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19 Maggio 2017, 4:58 pm CET

Esposizione Universale di Michela Arfiero

di Michela Arfiero 19 Maggio 2017
Gilliam Wearing "Signs that say what you want them to say and not signs that say what someone else wants you to say" (1993-98). Courtesy Galleria Emi Fontana, Milano. Fotografia di Roberto Marossi.
Gilliam Wearing "Signs that say what you want them to say and not signs that say what someone else wants you to say" (1993-98). Courtesy Galleria Emi Fontana, Milano. Fotografia di Roberto Marossi.
Gilliam Wearing “Signs that say what you want them to say and not signs that say what someone else wants you to say” (1993-98). Courtesy Galleria Emi Fontana, Milano. Fotografia di Roberto Marossi.

Se comunemente per Esposizione Universale si intende una rassegna interdisciplinare di carattere internazionale, tipo Expo, nella mostra curata da Giacinto Di Pietrantonio alla GAMeC di Bergamo “l’universalità” del titolo non si riferisce alla diversità geografica dei paesi partecipanti ma alle tematiche affrontate. Otto sezioni per otto temi universali secondo il seguente ordine: Potere, Quotidiano, Vita, Morte, Corpo, Mente, Amore, Odio. Una sola disciplina: quella dell’arte, attraverso il tempo con opere che vanno dal Rinascimento sino al contemporaneo. Attingendo al patrimonio dell’Accademia di Carrara di Bergamo, l’esposizione propone accostamenti e relazioni sottolineate dal pensiero di Gino De Dominicis, che apre il comunicato della mostra: “Tutta l’arte è contemporanea”. Ogni sala sviluppa un tema con parallelismi e corrispondenze tra capolavori dell’arte antica e opere di artisti contemporanei, a volte seguendo una logica di riferimenti iconici altre volte con accostamenti più inaspettati.

Nella sala del Potere spicca il lavoro La stanza dei cento re che ridono di Diego Perrone, dove l’artista mette il sorriso a famosi ritratti di re e sovrani, vicino all’originale Ritratto di Lionello d’Este di Pisanello. È poi il semplice e accrocchiato arco di trionfo a uso personale di Jimmie Durham che mette in discussione e sconvolge maggiormente qualsiasi idea di potere. Da segnalare la presenza, in ogni sala, a metà tra il monito e la didascalia, di uno o più quadri con testo di Ben Vautier che introducono o chiudono il tema rappresentato. Se a volte, nel gioco di specchi, i lavori si riflettono in maniera letterale, come nel disegno/progetto di Christo & Jeanne-Claude, Wrapped Reichstag, Project for Berlin, con il Reichstag che si riflette nel quadro con specchio Le pouvoir aime se regarder dans son miroir (Il potere ama guardarsi nel suo specchio) di Ben Vautier, è in altre corrispondenze che questi confronti mostrano qualcosa di inatteso, come la relazione differente che può sussistere all’interno di uno stesso soggetto e come questo rappresenta e trasforma quello che è stato suggerito. Passato, moderno e contemporaneo in totale assenza di nostalgia riescono ad avere la medesima forza. Lo dimostra, nella sala dedicata al tema della Morte, il bozzolo di uomo di Charles Ray, l’essenza della scritta We died, — con la virgola — di Victor Man, l’effige in marmo della madre di Adolf Wildt del 1921 e il Cristo morto tra la Vergine e Giovanni Evangelista di Giovanni Bellini. Nella sala della Mente, come per diffondere pensiero concettuale, al centro è collocato l’orinatoio, Fountain, di Marcel Duchamp circondato dai ritratti di Agostino Carracci, Gentile Bellini, il Ritratto di Giuliano de’ Medici di Botticelli e Intelligent Artifice(r) di Pietro Roccasalva. Per la sezione Corpo, le anatomie differenti di Jirí Kolár del 1964, l’uomo capovolto nella propria gabbia di Antony Gormley e i “Maltrattati” di Roberto Cuoghi accanto a una serie di martiri del Cinquecento di Bartolomeo Ramenghi detto Bagnacavallo.

presso GAMeC, Bergamo.

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