Clément Cogitore esplora gli elementi archetipici delle società contemporanee e i miti da essi originati attraverso video e installazioni che esprimono un linguaggio al tempo stesso critico e poetico, al confine tra reale e immaginario, in grado di operare trasgressioni formali e di significato proprie dell’avanguardia. Artista tra i più acclamati della sua generazione in Francia, dove ha vinto la maggior parte dei premi e dei riconoscimenti per giovani talenti e dove le sue opere sono state esposte in istituzioni quali il Centre Pompidou e il Palais de Tokyo a Parigi, Cogitore ha goduto in seguito anche di un ampio riconoscimento internazionale – esponendo al MoMA, New York; all’ICA, Londra; al Red Brick Art Museum, Pechino e alla Kunsthaus Baselland, Basilea.
Le due mostre, rispettivamente al Mattatoio e al Museo Madre, accompagnate da proiezioni di mediometraggi e lungometraggi e da incontri all’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici e all’Istituto Francese, offrono un vasto panorama della sua opera e ne permettono una comprensione trasversale.
La retrospettiva “Notturni”, presentata al Mattatoio e curata da Maria Laura Cavaliere, consiste in una selezione delle sue più importanti opere video. Il titolo rimanda a Michelangelo Antonioni, ma anche ai chiaroscuri onnipresenti nell’opera di Cogitore, e forse, per contrasto, alla nozione di illuminazione, nel senso plurale e rimbaudiano del termine, vera ossessione del suo lavoro.
Una delle primissime opere di Cogitore, Travel(ing) (2005), delinea già il tono della sua produzione artistica. Il filmato di un viaggio, effettuato di giorno su un’autostrada, viene proiettato in 16mm, di notte, sul retro di un camion con rimorchio che sta percorrendo lo stesso tragitto. In questo gioco di mise en abîme, lo spettatore percepisce l’immagine di un camion nel filmato, sperimentando un disturbo visivo e cognitivo, ma non riesce a comprenderne il reale meccanismo, ed è semplicemente portato a chiedersi: per realizzare questa proiezione l’artista ha corso dei rischi di ordine performativo? O si tratta invece dell’evocazione di artefatti originali della cinematografia da Méliès in poi?Con una probabile allusione a uno dei film più emblematici della Nouvelle Vague, Le Camion (1977) di Marguerite Duras, e alla lunga carrellata in cui passano veicoli identici a quello in cui si trovano i due protagonisti, che non vediamo mai, tutto l’universo di Cogitore, intessuto di rimandi, in bilico tra documentario e finzione, sembra essere racchiuso in quest’opera.
Per contro, uno dei suoi video più recenti e forse più importanti, Les Indes Galantes (2017) – un riferimento all’opera omonima di Jean-Philippe Rameau (1735) –, che Cogitore ha messo in scena nella sua interezza all’Opera di Parigi nel 2019, trasforma, attraverso un’esperienza profondamente suggestiva e corporea per gli interpreti e lo spettatore, una scena di quest’opera- balletto, reinventata dalla trance figurativa dei ballerini di Krump, in una potente danza di rivolta dei ghetti americani, filmata in chiaroscuro. Questa sontuosa trasposizione ha introdotto per la prima volta all’Opéra-Bastille – situata nell’omonima piazza, di cui è ben nota l’importanza storica – una coreografia ambientata in un ghetto e un gruppo di danzatori provenienti dalle periferie disagiate. Un’istituzione quindi molto in ritardo rispetto a questi temi – come la gran parte dei suoi equivalenti nel mondo – e questo ha conferito al lavoro un maggiore simbolismo politico oltre che poetico.
Tra questi due limiti temporali, il suggestivo Assange Dancing (2012) genera una profonda riflessione sulla vacuità della condizione umana e sullo scorrere del tempo, in un video in loop tratto da un filmato amatoriale di un dj raccolto in rete e rielaborato da Cogitore. L’attivista Julian Assange balla da solo, in quella che sembra una serata ormai alla fine, in un locale notturno quasi deserto, una danza che appare sia come simbolo premonitore della solitudine del suo destino, sia come mistero insondabile della vacuità e della leggerezza umana – anche se Cogitore ne rivendica più che altro l’aspetto rituale. Il video Tahrir (2012), ipnotico movimento stroboscopico di una folla in chiaroscuro, anch’esso raccolto in rete, permette all’occhio dello spettatore di sovrapporre diverse fonti video grazie al fenomeno della persistenza della visione, reinventando uno scontro tra le forze dell’ordine e i manifestanti che non era stato filmato.
Nelle sue opere successive Cogitore esplora ulteriormente il confine tra reale e immaginario. La videoinstallazione The Resonant Interval (2016) sovrappone le immagini di un’ipotetica formazione luminosa di origine sconosciuta in Alaska e il suono che verrebbe emesso dall’aurora boreale, in un approccio pseudo-scientifico articolato secondo le mitologie Sami e Inuit. Il visitatore viene sommerso da immagini ipnotiche che emergono dal buio, accompagnate da una composizione sonora d’avanguardia di Francesco Filidei e Lorenzo Bianchi Hoesch. Elegies (2014) mette in dialogo le mitologie delle società contemporanee con altre più tradizionali, sovrapponendo l’entusiasmo di una folla che illumina con il debole bagliore dei cellulari un concerto di musica all’aperto – che non si vede mai – con immagini di altre figure di credenza, facendo riferimento ai brevi poemi greci espressi dal titolo.
Al Madre, l’installazione multimediale Ferdinandea (2022), curata da Kathryn Weir, continua questa esplorazione operando un rovesciamento di prospettiva. A partire dalla storicizzazione e dalla documentazione dell’improvvisa comparsa e scomparsa, nel XIX secolo, di un’isola vulcanica intitolata a Ferdinando II, Re delle Due Sicilie – osservata su entrambe le sponde del Mediterraneo – e le credenze a cui questa formazione ha dato origine, Cogitore studia con gli strumenti propri della scienza l’ipotesi della sua ricomparsa per creare una narrazione che esplora le conseguenze politiche, geo-strategiche e storiche nonché le teorie complottiste che ne deriverebbero oggi. Attraverso questo corpus, che attinge a diversi media – film in 16 mm, video, simulazioni in 3D, documenti storici, fotografie – Cogitore elabora un’allegoria che amplia la sua analisi delle società contemporanee e la sua indagine dei confini tra miti e realtà. Il rimescolamento a ritroso delle nozioni di documentario e finzione rende palpabile, e incarna, il concetto onnipresente di ricorso storico.