C’è sempre più ibridismo nel modo in cui l’arte riesce a relazionarsi con la ricerca scientifica, familiarizzando con differenti metodologie, materiali, spazi e linguaggi. È il caso del lavoro di Elena Mazzi presentato nella mostra al PAV “Di rame, cera, ferro, glicini e ghiaccio”, curata da Marco Scotini. E questo non solo per l’attitudine a modulare la sua pratica in base ai diversi contesti, sia nel processo di ricerca sia nei mezzi che la restituiscono. I lavori di Elena Mazzi riescono a dare un’immagine ai mutamenti di natura geologica e geopolitica apportati dai cambiamenti climatici. Con una palette di contesti geografici che tocca il Mar Artico, la Sicilia, la Lapponia, il Trentino-Alto Adige e Torino, il suo pensiero cartografico produce mappe di paesaggi che mutano velocemente.
The upcoming polar silk road (2021) è un mockumentary che mette insieme interviste e immagini che interessano il progetto di conquista di una delle ultime aree del mondo rimasta non sfruttata: le regioni artiche legate alla Via Polare della Seta, punti strategici per le rotte mercantili e fonte incredibile di risorse. Per il futuro sono previste ciclopiche infrastrutture per le estrazioni di petrolio, gas, uranio, oro, platino e zinco. È stato lo scioglimento dei ghiacci perenni a scatenare una spietata contesa economica e geopolitica per l’egemonia del Polo Nord, un conflitto che interessa Russia, Cina, Norvegia e Stati Uniti. Il tono ironico e la manipolazione del testo e delle immagini all’interno del video fanno emergere tutta la pericolosità delle ambizioni neocoloniali.
L’arazzo in plastica riciclata Snow Dragon (2019) restituisce un’immagine di questa nuova rotta commerciale che attraverserà l’Artico. Una semplice linea tratteggiata a forma di S su campo bianco simboleggia l’impatto geopolitico dagli effetti devastanti su scala globale, legato ai cambiamenti climatici.
La postura cartografica adottata da Mazzi rende possibile l’osservazione e la comprensione di un mondo che cambia. La proposta sembra quella di adattare la superficie delle carte geografiche ai mutamenti e agli spostamenti. Bisogna però rinunciare a una fede cartografica che tutto conosce e tutto cattura, questo è molto chiaro in En route to the south (2017- 2020), una proposta di mappe transitorie. Il progetto di lunga durata, realizzato in collaborazione con Rosario Sorbello, racconta di apicoltura nomade e migrazione umana e di come api e esseri umani condividano lo stesso destino. Telai di cera contenuti in arnie sostituiscono la tradizionale trama ad alveare con l’incisione di mappe di sei città che statisticamente hanno registrato un incremento produttivo favorito dai flussi migratori. Un’equazione, quella tra spostamento e produttività, che è alla base dell’apicultura nomade e che, negli ultimi anni, soprattutto in Sicilia, ha migliorato le condizioni delle api, messe a dura prova dai cambiamenti climatici.
Per Copperialities (2022), un progetto promosso dall’Università di Bolzano, l’artista ha lavorato con il rame, un materiale largamente usato come antiparassitario nelle monoculture del Trentino-Alto Adige con gravi effetti sulla salute del suolo. L’osservazione del comportamento del rame nella cottura di lastre di vetro ha generato figure astratte che ricordano la materia osservata su vetrini al microscopio, e danno un’immagine a una natura sempre più antropica. I paesaggi visivi tracciati da Mazzi sono autentiche icone perché portano a conoscenza la condizione di uno spazio fisico, che diventa simbolo di un territorio che non si lascia cogliere se non in maniera transitoria. Smellscapes (2022) compone invece un paesaggio olfattivo. È una produzione di essenze ottenute a partire da elementi che provano a identificare il quartiere intorno al PAV, un’area ex industriale ora prevalentemente residenziale: materiali organici come il glicine, inorganici come la gomma delle auto e le piastrelle di rivestimento delle facciate.
Cosa può significare per l’arte contemporanea occuparsi di ecologia e cambiamento climatico? Di certo affrontare l’esaurimento delle risorse naturali e difendere la biodiversità sociale e culturale. E questo emerge chiaramente dal quadro teorico sul quale affonda la pratica curatoriale di Marco Scotini. La sua programmazione di mostre al PAV di Torino restituisce tutta la complessità di ecosistemi, linguaggi e modi di conoscere che siano multiformi, con mostre che mettono in questione il ruolo delle istituzioni museali e il loro stesso peso nella costruzione del futuro.