Enzo cucchi entra nell’arte con disegni e sculture nel simbolico 1977, in Italia e fuori, durante gli Anni di piombo, avvio del crollo dell’ideologia che porta, “fin quando non si troverà un termine migliore” (Jameson), al Postmoderno, nella vita come nell’arte.
Anni Ottanta in prepar/azione da metà Settanta, con l’inizio della crisi delle ideologie, la perdita del senso del futuro e delle utopie. È la fine della Storia, delle avanguardie, della modernità… la fine del secolo e del millennio. È fine con preparazione di nuovo inizio, di cui Cucchi è protagonista. Si diffonde la cultura del desiderio e della creatività, nella società divenuta “dello spettacolo” (Debord) e nella civiltà estetica avvertita dai nuovi filosofi francesi, dove la tesi hegeliana del “falso è un momento del vero” diviene “il vero è un momento del falso”, vissuto negativamente da Debord, nell’epoca Postmoderna il simulacro, segno simbolico e azione creativa, diviene attrezzo per agire nella realtà.
Pausa di Canto con Artist Brian Eno:
Song: By This River
…
You talk to me
as if from a distance
And I reply
With impressions chosen from another time,
time, time,
From another time
Per la vita ciò è crollo del pensiero forte con l’avanzare del “pensiero debole”: Rovatti-Vattimo, o complesso: Bocchi-Ceruti, o rizomatico: Deleuze-Guattari; per l’arte significava modificare teorico-praticamente categorie avanguardiste-moderniste-evoluzioniste, sottraendosi al divieto di tecniche “tradizionali” come pittura, scultura, disegno fuori luogo e fuori tempo. La nuova “arte degenerata”, vietata nell’ambito di un sistema estetico per lo più concettuale, guardava anche proustianamente al “tempo perduto”, anzi, come diceva De Chirico, all’origine. Il 1977 è un punto di svolta per la società e per l’arte, è l’anno in cui iniziano ad affacciarsi nuovi artisti che dipingono, scolpiscono, disegnano, affrescano… Per Cucchi è l’anno in cui inizia a esporre non solo disegni, a Roma presso gli “Incontri Internazionali d’Arte”, ma anche sculture, a Milano alla Galleria Luigi De Ambrogi. Non solo Ritratto di casa, disegno su due pareti angolari di due grandi e lunghe case, motivo ricorrente nella sua opera, ma anche Montesicuro Cucchi Enzo Giù, di cui dice: “Il primo lavoro si chiamava Montesicuro Cucchi Enzo Giù. Hanno detto tutti che ero matto quando ho fatto questo lavoro. Un disegno completamente scomparso. Sono così contento di questo enorme coltello in cemento! Era un lavoro di 7 metri, è stato sotterrato e non si sa nemmeno dov’è. Era la mia prima grande mostra a Milano”.
Milano dall’intermezzo di Canto di Dalla:
…
Milano vicino l’Europa
Milano che balla che canta
Milano gambe aperte
Milano ride e si diverte
…
Disegni grandi e piccoli, e grandi e piccole sculture caratterizzano il suo inizio, che prosegue l’anno successivo, sempre a Roma, “Alla lontana alla francese” nello Studio d’Arte Giuliana de Crescenzo, di cui dice: “Questo lavoro non esiste più. Dentro c’era un grande tubo, quasi un piccolo segno di marmo, inciso. Questi erano due disegni appoggiati sopra una cordicella, l’uno che si specchiava sull’altro, su questo grande tubo, questo cono fatto di plastica. Poi c’erano queste due silhouette di gomma anamorfe. Molto contemporaneo ancora oggi”. L’anno dopo nella stessa galleria ripropone una mostra dove l’elemento plastico è un grosso bastone di ceramica adagiato sul pavimento guardato da una “tela che è come un disegno appoggiato al muro e segnato”. Non solo Roma e Milano, ma anche Bologna con “La cavalla azzurra” alla Galleria Mario Diacono, dove, insieme ad alcuni disegni, domina un lungo “mestolo” in terracotta, o “Sul marciapiede durante la festa dei cani” da Tucci Russo a Torino, in cui campeggiano due lunghe “preistoriche zanne di legno”. Se aggiungiamo che gli artisti che Cucchi sente più vicini — Medardo Rosso, Fontana e Beuys — sono non solo scultori, ma, come Cucchi, anche disegnatori speciali, ecco altri elementi per Cucchi scultore, che pensa però alla forma come disegno: “segno che segna”. Egli-Lui-Stesso-Esso non si lascia ingabbiare in categorie predefinite: quando parla di scultura non fa riferimento solo alla scultura, ma anche al disegno e alla pittura, creando un vortice interpretativo, dove visione e leggenda finiscono per prevalere su tutto, nel tentativo di far “depositare la Storia”. Sull’arte Cucchi ripete: “È come quando la mattina una persona si alza e prova a mettersi in piedi, e decide di restare in piedi. È la prima idea che ti viene in mente. Il lavoro deve essere così, sono i piedi di una mostra. E Masaccio ha fatto tutte queste figure incredibili, meravigliose, le sue teste con l’infinito, sapeva poggiare bene i piedi per terra alle cose. Io ho solo appoggiato i miei lavori per terra, ogni volta”. “Poggiare i lavori per terra” fa pensare, ovviamente, più alla scultura che alla pittura, anche se evocato attraverso l’opera di un grande pittore, Masaccio, che ha introdotto una tale plasticità nella pittura da essere motivo di interesse anche per gli scultori. Nella scultura i piedi, e tramite essi lo stare in piedi-peso, equilibrio, statica, gravità, rivestono un ruolo centrale: per la statuaria classica la posizione dei piedi, l’appoggio, la sua relazione con la base, non a caso chiamato piedistallo, ha sempre avuto un ruolo cruciale, che va da Prassitele e Policleto fino a oggi. I piedi plastici di Cucchi passano spesso per la pittura, come nel bronzo I piedi di Caravaggio, perché lo stare in piedi non è solo un fatto di equilibrio gravitazionale, ma formale, di segno che attiene a tutte le forme d’arte e di vita stessa. Spesso in Cucchi la forma contraddice se stessa, i piedi non toccano terra ma svolazzano in aria, al contrario dei “Piedi” di Fabro che sono poggiati a terra, ma simili pure alla forma di un albero, rovesciato come l’Italia, ancora un “piede con gamba”, questa volta rivolto verso l’alto, è la continuità dell’arte italiana. Cucchi dice: “Un uomo eretto, in equilibrio, è l’unica possibilità di pensare a una forma, o di avere un’immagine… Come i fiorentini decidevano di prendere il David di Michelangelo e portarlo nella loro piazza, così si dovrebbe decidere di prendere gli uomini di pensiero e isolarli dall’esterno infinitamente più forte di loro e portarli davanti a un albero. La sua ombra è la salvezza dell’albero e del pensiero, che hanno sempre cercato la luce. Ma gli uomini da sempre portano tutto all’ombra”.
Con i piedi l’ombra è cruciale nell’arte e nella vita, perché senza l’ombra non siamo, e se nella pittura l’ombra è rappresentazione e/o teorizzazione, nella scultura, come nella vita, è reale, testimonia la nostra esistenza materiale, la forma corpo del nostro essere plastico. Siamo appoggiati a terra e l’ombra finisce sempre per cadere per terra spinta dalla luce. In tale parallelo gravitazionale tra ciò che ha materia, peso, plastica e ciò che ne è privo, vediamo il legame tra scultura e ombra e per Cucchi non solo “L’ombra vede”, ma fa sì che “l’arte si salva con l’ombra”, anche “perché le cose si mantengono all’ombra”. Nel territorio sotterraneo dell’ombra si aggira l’arte di Cucchi, che preferisce “rappresentare” la vita attraverso la morte fatta di “materia che si meraviglia della propria forma”, di “materia che si muove nello spazio… e quindi nell’esperienza di un’immagine”, dove “i conflitti sono masse formali di materia”. Opere affollate di elementi di vita e testimonianze della morte come teschi, e/o immagini che sembrano provenire dall’aldilà, forme confermate con: “Si può parlare della vita solo attraverso la morte, attraverso le cose che si conoscono… Camminiamo sopra la morte. Sono più i morti dei vivi. Camminiamo… Cézanne dipingeva le mele. I miei teschi sono le mie mele”. Vita che vive, vita che muore, morte che vive, morte che muore in un parallelo formale-alimentare voluto dal ciclo vita-morte-vita. È un percorso naturale tenuto dall’arte dal racconto artistico e sociale dell’arte, dove un altro parallelismo ci fa dire che ha resuscitato le tecniche “tradizionali” come il disegno, la pittura e la scultura considerate allora “lingue morte”. Così, morte estetica, morte dell’arte e morte reale finiscono per trovarsi nella resurrezione prodotta dalle forme e dalle immagini dell’arte per questo: “La scultura è anche sotto la terra. È un’isola preistorica”, riconfermando l’idea dechirichiana dell’origine, non a caso di un pittore che mette al centro della sua pittura la rappresentazione della scultura e dell’ombra. Ombra che da Cucchi è portata all’origine classica e anche oltre, oltre l’origine, oltre lo spazio storico-classico in favore di quello fluttuante in cui materia e tempo stanno ancora facendosi. Scultura di luce (Fontana), d’ombra (Martini), di bronzo (Donatello), di ceramica (Picasso), bassa (Autore Ignoto Assirobabilonese), alta (Michelangelo), di ieri (Niccolò dell’Arca), di oggi (Boccioni), pittorica (Rosso), letteraria (Rodin), che parlando di Storia di un quadro ferito (1983, Collezione Centre Pompidou) cita Moby Dick dove si dice della scultura: “È la testa di Acab tratta dal romanzo di Melville, un romanzo molto importante per me. Una descrizione formidabile. Una ferita come il fulmine che folgora l’albero. Il titolo del quadro è Sguardo di un quadro ferito, come un animale ferito ‘aveva l’aspetto di un uomo staccato dal rogo’, scrive Melville, ‘quando il fuoco ha devastato, trascorrendole, tutte le membra, ma senza consumarle o rubar loro una sola particola della compatta e vecchia robustezza. Tutta la sua figura, alta e grande, sembrava fatta di solido bronzo e foggiata in uno stampo inalterabile, come il Perseo fuso del Cellini”. Ecco alcuni dei motivi per concentrarsi su questo fondamentale aspetto dell’opera di Cucchi. “È un’isola di necessità originaria” in cui troviamo bronzi, mosaici, ceramiche, marmi che vanno non solo dal piccolo è bello al grande è ancora più bello, per usare misurazioni naturali, da sculture grandi come un pugno a sculture alte come un albero. Si tratta di sculture formate di ercoli, idoli, comandanti, luci, ombre… e senza titolo… Sculture che corrono lungo una base a nastro di legno grezzo, variabile piattaforma espositiva, linea discontinua del mostrare, in cui troviamo le otto opere intitolate “Ercole dona l’intelligenza” (1993), ercoli anamorfi come materia sotto sforzo e titolo paradosso, perché la qualità di Ercole è quella della forza di Eracle, non certo dell’intelligenza di Athena o dell’astuzia di Odisseo. Dei, semidei, titani: Ercole liberatore e soccorritore di Prometeo, il più intelligente dei titani che ruba il fuoco dall’Olimpo per salvare gli uomini. Fuoco che fonde rame e stagno per creare il bronzo, dono della metallurgia che rende possibile la trasformazione della materia, della natura in cultura, creazione dell’arte. Dono dell’intelligenza, traslato, finanche nella dimensione scelta per gli Ercoli, di piccole dimensioni e non possente, titanico, forzuto come siamo abituati a vedere Ercole. Forme-immagini concentrate, quasi intime, fatte con l’abilità della tecnica e, parafrasando Pascal, con l’intelligenza del cuore dalle ragioni che la mente non conosce. Sculture che sembrano fatte dalla natura, partorite dalla terra come tartufi, evidente anche nelle scorie della patinatura non lucidata per cui appaiono come scavate da quel sottoterra in cui dimorano i morti, in quel ventre dove la morte decomponendosi nutre vita e forma nuova.
E soffio di canto con De André che canta che:
…
Vanno
Vengono
Ogni tanto si fermano
E quando si fermano sono nere come il corvo
Sembrano che guardano con malocchio
…
Con gli ercoli gli idoli come: Mocio Vileda (forma scaricata di pubblicità), Pipi (pioggia dorata dell’umanità), Idolo italico (antenato della latinità), Idolo ubriaco (comandante dell’instabilità), Domenica (riposo vano della settimana), Implorazione (orazione pubblica e privata della viltà) del 2004; o Scopritore del fuoco (Homo Herectus della civiltà), Idolo fiorito (Cantamaggio della felicità), Vaiolo (malattia della transitorietà), Idolo da caccia (propiziatore dell’animalità), Idolo immaturo (minorenne della civiltà), Idolo d’ombra (copertura della socialità), Idolo ombra (così è se vi pare la sacralità), Abbraccia (fortezza amorosa dell’essere con l’essere) del 2005. Titoli che dicono di un’epoca in cui non si guarda più solo avanti, ma si accetta il presente che guarda al passato, alle proprie radici, affermando la poetica del locale, che per Cucchi significa non solo Mediterraneo, ma le Marche. Opere in bronzo scuro e a volte chiaro, bronzo brunito che ha un significato molto preciso all’interno del suo lavoro come della tradizione scultorea in generale che lega i due modi di usare il bronzo a una differenza come quella tra il giorno e la notte, la luce e le tenebre. Nero, colore preferito da Cucchi che vede la scultura — e tutto il resto della sua opera — come un disegno, anzi come “una disegna” madre dell’arte. Nero disegno/a come il blu è di Klein o il rosso di Tiziano, e non a caso Cucchi ha dedicato in passato opere (pitture) a Malevitch che, col suo quadrato, ha fatto del nero una formidabile e cruciale icona dell’arte. Nero dell’ombra e dei titoli, quell’ombra che è sempre nera, nero instabile, provvisorio, mobile, che ci segue comunque e ovunque, che non ci lascia mai soli, e tramite tra vita, morte e arte. Cucchi alleggerisce la tragicità dell’ombra con l’ironia visibile in opere e titoli, perché è artista visivo e scrittore visionario prima del suo ingresso nell’arte, è poeta con poesie intitolate Veleno. Vita e morte caratterizzano anche i bronzi ciclopici come Comandante della Luce in Perlustrazione (Cristo) I e Comandante della Luce in Perlustrazione (Cristo) II del 2004 e Oscuro Dio e Senza Titolo del 2005-2006-2007, in cui il tema della croce/crocifissione è ancora una volta affrontato in maniera non ortodossa, nel senso che la croce non c’è, è allusiva e il corpo del Cristo è anatomicamente modificato nel passaggio vita-morte: la testa e il teschio davanti e dietro, sul petto e sulla schiena formano l’orizzontalità e il monte calvario, e il corpo la verticalità della croce che si fa spirale passando per la Pietà Rondanini in Comandante della Luce in Perlustrazione (Cristo) II, o in modo simile con lo scheletro portato in spalla dal Cristo in Comandante della Luce in Perlustrazione (Cristo) I. Qui il tema religioso-spirituale è segnato dall’arte che da millenni fa il segno della croce, unica tematica, salvo rare eccezioni, a resistere e a essere praticata dagli artisti anche quando la società si è secolarizzata, perché solo segno spirituale, ma “segno che segna”, segno d’arte su cui non a caso sono nati scontri di civiltà, lotte per l’immagine libera dell’arte. Le immagini non sono mai neutre, alcune meno di altre, tant’è che la stessa esistenza di gran parte dello sviluppo dell’arte occidentale è dipesa fino a un certo punto anche dal fatto che la croce poteva essere rappresentata come crocifissione, farsi immagine come da discussione e scisma a partire dal 787 col Concilio di Nicea, in cui il Patriarca Niceforo disse che: “Se si sopprime l’immagine, non è il Cristo, ma l’intero universo che sparisce” e Cucchi, mettendosi dalla parte dell’immagine, si mette non solo dal lato dell’arte, ma anche da quello dell’universo. Così propone un confronto tra civiltà pagana, cristiana e secolarizzata, dove marchiamo le differenze dell’esistenza, passando dalle “mitologie” pagane del tempo degli ercoli e idoli in cui lo scontro avviene per il dominio sulla materia — pensiamo al conflitto olimpico-greco-prometeico sull’energia che dà la possibilità di trasformare la materia, passando dal crudo al cotto, per dirla con Lévi-Strauss, nel Paradiso cristiano dove si discute sul sapere. Se per il primo si tratta di un gesto materiale, di forza, quasi artigianale che necessita dunque di un titano, nel secondo è un atto concettuale per cui è necessario un uomo normale che da dio si è fatto uomo e poi ancora dio, mostrando quel ciclo vita-morte-rinascita centrale nell’opera di Cucchi. Fin dall’origine, l’immagine è una questione di vita e di morte, tra essere non essere e come essere, perché l’uomo inizia a esistere anche come “immagine e somiglianza”, della vita come della morte, della luce come dell’ombra. Miti originari di fondazione cari alla cultura romantica, e Cucchi si considera addirittura iper-romantico, di cui l’uomo sente ciclicamente necessità per rifondare una nuova sensibilità originaria, elaborando la sua origine mitica. Difatti Fontana (nera) del 2004 è vortice-spirale di mele, di teschi scusate, alla base della quale trotterellano per sdrammatizzare con leggera ironia degli asinelli. Opera della morte, ma che con forma spirale e movimento ascensionale dice che in essa, come in tutte le opere di Cucchi, c’è movimento e vita fatti non solo dalla “forma che forma” o dal “segno che segna”, ma anche e meglio ancora dal “segno che scolpendo disegna”.