Jorge Satorre: Mi piacerebbe che in questa conversazione, invece di parlare della nostra pratica, a cui possiamo accennare anche tangenzialmente, discutessimo di alcune tematiche comuni. Ci sono diversi interessi che condividiamo, ma vorrei proporti di cominciare a rifl ettere sulla nostra reciproca relazione con il “paradigma indiziario” descritto da Carlo Ginzburg1. È stata una delle prime cose di cui abbiamo discusso quando ci siamo incontrati due anni fa.
Meris Angioletti: Sì, ricordo che stavo leggendo alcuni studi di Ginzburg sul sabba2, grazie ai quali, analizzando dettagli apparentemente poco importanti presenti negli atti di processi per stregoneria, è stato possibile ricostruire dinamiche più sofisticate legate a quel periodo storico. È un tipo di ricostruzione che non solo permette di approfondire determinati eventi storici, ma mette in luce anche alcune dinamiche psicologiche legate all’immaginazione: il sabba esiste nella mente dell’osservatore (il giudice), più che nella realtà. In senso lato, il metodo può essere applicato anche allo studio dei processi mentali. Forse è questo l’aspetto più affine alla mia ricerca.
JS: È vero, il metodo può avere diverse applicazioni, anche se Ginzburg parla in modo più specifi co di studi storiografi ci. Sono molto attratto dall’idea di usare come strumento di ricerca le tracce, gli indizi e i segni lasciati da un evento, secondo un processo che avvicina molto il ruolo dello storico a quello dell’investigatore. Inoltre, come hai anticipato, l’immaginazione diventa un mezzo importante per la ricostruzione della storia, evidenziandone i legami con la narrazione e la letteratura in generale. Ginzburg ne parla approfonditamente nella famosa intervista con Adriano Sofri3.
MA: Sì, la figura del detective, però, è anche associata a quella dello psicologo4. Il metodo indiziario ha infatti un’origine medica ed era usato per diagnosticare malattie, di per sé non osservabili in maniera diretta, attraverso lo studio dei sintomi. Freud ha poi spostato l’attenzione dal corpo alla mente, rilevando come fosse possibile ricostruire alcuni meccanismi psichici attraverso dettagli comportamentali apparentemente secondari, come i lapsus, che, emergendo il più delle volte senza il controllo della coscienza, sono in grado di raccontare qualcosa di più sul funzionamento profondo della psiche. Credo che la forza del paradigma indiziario stia nella sua capacità di accedere a livelli di realtà di cui non possiamo essere osservatori diretti, come gli eventi storici, i fatti della psiche o il futuro5, per esempio. Mi viene in mente il tuo lavoro su Chris Burden6.
JS: È un vecchio lavoro, ma ritengo corretto menzionarlo ora, perché ho sempre pensato che i metodi di ricerca della microstoria avessero qualcosa in comune con l’arte degli anni Settanta. Con quel lavoro ho tentato di invertire il mio ruolo di spettatore di un’opera d’arte, usando la famosa performance dello sparo e la distinzione che Chris Burden fa tra pubblico secondario e primario. È un buon esempio di “leggenda” nell’arte, perché la maggior parte delle informazioni che abbiamo sulla performance proviene da commenti o racconti. Per avere un accesso più diretto alle informazioni ho organizzato un viaggio a Los Angeles per convincere Chris Burden a spiegarmi nei dettagli cosa era accaduto quel giorno. Alla fi ne, come sospettavo, non sono riuscito a incontrarlo, ma mi sono reso conto di come fosse cambiata la mia percezione di quell’opera, perché ora, ogni volta che ci penso, non posso fare a meno di ricordare tutti quei giorni di ricerca. Ho poi iniziato a usare questo metodo per altri progetti, focalizzando ogni volta l’attenzione sul modo in cui la mia esperienza e i miei riferimenti sono modifi cati dal contesto.
MA: Credo che la tua esperienza si avvicini al modo in cui ho cercato di rifl ettere sulla posizione dello spettatore nel progetto su Hilma af Klint7. Partendo dalla lettura di alcuni estratti dei suoi quaderni, in cui annotava le istruzioni degli “spiriti” con cui era in contatto, ho cercato di tradurre le informazioni in un sistema complesso, che includesse la mia esperienza di osservatore, per vedere come cambiano le cose nel momento in cui le si guarda8. È un tentativo di mettere in relazione alcune contraddizioni della ricerca scientifica con l’esercizio spirituale di Hilma af Klint, per conoscere quegli stessi aspetti nascosti della realtà che interessano anche la fisica atomica9. Mi sono resa conto che questo metodo chiarisce molto di più il ruolo dello spettatore e affronta in modo più diretto i meccanismi di associazione mentale. Ho cercato di descrivere come l’oggetto dell’osservazione, l’osservatore e l’analisi dell’osservazione possono interagire tra loro.
JS: L’obiettivo di porre l’attenzione sul modo in cui la propria percezione cambia l’esperienza mi sembra particolarmente importante nel momento in cui viene richiesto a un artista di parlare di situazioni completamente nuove — cosa molto comune negli ultimi anni con la diffusione delle committenze site-specific. In un certo senso, mi interessa invertire l’idea dell’artista che interviene in un luogo, pensando che il territorio che verrà maggiomente modificato sarà quello della propria percezione. Forse tu hai un approccio più scientifico verso le implicazioni psicologiche, io invece sono più empirico.
MA: Sì, sono legata a un metodologia vicina all’esperimento scientifico, anche se mi interessa mescolarlo a componenti meno analitiche. Mi viene in mente Sergio Lombardo, un artista romano che alla fi ne degli anni Settanta fondò la rivista Psicologia dell’arte e che individuò per l’artista due modi di rapportarsi alla psiche: uno è quello di usarla spontaneamente, assumendo il ruolo del paziente; l’altro è quello di osservarla, individuarne i sintomi, descriverla come farebbe uno psicologo o uno scienziato. Questa osservazione mi ha aiutata a chiarire il mio interesse per i meccanismi psichici in determinate circostanze: la capacità di creare legami e associazioni, di invertire il tempo, generare proiezioni, tradurre informazioni — che cerco poi di ritradurre e organizzare in un progetto — o addirittura di modifi care i risultati degli esperimenti. Non penso solo all’effetto placebo, ma anche all’effetto attesa, ovvero a come le aspettative dell’osservatore possano modifi care i risultati di un esperimento. Alcune ricerche mediche, infatti, vengono svolte in “doppio cieco”, cioè in situazioni in cui né l’osservatore né l’osservato sanno quale sia, per esempio, il farmaco che si sta testando. Credo che anche le opere siano soggette a questo tipo di interazioni.
JS: Questo si riallaccia al concetto di “verità divina” di cui ti avevo accennato a proposito di un progetto che sto portando avanti10. Il termine si riferisce al primo momento nella storia della letteratura in cui al lettore viene riconosciuta una parte attiva nell’interpretazione di un testo, grazie a una particolare capacità che gli permette di trovare una propria chiave di lettura, diversa da quella pensata dall’autore11. Questa funzione del lettore ha, inoltre, un legame con l’“immaginazione morale”12 di Ginzburg, di cui abbiamo parlato all’inizio. Sto lavorando in collaborazione con uno scrittore per dare forma a un processo di investigazione in cui uso un mio riferimento personale, il film Two-Lane Blacktop del 1971, apparentemente slegato dal tema dell’indagine, come prisma per capire la situazione specifi ca di Piaxtla, una piccola città del Messico sulla quale ho iniziato a lavorare due anni fa. Lo scrittore produrrà una nuova sceneggiatura del fi lm usando i materiali di ricerca che ho raccolto negli ultimi due anni, collegando Piaxtla a Two- Lane Blacktop. Lo scopo è rendere visibili le immagini che si creano nella mente quando tentiamo di comprendere una situazione in precedenza sconosciuta, secondo il principio per cui ogni nuova conoscenza viene assimilata grazie all’associazione con esperienze precedenti. Ora è necessario elaborare qualcosa che abbia coerenza anche per lo spettatore.