Come può reagire un artista messo di fronte alla prospettiva dell’uso esclusivo di quindicimila metri quadrati? Si tratta senza dubbio di un’opportunità, ma di una tale da far tremar le vene e i polsi. Non quelli di Daniele Puppi, pare. Il volume dell’Hangar Bicocca è squassato da un’installazione che impressiona e stordisce e, tuttavia, pone non pochi quesiti sulla violazione e compenetrazione di pratiche e linguaggi dai codici e dalle prassi indiscutibilmente storicizzati.
Il nodo problematico di questo lavoro, e di quello fotografico che mostra, per esempio, un pollice che preme contro un padiglione auricolare, è l’apparente disinvoltura con cui le manipolazioni e l’uso del corpo o le destabilizzazioni spaziali nelle videoinstallazioni dell’artista si confrontano (audacemente o incautamente, è difficile stabilirlo) con mostri sacri del calibro di Bruce Nauman o Dan Graham: non attraverso una rivisitazione postconcettuale o un circostanziato, reverenziale, citazionismo (alla Tino Sehgal, per capirci), ma attraverso un’incentivazione immaginifica, magica, attuata sfruttando le potenzialità tecnologiche e un’indubbia capacità nel carpire e mettere a frutto le suggestioni di un luogo. Qui lo spazio è dominato da un corpo ciclopico, un genio della lampada, che si distribuisce in videoproiezioni multiple sulle campate, e con particolare evidenza iconica sulla parete terminale dell’Hangar, in posizione ieratica, il busto proiettato al centro in maniera intermittente e le braccia, che recano due piatti orchestrali, percossi a intervalli, in due proiezioni laterali. Il suono è propagato da casse poste a diverse distanze nella navata e posizionate in modo tale che nell’attraversamento dello spazio lo spettatore percepisca una timbratura variabile nel suono soverchiante dei colpi secchi. Non siamo in presenza di una sobria video-mappatura concettuale di corpi e cubature e della loro ponderata interazione, ma di un’azione spettacolare che coglie e restituisce le potenzialità dello spazio attraverso l’atto perentorio di una sfrenata esuberanza progettuale. La creazione di una compiuta tensione sembra essere il carattere più saliente di questo intervento, la capacità di Puppi di creare un’adesione totale tra spazio e opera.