura metallica di rame su tela. Questi dipinti appaiono immersi in un pacato splendore, profondamente misterioso, spesso dalle forme vagamente simili a quelle di un paesaggio. I quadri di Brown non sono per niente Pop, ma includono comunque le inclinazioni trasgressive di Warhol. Ciò che catalizza primariamente l’ossidazione è l’interazione tra l’urina e il rame, visto che l’urina è l’ingrediente primario della “tecnica mista,” tipicamente citato sulle etichette che descrivono le opere (dette anche “Piss Paintings”). Gerhard Richter creò i suoi primi “Dipinti astratti” (“Abstrakte Bilder”) nel 1976 facendo passare un tergivetro sulla pittura fresca sopra la tela posizionata orizzontalmente. Via via che le dimensioni dei “Dipinti astratti” aumentavano, l’artista sostituì il tergivetro con una lunga asse di legno, che dava vita a una fisicità vischiosa e pittoricamente traslucida, offuscata dall’azione dell’asse stessa. Richter creava pittura cancellando pittura. Albert Oehlen, in quella che definisce “pittura post non-figurativa,” godeva della creazione di astrazione impura, in cui si riscontra l’ingrandimento di una pubblicità di salsicce o una modella in costume da bagno, o una linearità alla Pollock reinventata usando un semplice programma al computer di grafica. I primi dipinti monocromatici di Brice Marden, con le pennellate praticamente sepolte sotto la spatola che sparge un mix di olio e cera sulla superficie, e i mezzi espressivi esotici di Sigmar Polke, che creano incidenti diafani — di quelli che in genere non ci si aspetta che accadano — si aggiungono a questo gruppo, al quale appartiene anche Cecily Brown, con l’impeto delle sue pennellate, dalla bellezza inebriante.