Il complesso e variegato rapporto tra arte e politica è un tema di portata pressoché illimitata. Se volessimo circoscriverlo alla più diretta relazione tra governare e fare l’artista potremmo risalire all’origine dei tempi. Frequentemente, infatti, tornano raffigurazioni del sommo artefice come disegnatore e architetto, modellatore e pittore. Basti pensare alla Cappella Sistina, dove il Creatore plasma Adamo, oppure al disegno di William Blake The Ancient of Days (1794), dove Urizen (“personificazione del sapere convenzionale e della legge”, secondo la mitologia dell’artista inglese) utilizza un compasso per progettare il mondo.
Nella mitologia antica anche Giove, “primo ministro a vita” dell’Olimpo, si diletta nella pittura, come raffigurato nello straordinario dipinto allegorico di Dosso Dossi Giove pittore di farfalle, Mercurio e la Virtù (1523-1524), testimonianza della cultura esoterica in voga nel Cinquecento alla corte di Ferrara. Dossi, pittore anticlassico e già manierista, ha immaginato le personificazioni di tre divinità. Una di queste è Giove, riconoscibile per la saetta appoggiata sul terreno vicino ai piedi del nume. Il padre degli dei sta dipingendo dal vero una farfalla, simbolo dell’anima e della volatilità dei pensieri. Con l’elmo piumato, le ali ai piedi e il caduceo dorato Mercurio-Ermes è il deuteragonista; una figura psicopompa in grado di frequentare il mondo dei vivi e dei morti. Terzo elemento in gioco nella dialettica simbolica è la Virtù che proviene da destra. Mercurio chiede silenzio, condizione necessaria alla concentrazione e all’ispirazione di Giove, sotto le cui vesti si cela il duca Alfonso d’Este, uomo d’armi e mecenate creativo, dedito all’ozio contemplativo, all’arte e all’alchimia.
Visitando la mostra di Edi Rama (1964, Tirana) presso la galleria Eduardo Secci di Firenze ho ripensato a questo capolavoro di Dossi e mi sono chiesto, in che modo, il Premier e pittore albanese riesca a trovare l’ispirazione creativa e a coniugare così l’attività di artista e quella di politico, fare arte e governare il suo paese. Cioè come possa concentrarsi e fare silenzio durante le sue impegnate giornate di politico e amministratore. Come contamini una pratica con l’altra e viceversa, con benefici e miglioramenti in un campo e nell’altro, contribuendo così al riavvicinamento di arte e società.
Nel Novecento altri politici si sono cimentati in pittura: da Adolf Hitler e i suoi acquerelli di paesaggi e nature morte, al politico italiano Amintore Fanfani, le cui pitture denotano una serie di riferimenti ai grandi maestri del Trecento e Quattrocento e a Cézanne, con una predilezione per il linguaggio lirico-astratto.
Il caso di Rama è ancora più radicale. Pratica artistica e politica sono vasi comunicanti sebbene Rama le ritenga attività inconciliabili: “Non credo che l’arte e la politica possano convergere. Si tratta di due mondi completamente diversi: la politica è l’arte del possibile mentre l’arte è la politica dell’impossibile. Dalla mia posizione non riesco a vedere possibilità di incontro tra le due sfere. In Albania abbiamo vissuto un periodo in cui politica e arte erano la stessa cosa, ed è stato un periodo tremendo. Durante il regime totalitario si diceva che gli artisti fossero i soldati del partito del lavoro”. (Tutte le citazioni sono da un’intervista con l’artista, aprile 2017.)
Eppure l’artista e il politico non vivono da separati in casa. Infatti, Rama è un’artista da sempre e non ha mai smesso di disegnare e modellare. Da sempre partecipa alle mostre con l’emozione del giovane artista, piuttosto che con la prosopopea e l’arroganza mediatica del personaggio politico. Già professore di pittura e insegnante di Lettere presso l’Accademia delle Arti di Tirana, Rama è stato Ministro della Cultura, della Gioventù e dello Sport negli anni 1998–2000. Nell’ottobre del 2000 si è candidato per la carica di sindaco di Tirana vincendo le elezioni comunali contro il rivale Besnik Mustafaj. Nel 2013 è divenuto Primo Ministro del suo paese.
La sua scheda biografica è esemplare. Appena eletto sindaco, Rama ha ordinato la demolizione dei chioschi costruiti illegalmente dopo la caduta del comunismo nel parco centrale della città, il Parku Rinia (Parco della gioventù); ha fatto smantellare alcuni edifici abusivi sulle rive del fiume Lana, pericolosi in caso di piene; attraverso il progetto Green ha portato alla creazione di 96.700 metri quadrati di terreno verde sui cui sono stati piantati circa 1.800 alberi; infine, ha commissionato il restauro di molti vecchi edifici in Tirana, dipingendo le facciate con colori sgargianti. Il risanamento è stato l’obbiettivo principale del programma politico di Rama.
Rama ha descritto il suo lavoro di sindaco in questi termini: “È il lavoro più eccitante del mondo. Essere il sindaco di Tirana è la più alta forma di arte concettuale. È arte allo stato puro”. Nel dicembre 2004, Rama attraverso un contest online è stato nominato “World Mayor 2004” (sindaco del mondo 2004), e in un concorso internazionale è stato scelto dal Time Magazine come uno degli eroi europei del 2005. Negli ultimi tempi però, Rama sta ricevendo alcune critiche in quanto uomo di potere, e gli viene imputato un eccessivo controllo della comunicazione.
Rama, nella doppia veste di politico e artista, contraddice la tesi platonica secondo cui i pittori (considerati dal filosofo ateniese scenografi) non avrebbero dovuto avere un posto di rilievo nel governo dello stato. Durante le faticose riunioni che lo impegnano ogni giorno, Rama disegna di continuo senza perdere di vista le questioni fondamentali dell’agenda politica. Anzi, sopporta l’impegnativo esercizio decisionale disegnando con penne e pennarelli colorati, sciogliendo nodi psichici in forme figurative appena abbozzate. In questo modo resta concentrato senza annoiarsi o deludersi durante la melina dialettica che aggroviglia burocrati e amministratori.
Nella galleria Secci le superfici murarie sono fasciate da una carta da parati ottenuta impaginando decine di disegni eseguiti da Rama a mano libera, per mettere al riparo dalla noia e dal nichilismo politico la parte più creativa del suo inconscio. La serie Doodles, prodotta fra il 2000 e il 2012, rappresenta il filone più ampio della sua produzione. Qui i disegni sono tracciati liberamente e quasi incondizionatamente su semplici fogli di agenda in cui sono elencati tutti gli appuntamenti. Questi scarabocchi riflettono una sorta di agitazione interiore nella routine quotidiana di un uomo politico, sanando il conflitto tra doveri e piaceri. I disegni esistono come frammenti di tempo, inframezzi di una giornata lavorativa, e possono essere visti come spartiti musicali, improvvisazioni, scherzi, ritornelli. Grovigli liberatori generati con una certa logica, cioè secondo gli automatismi dell’inconscio, si configurano in una doppia veste figurativa-simbolica e geometrica-decorativa. L’immagine si genera attraverso sequenze segniche che fioriscono una dopo l’altra, una sull’altra, anche con la casuale associazione di particolari. Una proliferazione che rompe il ritmo convulso del politico, il giro a vuoto della politica. È come se intervenisse una doppia mano, una doppia mente, un altro sé. Così, i disegni di Rama potrebbero essere imparentati a certi cadavre exquis (poesie e disegni eseguiti in sequenza e alla cieca, cioè senza conoscere integralmente il contenuto precedente, tra diversi operatori). Vi si riscontrano l’allentamento della tensione formale e di ogni logica razionale, la preferenza per la dimensione ludica, per il bizzarro e per il fantastico-grottesco. Ricordiamo che i celebri cadaveri squisiti vennero inventati nel 1925 a Parigi in ambito surrealista. Tra i primi giocatori si annoverano Yves Tanguy, Jacques Prévert, André Breton e Marcel Duchamp. Il termine cadavre exquis scaturì, infatti, da una frase coniata in occasione della prima seduta di gioco che suonava all’incirca: “le cadavre exquis boira le vin nouveau”.
A volte in queste immagini si scopre la predisposizione di Rama per l’architettura e l’urbanistica. Con questi liberi giochi della parte più creativa della sua mente il politico governatore agisce da “archipittore”. Disegna quelli che appaiono come edifici, quartieri, città utopiche. Una vitalità creativa che riconosciamo ancor più strutturata nella scultura, dove si leggono fonti d’ispirazione varie. Una leggerezza e un’eleganza che ci mostrano un artefice saldamente posizionato tra moderno e modernismo. Entrambe le attività rispondono a tempi diversi e differenti intenzioni tra astrazione e attesa. Più che passatempo, l’arte per Rama è un modo di trasformare il tempo libero in tempo creativo e farne spazio sociale. Una zona di pensiero che rivela un’urgenza occulta e in cui Rama diventa un pianificatore di realtà, come ha detto Anri Sala, sostenitore di Rama e suo interlocutore intellettuale. Nel video Dammi i colori (2003) – anch’esso presentato nella mostra fiorentina – Sala esalta l’operato dell’amico, ne sostiene il programma, mostrando la riqualificazione della città di Tirana, narrata dalla voce fuori campo dello stesso Rama.
Artista completo, Rama sembra essersi convinto di dover rendere più colorato il mondo di Joseph Beuys, il cui impegno politico era innegabile e di portata enorme, rivoluzionario e profetico. Disegna conscio del fatto che nessuna opera d’arte cambierà il mondo della politica. “L’arte non ha mai avuto il potere di cambiare la politica e non ha mai avuto il potere di prevenire le guerre. Non ha mai avuto il potere di prevenire i conflitti. Non ha mai avuto il potere di cambiare il percorso della storia e della politica. L’arte ha una grande forza per aprire gli occhi su mondi diversi che non sono visibili dal mondo raccontato e governato dalla politica. E aprendo queste finestre infinite su mondi diversi, l’arte ha forse influenzato la società in certi periodi della storia. Ha influenzato lo stile, la maniera di vedere il corpo, il modo di vedere le relazioni dell’uomo con il suo prossimo, con la natura – lavorando su un livello completamente diverso da quello su cui lavora la politica. Completamente diverso da quello dell’angoscia del quotidiano che la politica cerca di indirizzare”. Fatto sta che Rama pone le basi di un nuovo esercizio della politica e del governo, confidando nel potere dell’immaginazione, attivando le più antiche discipline del disegno e della scultura, dell’architettura e della pittura. Nei suoi scarabocchi si nasconde forse il suo vero programma di governo.