Proprio nel momento in cui una complessa molteplicità di problemi politici e umanitari rendono l’ingresso della Turchia nell’Unione Europea un’improbabilità, piuttosto che una concreta possibilità, l’arte contemporanea turca sembra aver raggiunto il vertice massimo di visibilità e interesse nel Vecchio Continente. Così “EurHope 1153: Arte Contemporanea dal Bosforo” non è una ricognizione di un territorio sconosciuto, bensì una sintesi di esperienze di artisti già ben noti internazionalmente e molti dei quali residenti a Londra, Francoforte e Berlino. Il titolo allude alle miglia marine che separano Istanbul dalle coste di Trieste, una distanza insieme reale e simbolica, misura di un desiderio e di un rapporto culturale ancora irrisolto con l’Occidente. Come in tutte le mostre di taglio geografico, il rischio è di appiattirsi sul reportage giornalistico, esibendo un esotismo di maniera atto a soddisfare tutti i palati. I curatori sono riusciti in buona misura ad aggirare l’ostacolo, presentando la fotografia di un paese i cui problemi e contrasti affliggono in ampia misura tutta la società globalizzata.
What Remains (2003) di Ömer Ali Kazma è un video costruito in un anno intero di lavoro al seguito del Galatasaray, la principale squadra di calcio turca. In una rapida sintesi di flash visivi, l’artista racconta la quotidianità dei giocatori di una squadra professionista, sospesi tra la noia dei ritiri e l’adrenalina feroce delle partite internazionali. Profondamente turco ma anche profondamente globale, questo lavoro presenta un ampio spettro delle passioni che accompagnano ogni uomo, dalle sue pulsioni più istintivamente animali a quelle sublimate dell’amicizia e dell’altruismo.
Haluk Akakçe è autore dello spettacolare Shadow Machine (2006), videoproiezione in cui si susseguono una parata di forme e oggetti animati, costruiti in grafica 3D, che ricordano dettagli e oggetti dell’architettura tradizionale ottomana, come cupole di moschee e ventagli. Accompagnata dal sottofondo musicale del balletto Coppelia, quest’opera è una brillante sintesi estetica tra tradizione turca e innovazione virtuale, scandita da un lirismo sospeso tra nostalgia e meraviglia.
Su un versante più strettamente politico-sociale, Scary Asian Men (2005) di Banu Cennetoglu mostra le immagini di alcuni uomini, probabilmente disoccupati, seduti lungo l’autostrada che collega la parte asiatica di Istanbul a quella europea. È una presenza che diventa misura ironica di una minaccia, una cerniera di confine tra due mondi che per incontrarsi e comprendersi devono ancora fare molta strada.