La GAMeC è stato il primo museo dedicato all’arte contemporanea in Italia che ho visitato al di fuori di quelli romani. Era il 1997 ed ero con un gruppo di amici del liceo in visita a Bergamo. Non avevo molta familiarità né con la città, né con l’arte contemporanea, eppure quel museo, che mi era sembrato così severo all’epoca, è rimasto con me come esperienza in quella Bergamo bassa, che non capivo perché dovesse essere distinta da quella Bergamo sopra il “colle”.
Sono poi stata a contatto con la prontezza e l’agilità di pensiero dei cittadini di nascita e acquisiti di Bergamo (che è poi la qualità migliore della maschera Brighella), che nell’ambiente dell’arte visiva, hanno contribuito negli anni a costruire una scena che si è contraddistinta per la capacità di “tirarsi su le maniche”, proponendo progetti inediti e ridefinendosi: dalle proposte più recenti di Radio GAMeC, avviate durante la pandemia, a quelle che vanno più in là nel tempo del Premio Lorenzo Bonaldi per l’Arte, il primo premio in Italia – almeno a mia memoria – dedicato alla ricerca curatoriale in Italia. Unica anche nella sua capacità di creare comunità grazie all’attività di The Blank, che oramai da dodici anni, porta in città progetti di residenza, educativi, espositivi di livello internazionale, in costante dialogo con le istituzioni pubbliche e con i privati, grazie al coinvolgimento del territorio e il suo pubblico. Territorio complesso dove un dialogo tra passato e presente è esplorato da Contemporary Locus fin dal 2012, commissionando opere in luoghi dismessi, segreti o dimenticati della città. È l’energia dei bergamaschi ad essere poi straordinaria, l’amore per la propria collettività, il sostegno verso la produzione culturale della propria zona, portata avanti da collezionisti e mecenati che infonde ancora più fiducia nella costruzione di un discorso corale ben distinto, che permette a nuovi protagonisti di affacciarsi sulla scena e mettersi in gioco per unirsi alla costruzione di un programma sempre più articolato, radicato ad un luogo ma proiettato al di là del monte e della pianura.
Spazio Volta
Ilaria Gianni: Berg (un monte) su cui sorge una casa (heim). Sul colle sorgeva un accampamento celtico prima dell’arrivo dei Romani nel 49 a.C. Nei secoli si sono susseguite le sovranità dei Longobardi e dei Franchi, i Visconti di Milano e i Veneziani. “Città dei Mille”, in quanto parte attiva nel Risorgimento, quando nel 1860 contribuisce con il numero più alto di volontari alla spedizione di Garibaldi. Soprattutto però nota per la sua definizione dualistica: Città Bassa (Bérghem de sóta), posta sul piano e nata dallo sviluppo di alcuni borghi disposti lungo le vie, e Città Alta (Bèrghem de sura) che domina la pianura dai colli, e accoglie una città medievale, circondata da bastioni eretti dalla Serenissima, fortezza inespugnabile – e bellissima. Così Bergamo mi è sempre sembrata indefinibile, o meglio un luogo in cui ci è possibile sentirsi legati a un insieme e al contempo solamente a una parte. Questa storia ha avuto qualche ripercussione su Spazio Volta e la definizione della sua identità?
Edoardo De Cobelli: Prima che la Repubblica di Venezia erigesse le mura che circondano la parte alta della città, nel XVII secolo, la strada che collegava Milano a Venezia passava per Piazza Mercato delle Scarpe, dove oggi è ubicato Spazio Volta. Quella via era allora l’equivalente dell’attuale autostrada. La piazza era un crocevia, un luogo di incontro e di mercato. Sopra la nostra volta c’era il Tribunale dei Mercanti, poi diventato chiesa dedicata a San Rocco durante la peste, che stiamo cercando di recuperare. Senza sembrare retorici, prendere la funicolare è come salire su una macchina del tempo: si passa da un urbanismo del XVII-XIX secolo al XIII-XV, una cittadina Medievale perfettamente conservata. L’ex fontana di Spazio Volta raccoglie tutte queste identità. Mettiamo gli artisti a contatto con le aziende della città e della provincia ma anche con gli artigiani del borgo, che li supportano nella produzione.
È vero, dall’esterno può sembrare che Bergamo abbia anime diverse. In realtà, i colli si uniscono alla parte fortificata, e così la parte verde, la natura alla città senza una vera discontinuità. Sotto le mura, in prossimità del centro, puoi ancora trovare delle fattorie a conduzione familiare. I progetti off-site si propongono di indagare questo particolare equilibrio tra natura e contesto urbano. Per questa primavera, ad esempio, stiamo immaginando delle performance negli spazi aperti, in collaborazione con il FAI.
IG: Spazio Volta, infatti, include uno spazio espositivo, un’iniziativa editoriale e un ciclo di brevi residenze rivolte ad artisti italiani e internazionali. Oltre alle mostre pensate per il vostro spazio su Piazza Mercato delle Scarpe, ospitate mostre temporanee off-site e in dialogo con punti della citta: i lavori scultorei di Mafalda Galessi nelle arcate murarie di Bergamo (sito Patrimonio dell’Unesco) per esempio. Ma la stessa sede di Spazio Volta è sita in una ex fontana romana. Quanto influisce lo spazio sull’approccio di lavoro degli artisti e quanta memoria storica impregna o contamina in un dialogo le opere che occupano questi luoghi?
EDC: Lo spazio è fortemente caratterizzato: si tratta di una grande volta con una muratura in pietra che si estende sopra e sotto il livello della strada. Tutte le mostre sono di fatto site-specific: pensate o prodotte per lo spazio. La mostra in corso, “Buchi nella trama” di Sacha Kanah, prosegue un ciclo di personali guidate da una matrice organica. Giulia Poppi, Mia Dudek, e ora Sacha Kanah hanno realizzato interventi che sono nati da un dialogo a tre tra me, l’artista e lo spazio. Organiche sono le opere ma organico è anche l’approccio con cui mi piace sviluppare i progetti. L’idea alla base della mia pratica curatoriale è di creare uno scenario, che può comportare una mise en scène di elementi eterogenei, come nel caso della collettiva “Starry Speculative Night”, o una narrazione, come per Dudek o Galessi.
Nelle ultime mostre, gli artisti hanno interpretato l’aspetto del sotterraneo nel suo carattere ctonio, piuttosto che nel suo aspetto più visibile, nell’accezione di Gaia. L’identità del luogo si è allora manifestata anche nelle opere. I miceti di Dudek, gli organismi embrionali di Kanah sembrano indagare forme di vita primaria, che si riallacciano anche alla storia dello spazio, come contenitore d’acqua, di umidità, di microrganismi.
IG: Il vostro lavoro è sempre visibile ad occhio nudo: non è nascosto tra pareti e porte ma si affaccia sulla città, la contamina, lasciandosi a sua volta impregnare dalla sua essenza. Quale è la reazione degli abitanti di Bergamo verso il vostro programma?
EDC: Il desiderio è quello di costruire un rapporto con il pubblico, ma al tempo stesso spingere al limite la sperimentazione. La sala editoriale, adiacente allo spazio, ospita una selezione di libri d’artista immaginata con REPLICA, ed è pensata per ogni categoria di visitatore: bambini incuriositi dalle copertine, visite dell’Accademia e più in generale come sala di lettura. Il progetto editoriale è il luogo dell’incontro e dello scambio. Lo spazio espositivo, invece, offre allo sguardo qualcosa di completamente estraneo all’estetica tradizionale e alle aspettative del visitatore medio. Mi piace pensare che la città sappia che, guardandovi dentro, può trovare qualcosa che non vedrebbe altrove e che sfida il suo giudizio estetico. Da un certo punto di vista, chiunque passi di lì non ha scelta: la mostra osserva chi passa, e lo sguardo del passante è a sua volta attratto. Naturalmente non tutti apprezzano, è molto interessante ascoltare i commenti. Un’artista ha proposto di registrarli e fare un vinile remix.
IG: Avete inaugurato il programma con un neon dedicato alla città di Bergamo dopo i mesi difficili della prima ondata Covid-19, E quindi uscimmo a riveder le stelle, che riprende l’ultimo verso dell’Inferno della Divina Commedia, sito nella cisterna dell’ex chiesetta di San Rocco, la vostra sede. Come è stato accolto il gesto?
EDC: La reazione è stata incredibile. Il neon dedicato alla città è stato un progetto che andava oltre l’arte. Era un momento buio e serviva qualcosa che facesse ritrovare la speranza, che illuminasse davvero. Illuminare una cisterna al buio da trent’anni, in un luogo così vivo e bello come la piazza, era parte del messaggio. È stato come accendere la luce dentro una stanza buia, durante una notte di incubi.
IG: La vostra direzione curatoriale lascia spazio alle voci di artisti emergenti italiani (soprattutto) ma anche internazionali, dando loro la possibilità di confrontarsi con un contesto espositivo e un pubblico. L’importanza di dare l’opportunità a giovani artisti banalmente di “fare mostre” viene spesso sottovalutata dal sistema dell’arte. Senza vedere le proprie opere fuori dallo studio è difficile continuare a fare passi nella ricerca per un artista visivo. Il vostro programma ha un indirizzo specifico ogni anno per quanto riguarda gli artisti che scegliete e le collaborazioni che costruite con altre realtà nel campo delle arti visive?
EDC: Non tutti gli artisti possono dialogare con uno spazio di questo tipo senza difficoltà. La pittura, ad esempio, risulta più problematica. Le idee nascono spesse in maniera casuale, dalle conversazioni, dai dibattiti con artisti e colleghi. In generale, la programmazione nasce da un’affinità tra l’identità dello spazio e la ricerca di un artista o un curatore.
L’unica implicita condizione è che ogni idea sia una sfida, come quella portata ad ArtVerona. Il progetto in collaborazione con il Mattatoio di Roma, che verteva sulla tematica particolare della tecnologia 3d applicata all’allevamento, ha coinvolto l’artista israeliana Yuli Serfaty con un designer della NABA, Carlo Gambirasio che ha realizzato un visore 3d per animali. L’anno prossimo, invece, faremo un progetto insieme a CAB, il centro d’arte di Grenoble, il cui spazio espositivo condivide lo spirito e anche molta somiglianza architettonica con il nostro, seppur in un contesto diverso.
IG: Qual è il vostro rapporto con le istituzioni culturali di Bergamo e le altre iniziative indipendenti in città nel campo delle arti visive? Oltre alla storia oramai trentennale della GAMeC, che ha lasciato segni importanti nella nostra storia museale e curatoriale italiana (e non solo), penso anche alle iniziative portate avanti da The Blank, o da Contemporay Locus, che hanno avuto una risonanza importante sul territorio, ma anche ben oltre i confini cittadini.
EDC: Con la GAMeC non abbiamo ancora instaurato un dialogo. Con le altre realtà, alcune da considerare delle vere e proprie “istituzioni” in città per la lunga presenza, come The Blank, c’è un ottimo rapporto. Il mio approccio è stato fin da subito quello di dialogare apertamente. L’abbiamo fatto con Lab80, la storica associazione cinematografica della città, e il suo archivio, e abbiamo partecipato ad ArtDate di The Blank, con i quali collaboreremo ancora. Al di là delle collaborazioni, c’è molto scambio, condivisione e sentimento di lavorare su un territorio comune, non solo geografico. Penso a Superstudiolo, il TTB, gruppo teatrale dell’ex Monastero del Camine, di cui fanno parte le arcate dello spazio offsite, e da un anno anche Palazzo Moroni, riaperto dal FAI, con cui abbiamo un bellissimo scambio. Città alta sarà un centro culturale sempre più vivace, anche in ottica di Bergamo e Brescia Capitale della Cultura 2023.
luogo_e
luogo_e è innanzitutto un luogo articolato, la cui identità è frutto della collaborazione tra Chiara Fusar Bassini, Federica Mutti, studentesse prima dell’Accademia Carrara e poi di NABA, e di Luciano Passoni, fondatore della storica ex libreria ARS arte+libri. luogo_e si caratterizza come un progetto di ricerca curatoriale, editoriale, espositiva, ma è soprattutto una piattaforma di approfondimento e di condivisione critica. Un grande tavolo (eredità di ARS) attorno a cui ragionare, discutere, mettere in moto nuove idee, partendo da punti di osservazione ben precisi, che intendono dare spazio e voce a una ricerca artistica e curatoriale emergente, senza necessariamente incasellarla. luogo_e, radicato in un territorio-luogo che è più dimensione che spazio, è un contenitore di idee che si apre al mondo, accompagnando e supportando esperienze ed esperimenti, con l’intento di contribuire alla stesura di qualche capitolo dei percorsi di tanti sguardi creativi del nostro tempo.
BACO
BACO (acronimo di Base Arte Contemporanea Odierna) è un’associazione culturale no profit fondata da Mauro Zanchi, curatore e critico d’arte, e Sara Benaglia, artista e ricercatrice, entrambi autori, di quelli che hanno uno sguardo approfondito sull’arte, e lo restituiscono con una voce interpretativa. Con sede nella Domus Magna, un edificio del XV secolo che fu la sede principale della Misericordia Maggiore di Bergamo e che per molti anni ha ospitato il conservatorio musicale della città, l’obiettivo di BACO è, come dichiarano gli ideatori, “creare collegamenti tra la tradizione legata al teatro della memoria e l’arte contemporanea”. Centro di ricerca che si radica nella storia culturale del nostro paese, i progetti su cui lavorano costruiscono sempre un terreno di confronto tra l’antico e il contemporaneo, mettendo in scena dialoghi e progettualità che si manifestano in forma di mostre, pubblicazioni e conferenze, sostenendo artisti italiani e internazionali in un programma coerente e di approfondimento sorprendente.
The Drawing Hall
A fine 2021 l’artista Andrea Mastrovito, il regista Marco Marcassoli e il fotografo e visual designer Walter Carrera affittano un capannone a Bergamo, fondando The Drawing Hall. Il progetto nasce dall’esigenza di colmare una lacuna e costruire uno spazio di espressione, e ricerca per il disegno, inteso sia come strumento di indagine che come forma d’arte. Tenendo presente il ruolo e il retaggio storico del disegno, in particolare nella tradizione artistica italiana, The Drawing Hall si pone come obiettivo quello di creare una mappatura del lavoro degli artisti contemporanei, in particolare italiani, che hanno fatto del disegno il loro strumento elettivo. Disegni, schizzi, bozzetti inediti, saranno i protagonisti di una nuova programmazione espositiva, che si avvarrà della collaborazione di critici, curatori e professionisti del settore. Quaderno, una pubblicazione che, di volta in volta, accompagnerà le mostre con approfondimenti e aneddoti, testi e interviste, completerà il quadro sull’indagine, avviando una nuova stagione di ricerca critica su un linguaggio a cui finalmente viene data la giusta attenzione.