In “Felt”, la sua prima personale in Italia, Eric Nathaniel Mack gioca, già a partire dal titolo, con un’idea di tangibilità dei materiali usati nei suoi lavori, che viene voglia di toccare, sentire. Ciò che esprime nella mostra alla Galleria Franco Noero, infatti, è una tattilità legata ai tessuti, alla loro morbidezza e alla loro sensualità. Pensata come una mostra di presentazione dell’artista, i tre spazi della galleria offrono uno spaccato della sua pratica che combina arte e moda, pittura e installazione, rendendo l’esposizione una buona occasione per avvicinarsi alla cultura materiale di Mack, e cogliere il suo agire per accumulazione e combinazione di elementi disparati.
Dal soffitto pendono installazioni di stoffe morbide e leggerissime, fatte di scampoli di tessuti cuciti insieme, di dimensioni e colorazioni diverse. Attraversano lo spazio in sintonia con l’architettura che le ospita, in simbiosi con la luce che filtra dalle finestre, mai uguale nelle diverse ore della giornata. A ogni allestimento, infatti, le forme composite delle stoffe trovano nuove configurazioni e diversi modi di essere percepite. Alle pareti stampe viniliche di ritagli di giornali e fotografie di moda sono filtrate dai tessuti e schermate dai loro colori in trasparenza, con un effetto che sembra guardare alla velatura rinascimentale a alla serigrafia novecentesca. La scelta di incollare alle pareti le fotografie di grande formato sembra assecondare il riferimento alla pubblicità e alla moda. Lo stesso si può dire della costruzione dello scatto: Gabrielle Mack posa davanti a un limbo fotografico nello studio dell’artista, gli abiti sono dello stilista Kiko Kostadinov e lo styling è di Haley Wollens. Gli indumenti richiamano le stoffe fluttuanti a mezz’aria che velano la vista di queste immagini, le mascherano e gli danno colore, e vivono insieme a esse nello spazio.
A questo gioco di trasparenze e sovraimpressioni di colore, se ne alterna uno di opacità nella serie di opere prodotte per questa mostra: Baltimore, Hope in Times Square, Ask Binx to wear a backless frock, How Stone (tutte 2023), assemblaggi di stoffe, appesi a parete, che hanno come supporto telai di legno o alluminio. In queste opere gli scampoli di cotone, velluto, lino, poliestere e seta emergono subito come protagonisti di una pratica pittorica che trova il suo canone nell’uso di tessuti con un colore e una forma proprie, una figurazione e una geometria intrinseche. Tesi sui telai, gli scampoli producono una superficie pittorica discontinua, che lascia spazio a vuoti che rendono visibili le strutture. Mack sperimenta con tessuti di forme, pattern e consistenze diverse che, cuciti insieme, risolvono i diversi elementi pittorici: la superficie, il materiale, la composizione e il colore. Un fare che ricorda quello dei quilt, le coperte americane fatte con pezze di stoffa diverse che, giustapposte con apparente casualità, producono quadri da appendere come degli arazzi. L’uso dello scampolo richiama allo stesso modo un recupero che è insieme materico e affettivo. Una scelta che interroga il valore di oggetti ridotti in frammenti, che tuttavia rivendicano una durabilità imprevista.
“My clothes are from my very inner self” si legge nell’unica opera senza titolo, Untitled (2023), una stampa vinilica in bianco e nero, incollata al muro e in parte al pavimento, che rappresenta una figura in movimento. Su di essa l’artista è intervenuto con tracce pittoriche che velano l’immagine al pari dei tessuti nelle installazioni sorelle. Le parole dell’immagine caricano i vestiti di significato, avendo raccolto nella loro trama la gestualità meccanica del processo di produzione industriale, la gestualità più imprevedibile di chi li ha toccati e indossati, e che, in alcuni casi, hanno avuto un vissuto, assorbito il calore e protetto dal freddo.
La presenza di oggetti effimeri in dialogo con le opere sono il segno che le composizioni di Mack tendono a espandersi nello spazio e a farsi sempre più intricate. Un paio di zoccoli di legno, una borsa di tela e bicchieri di vetro contenenti acqua e piccoli pezzi di stoffa sono frammenti di vissuti, frammenti di fontane, che intrecciano relazioni ogni volta diverse con le opere. Una forza centripeta sembra abitare la mostra, una forza che dalle pareti arriva al centro dello spazio, facendo progressivamente perdere gravità e consistenza alle opere. Una tessitura dello spazio che sembra fatta di continui scambi, aggiustamenti, epifanie e dirottamenti, perché l’ordito possa farsi trama all’incrocio delle velature.