Credo che tutto sia cominciato lì: era uno dei nostri incontri a un mese dall’inaugurazione della mostra, “Homes & Graves & Gardens” ed eravamo nella cantina di Cyprien Galliard a Parigi, dove suo padre lo porta da anni. Cyprien aveva in mano una cartolina classica del Centro d’arte dell’île de Vassivière — anzi, la migliore in vendita nella nostra libreria — con l’edificio di Aldo Rossi e lo sfondo della foresta dell’isola. L’ha piegata in due e ha detto: “È questo che voglio fare”. Invertendo la prospettiva, il bosco è passato davanti al Centro d’arte schiacciandolo. Ed è esattamente quello che poi ha fatto: il reale riproduceva l’effetto ottenuto con quel semplice gesto.
È come se l’antica collina trasformata in isola e la straordinaria costruzione di Aldo Rossi che vi sorge, con tutta la loro imponente bellezza, si fossero offerte accettando di mettersi in discussione attraverso il progetto di Cyprien Gaillard. Allo stesso tempo acquatico e molto verde, questo scenario insulare falsamente bucolico non gode che di un’apparente armonia in contrasto con la sua nascita caotica. Ed è proprio nel cuore di questo angolo di mondo speciale, di quest’isola nel senso più assoluto e concentrato, che la sera del 14 luglio 2007 ha avuto luogo l’inaugurazione della mostra al Centro international d’art et du paysage. Cyprien Gaillard ha orchestrato magistralmente tutto: sulla facciata del Centro d’arte c’era uno strato di alberi tagliati e abbattuti e, all’ora convenuta, gli spettatori invitati scoprivano che i fuochi d’artificio non erano stati posti nel parco o sul lago, come ci si sarebbe potuti aspettare, ma all’interno del faro utilizzato come en plein air blindato. Lo spettacolo è iniziato: il faro si è messo a vibrare e tuonare. Le intensità luminose si percepivano nella lanterna, sulla sommità, da dove si sprigionava un enorme fumo. L’evento è terminato con la visita del luogo, annerito dal fumo degli esplosivi.
Le tracce hanno modificato definitivamente l’aspetto di un edificio considerato patrimonio dell’architettura del XX secolo e ritenuto immutabile fino al passaggio del giovane artista francese. Tra gli alberi tagliati e l’incendio, azione senza ritorno, la notte è proseguita con un free party nel cuore della foresta che per venticinque anni (e fino ad allora) aveva ospitato un tranquillo parco di sculture. Ancora oggi, seppure con il distacco dovuto ai quattro anni trascorsi dall’evento, ho vivida la sensazione di straordinarietà di quella notte, di quel tumulto di bengala mescolato alla voce di Koudlam, con un gruppo invisibile che si muoveva in mezzo al bosco, e del faro che sembrava resistere a fatica alle esplosioni pirotecniche.
La bellezza e la radicalità così intense di Cyprien Gaillard mi hanno lasciato un ricordo decisivo della nostra esperienza a Vassivière. Hanno influenzato il mio stesso sguardo verso ciò che conoscevo così bene del luogo che amo e nel quale lavoro da anni. Forte della convinzione di Diderot che la rovina dei monumenti (o degli uomini) è ciò che li rende interessanti, Cyprien Gaillard ha trovato nell’isola di Vassivière un luogo d’elezione. L’antica collina trasformata negli anni Quaranta in un’isola, in seguito alla creazione ex nihilo del lago che ancora custodisce gli otto villaggi sepolti, non poteva che ispirarlo. Si è trattato di un doppio salto mortale intorno al principio di naturalità e artificio, temi a lui cari. Attraverso un’azione coraggiosa dunque — l’esaltazione della realtà reale dell’isola già anti-ecologica e anti-etica — si è affermata una realtà totalmente nuova e che parla il linguaggio dell’autenticità, ovviamente mentendo. Ed è questo che ti spiazza in lui, che fa emergere il lato in ombra delle realtà, quello scomodo, provocando il dissenso dei benpensanti. La vertigine generata dalla silenziosa alchimia tra il senso di distruzione e quello di creazione di Vassivière sembra quindi l’habitat ideale per un artista che non ama i luoghi comuni e che, legittimando logiche impopolari, alla fine risulta impegnato nella ricerca della purezza.
Cyprien Gaillard riesce a creare impensabili sintesi paesaggistiche e concettuali in bilico tra sommerso e visibile. Uno dei suoi sogni sarebbe quello di un immenso cimitero nel deserto americano per accogliere gli edifici del mondo intero destinati a essere abbattuti: immagina un parco che definisce una nuova forma urbana di Romanticismo, molto simile ai parcs aux ruines francesi del XVIII secolo. E, perseguendo il suo progetto incentrato sull’idea di mutazione inevitabile, Gaillard costruisce il suo parco delle rovine raccogliendo frantumi di monumenti fatti a pezzi e gettati. Ha portato sulla terrazza della Neue Nationalgalerie di Berlino o alla Kunsthalle Fridericianum di Kassel una scultura in bronzo (Le Canard de Beaugrenelle, 2008) così come ha recuperato frammenti di case popolari abbattute in Scozia, trasformandoli in un obelisco alto quattro metri (Cenotaph to 12 Riverford Road, Pollokshaws, Glasgow, 2008).
A metà strada tra la Land Art deviata e la performance, il suo lavoro non si lega ad alcun sentimento di perfezione, ma non rinnega un soffio di poesia che ci costringe a interrogarci sul nostro rapporto con il mondo.
Per Cyprien Gaillard — nato a Parigi nel 1980, città che ha lasciato da qualche anno per vivere a Berlino — è fondamentale il coinvolgimento emotivo e fisico del pubblico: la condivisione dell’esperienza alterata dall’alcool è per lui parte integrante del suo intervento, sia nella creazione che nella fruizione. Definitivo e affascinato dal lato oscuro delle cose, mette in scena un’estetica punk al servizio di un’arte che è tutto meno che contemplativa. Sicuro di sé, sottolinea e fa emergere il caos sia dove lo si aspetta, sia dove tutto è apparentemente pacifico. E non pone limiti al suo linguaggio espressivo: ricordiamo The Recovery of Discovery, del 2011, quella scultura piramidale composta da 72.000 birre turche di marca “Efes” — in una sorta di rievocazione della parziale ricollocazione del tempio di Efeso dalla Turchia al British Museum o quella dell’altare greco di Pergamo al Pergamonmuseum di Berlino — perché, come sostiene Gaillard “La salvaguardia di un’opera d’arte va di pari passo con la sua distruzione”. Le birre, bevute dal pubblico assetato, parallelamente al disfacimento dell’opera, andavano ad aumentare il tasso alcoolico producendo effetti imprevisti.
Amato e coccolato dai media, è presente al Padiglione Centrale alla 54ma Biennale di Venezia e alla mostra collettiva a Palazzo Grassi. Si parla di lui come di un “archeologo del presente” e direi che è proprio al presente che Cyprien è ancorato più di chiunque altro, e che il suo orizzonte è l’idea di bellezza. L’insieme delle sue opere — e forse particolare le sue incisioni come la serie “Belief in the Age of Disbelief” del 2005, attraverso le quali mette a confronto il paesaggio naturale e l’insieme architettonico alla maniera dei maestri fiamminghi del XVII secolo — ha quella cifra rivelatrice di un tempo sospeso, dove il presente, appunto, si riunisce all’idea di un divenire passato e oggi superato. La serie “The New Picturesque” (2007 e 2010) può essere considerata una sua personale interpretazione della Fabrique de Jardin, perché Gaillard sembra affascinato dall’idea di reinventare il pensiero del XVIII secolo, nel quale ritrovare il senso delle cose, ciò che vale la pena di considerare, più che la forma o l’estetica.
Personaggio irrequieto, ha sempre avuto uno sguardo obliquo, preferendo orientare la propria ricerca verso lo spaventoso e lo scomodo. È sempre stato animato da sentimenti vicini a quelli del vandalismo rivoluzionario. Il nome di Cyprien Gaillard è stato accostato a quello di Hubert Robert, di Piranesi, a quell’idea di pittore di rovine secondo la quale bisogna rappresentare un luogo distrutto o parzialmente distrutto per sublimarlo. Gaillard applica lo stesso principio agli umani. Identifica la maestosità delle vestigia di un’utopia che ci è ancora contemporanea, segue ogni minima traccia di una perfezione idilliaca, compie indiscriminati saccheggi e ne estrae tutto lo splendore possibile, anche attraverso il vandalismo.
È uno scultore fantastico, il disastro è per lui materia grezza dalla quale tirar fuori, portando alla luce, l’essenza stessa della distruzione. Va in profondità e riporta a galla quel nucleo di vitalità ed energia senza il quale il suo pensiero andrebbe perso. Così si erige a maestro di pratiche, le più ribelli, riconducendole a pieno diritto nel territorio dell’arte, tendendo a sostituirle ai criteri di lettura tradizionali del bello o del giudizio etico e a vederle come impegno politico. E, anche se lui sostiene che questo non sia l’aspetto che lo ispira in partenza, il lavoro di Gaillard finisce con l’alimentare il dibattito sociale. A questo proposito un esempio importante è il suo video Pruitt-Igoe Falls, che prende il titolo da Pruitt-Igoe, un complesso residenziale di enormi dimensioni costruito a St. Louis negli anni Cinquanta. Diventato rapidamente sinonimo di spaccio di droga, crimine e isolamento, venne fatto implodere nel 1972: Pruitt-Igoe è oggi un riferimento costante proprio nel dibattito sui progetti residenziali di edilizia popolare; molti considerano infatti il suo abbattimento la fine dell’architettura modernista e l’inizio della crisi del modello di città americana.
I meccanismi mentali di Gaillard sono allo stesso tempo istintivi e labirintici, sempre e comunque estremamente audaci, e la matrice originaria è riconoscibile, come nella proposta di invadere il grande viale principale del Castello di Oiron in Francia coprendolo di calcinacci recuperati dalla demolizione di un edificio della periferica Issy-les-Moulineaux (La grande allée du Château de Oiron, 2008), o di procedere allo scavo di un bunker sotterraneo della Seconda Guerra Mondiale dimenticato sotto una duna di sabbia a La Haye (Dunepark, 2009). Anche il concetto di decontestualizzazione è per Cyprien Gaillard centrale. Ne avremo ulteriore conferma con il suo intervento all’Espace 315 del Centre Pompidou, in occasione della presentazione del suo lavoro per il Prix Duchamp. Vi saranno installate alcune strutture provenienti dal Perù: si tratta di losanghe con dentro dei cerchioni di macchine (che ci riportano alle “Geographical Analogies”) e due o più grandi lastre di vetro recuperate dalla distruzione del mercato di Les Halles a Parigi ossidate di urina e che riportano due lettere: una U e una R, a rievocare gli Underground Resistance, il collettivo musicale di Detroit. “Detroit è la città dove è nata la musica che ha influenzato la mia adolescenza: la Techno”, racconta Cyprien, ricordando che, a partire dalle rovine di quella città fantasma, i gruppi musicali sono arrivati in Europa animando con la loro musica i boschi e le spiagge francesi tra il 1990 e il 1996. “Perché tutti i rave — aggiunge — all’epoca, avvenivano all’aperto, nella natura, ed erano accomunati dal fatto di essere gratuiti e illegali”. Del resto è proprio con la malinconica violenza delle sue rovine industriali che Detroit ha affascinato e attratto personaggi già affermati come Matthew Barney e Mike Kelley, o di giovani emergenti come Gaillard che, con sicurezza afferma “È una tra le città più interessanti per gli artisti di un prossimo futuro”. Ed è anche per questa sua capacità di immaginare il futuro, che credo Cyprien Gaillard possa diventare un modello di ispirazione per l’ingegnosità con la quale egli evoca, proprio attraverso la distruzione, la necessità di tradurre in energia il disagio che contraddistingue il nostro tempo. Attraverso l’apparente negatività, si afferma una volontà propositiva.
Ma Cyprien Gaillard è prima di tutto il più appassionato degli uomini, nel senso originale e nobile del termine. Costantemente alla ricerca del rapimento nel sogno: attraverso il morboso arriva al sublime. Post-psichedelico, non si accontenta di accettare la realtà per come appare ma, attraverso una vita e un lavoro costantemente borderline, inventa una sua dimensione che ci accompagna nei sotterranei dell’animo umano, illuminando la parte più segreta di noi stessi e raccontando perfino di una speranza possibile.