È certo che l’ultima edizione della Biennale di Carrara sarà ricordata per il decisivo cambio di direzione che privilegia artisti contemporanei noti a livello internazionale. La curatela, affidata a Fabio Cavalucci, parte inevitabilmente dal contesto locale per aprire una riflessione sulla scultura come pratica contemporanea. Carrara, città da sempre legata all’estrazione del marmo, quello prestigioso lavorato da Michelangelo e Canova per i loro capolavori, fino all’attuale commercializzazione della sua polvere utilizzata per dentifrici, vernici e altri prodotti di uso comune. Un processo economico che diventa specchio della decadenza della scultura tradizionale e di tutto il sistema simbolico e produttivo del mondo Occidentale. Da queste premesse nasce “Postmonument”. L’esposizione è articolata in diverse sezioni tematiche: quella storica che raccoglie importanti esempi di produzione monumentale a cavallo dei due secoli; la sezione dedicata all’architettura contemporanea che sottolinea come questa oggi assolva il desiderio di maestosità precedentemente assegnato alla scultura. Ma la parte centrale è quella affidata a più di trenta artisti invitati a riflettere sul processo di de-monumentalizzazione avviato nel corso del Novecento. Il percorso espositivo propone differenti approcci di lavoro disseminati nello spazio urbano che vanno dai provocatori tentativi di Maurizio Cattelan di sostituire il monumento di Mazzini collocato nella piazza centrale della città con quello di Craxi, alla “cacca” gigante in travertino posizionata da Paul McCarthy tra la Cassa di Risparmio di Carrara e l’Accademia di Belle Arti. Poi una serie di omaggi alla tradizione anarchica locale con l’intervento sonoro del lituano Deimantas Narkevičius e l’installazione di Rossella Biscotti. Non manca un lavoro sulla commemorazione ai caduti delle cave celebrati dall’affascinante scultura di Giorgio Andreotta Calò che estrae con un procedimento manuale un blocco di marmo da una cava, poi collocato nella suggestiva ex chiesa di Santa Maria delle Lacrime. Poco distante Cai Guo-Qiang sceglie come scenario della sua video installazione le Cave di Michelangelo in cui migliaia di studenti dell’Accademia di Pechino disegnano il David di Michelangelo.
Gli ingredienti per essere una Biennale importante ci sono tutti; non mancano, per esempio, gli eventi paralleli, in cui si scoprono situazioni energetiche come quelle messe in campo dai giovani artisti di Gum Studio o le ricerche artistiche toscane proposte da Lorenzo Bruni nella mostra “Niente da vedere tutto da vivere”. E ancora un programma di workshop e performance anima l’intera Biennale. Rimangono però dei dubbi su “Postmonument”. La sensazione è quella di attraversare un parco tematico in cui le opere sono disposte secondo una studiata gerarchia di posizioni, ma praticamente tutti i lavori, seppur prendendo una distanza dalle ideologie di potere proprie del monumento tradizionale, finiscono per ristabilire le stesse funzioni, continuando a essere un punto di riferimento certo della psico-geografia urbana. La de-monumentalizzazione crea aspettative e sorprende non trovare nessun reale counter-monument (Mihnea Mircan, Monuments, A Prior Magazine, n. 17). Forse perché la risposta era già stata data da Joseph Beuys nel 1982, con il deposito di pietre di basalto scaricate di fronte al Friedericianum di Kassel, per la grande azione della piantagione delle settemila querce. Una pietra miliare per ricordare il carattere “monumentale” dell’operazione urbana: presto il rapporto con la pietra e il monumento sarebbe cambiato, l’albero avrebbe avuto il sopravvento.