Giovanni Viceconte: Ti esprimi principalmente attraverso eventi performativi-collettivi dove il pubblico ha una funzione rilevante per la sua attuazione. Quanto queste azioni sono fondamentali nel tuo lavoro?
Filippo Berta: La collettività è per sua natura complessa e implicarla in eventi performativi collettivi mi permette di articolare il lavoro con una pluralità di significati indipendenti dall’arbitrarietà dell’autore. Le persone coinvolte eseguono dei gesti comuni che non richiedono abilità interpretative e ciascuna di essa è portatrice di un senso esclusivo. Sarà poi il carattere stesso dell’azione a decretarne la fine o la ripetizione continua. Il pubblico a sua volta osserva dei “non-artisti”, generando un legame orizzontale in cui lo spettatore è un potenziale performer. Il mio intento non è entusiasmare o indurre il pubblico all’applauso finale, perché sarebbe come decretare la fine di uno spettacolo per poi dimenticarlo. Preferisco un silenzio disarmante e disorientante.
GV: Come avviene e che importanza ha la scelta dei soggetti che prendono parte ai tuoi lavori?
FB: Le persone coinvolte sanciscono il senso dell’azione e perciò la scelta dei soggetti è un momento cruciale. Per la ricerca faccio uso dei social network e può essere limitata a una sola tipologia o estendersi alla totale eterogeneità. Per fare alcuni esempi di selezione mirata posso citare la performance Déja vu (2008), in cui erano necessarie coppie di gemelli identici, essendo un lavoro che rifletteva sulle dicotomie insite nell’individuo. Un’altra performance, in cui sono stati coinvolti alcuni immigrati per riflettere sul dualismo immigrato/autoctono, è Canzonette (2008). All’opposto si collocano le performance Territori (2009) e Isole (2011), per le quali era necessario un gruppo eterogeneo di persone.
GV: Sempre più spesso l’artista si sofferma su problematiche socio-culturali. Cosa ne pensi e che importanza gli dai nella tua ricerca artistica?
FB: I meccanismi disarmonici della collettività producono problematiche vissute in prima persona da tutti; questa condizione permette di riattivare nel mio lavoro tutte le tensioni soffocate dalla confusione generale. L’obiettivo è portare alla luce queste tensioni cercando di evitare una facile fascinazione estetica in favore di un fascinoso disturbo, inteso come una riflessione disorientante e affascinante.
GV: Nel tuo ultimo video Homo Homini Lupus, 2011, la bandiera italiana è dilaniata da tre lupi come se fosse l’unica fonte di sopravvivenza. Si tratta solo di una scelta provocatoria o nasconde come in altri tuoi lavori l’istinto violento e conflittuale della natura umana?
FB: Questo video mostra una collettività omogenea che nasconde in sé diverse identità le quali, eccitate da un istinto violento di sopravvivenza, strappano e accumulano le risorse altrui, per poi imporre il proprio potere. La bandiera — contesa e non gratuitamente violentata — nel video esprime un doppio significato, perché nella storia dell’uomo ha sempre definito un territorio entro cui avviene questa lotta fratricida e simboleggia l’imposizione del proprio potere sugli altri. Qualsiasi bandiera riassume nei suoi colori queste caratteristiche.