Ann L. Stubbs: Quali sono secondo lei le caratteristiche essenziali della critica?
Clement Greenberg: Mi piace sentire dei giudizi di valore. La prima qualità di un critico è un buon occhio o un buon orecchio.
ALS: Che valore attribuisce alla descrizione empirica?
CG: Dipende da chi la fa. Salto a piè pari le descrizioni della pubblicistica d’arte, a meno che contengano giudizi di valore. Se uno non riesce a provare in sé un certo dato di fatto, si riduce a parlare di fenomeni.
ALS: Ritiene dunque che la funzione più importante di un critico sia, bene o male non importa, quella di giudicare?
CG: La funzione più importante di un critico è esprimere dei giudizi di valore.
ALS: Può dirci qualcosa sui suoi criteri di giudizio?
CG: I criteri non possono essere espressi in parole.
ALS: Ritiene che i critici debbano interessarsi all’assegnazione storica?
CG: Non necessariamente. Il buon gusto è il fattore più importante della critica. Reinhardt è divertente, preferisco la sua prosa ai suoi quadri.
ALS: Non ritiene che Walter Benjamin sia molto importante?
CG: Non è un critico d’arte, quel guazzabuglio che ha scritto sull’arte nell’età della riproduzione meccanica è fuori tema. Malraux era un esibizionista e irresponsabile. Baudelaire era sopravvalutato come critico d’arte e il suo gusto non divenne sufficientemente universale. Ci si deve impegnare ad acquisire un gusto più universale possibile; impersonale. Deve piacere tutto ciò che è valido, non importa da dove provenga. Anche Diderot è fuori tema. Devo confessare di non aver letto i suoi scritti sul Salon. La critica contemporanea versa in cattivo stato. Apollinaire iniziò un brutto precedente, mise la propria prosa in ridicolo, la mise al galoppo. Aveva inclinazione e un buon fiuto ma trovo la sua critica d’arte senza interesse. Il precedente diede adito alla nozione, passata indenne dal compianto Harold Rosenberg, che l’arte di dipingere è più importante della stessa opera.
ALS: Le sue opere fanno spesso cenno alla validità di un’opera d’arte: cosa rende grande l’arte?
CG: Non saprei.
ALS: Può dirci perché ha fatto le scelte che ha fatto?
CG: Non saprei davvero. Posso dire “questo è valido; prova a guardare anche tu e vedi se sei d’accordo con me”.
ALS: Ritiene dunque che ciò che è valido si possa presentare in formati diversi?
CG: Certamente. Non esistono regole, né categorie né classificazioni.
ALS: Ci fu un periodo nell’arte americana in cui i critici si occupavano solo di una o due correnti.
CG: Era sbagliato.
ALS: Come pensa possano essere trattati dalla critica d’arte gli aspetti ineffabili dell’arte?
CG: Ecco ciò che frustra il critico. Lui può solo far notare certi aspetti.
ALS: Pensa che ci siano aspetti dell’arte che non possano venire apprezzati con parole?
CG: La ragione discorsiva si trova davanti un muro quando ha di fronte un’esperienza estetica.
ALS: Che cosa può fare la critica allora?
CG: Far notare, far notare e poi ancora far notare.
ALS: Perché lei è diventato un critico d’arte?
CG: Perché pensavo di poterlo fare meglio di qualunque altro.
ALS: Com’e cambiata la critica dagli anni Cinquanta?
CG: Sta peggiorando sempre più. Oggi tutto è “avant garde” e ciò ha portato paradossalmente a un abbassamento degli standard. L’arte in questi tempi è malizia. E l’arte migliore è ancora la pittura e la scultura diretta; non è l’arte Minimal e né Andre né Judd, né la Land Art.
ALS: Ritiene che l’arte più importante del nostro tempo sia l’arte astratta?
CG: Purtroppo sì, parlando del nostro tempo; nel nostro tempo. Quando si va al di là dell’arte migliore del nostro tempo, l’arte migliore tende a essere quella rappresentativa.
ALS: In che modo “la grande paura” ha contagiato la critica d’arte?
CG: I critici hanno paura di restare indietro, di non essere presenti a salutare la novità.
ALS: Com’è cambiato il suo modo di fare la critica d’arte rispetto agli inizi?
CG: Ho un minor numero di idee tradizionali e un minor numero di cliché dei circoli modernisti. Non mi considero un eccellente scrittore.
ALS: Cosa rende grande un critico?
CG: Un buon occhio.