“Bellezza pericolosa”, così è stata definita la poetica di Francesco Simeti1. Il primo impatto con i suoi pattern ornamentali provoca un piacere estetico e una sensazione rassicurante; a uno sguardo più attento però, non sfuggono le immagini dalle catastrofi di cui sono intrisi.
Le carte da parati, che caratterizzano la prima fase della carriera artistica di Simeti, si ricollegano direttamente alle ideologie di grandi teorici degli anni Venti e Trenta, come Walter Benjamin e Siegfried Kracauer. Con La massa come ornamento, pubblicato in tedesco quando l’autore viveva ancora in Germania e analisi profetica del mondo borghese osservato in “superficie” (in riferimento alla Lebensphilosophie di Georg Simmel), Kracauer prendeva in esame i divertissment dell’epoca, i club, i cabaret e il cinema, ponendoli in stretta relazione con gli interni dei salotti privati. Solo qualche anno più tardi, le stesse osservazioni sulla borghesia che si ritrovano sia in Benjamin che in Kracauer permettevano ad Hannah Arendt di coniare — subito dopo il processo Eichmann — l’espressione “la banalità del male” (dal saggio omonimo Eichmann in Jerusalem – A Report on the Banality of Evil). Nonostante si tratti di un’espressione legata alle precise circostanze storiche e sociali del regime totalitario, quello che collega le esplorazioni di Simeti all’approccio di Arendt, che non troppo recentemente negli Stati Uniti come in Europa ha riguadagnato tanta attualità, è il gesto dimostrativo: per entrambi il male non è una questione oscura né possiede un sostrato; è semplicemente davanti a noi.
Simeti non mostra il lato oscuro del quotidiano, né ne lamenta il lato effimero: rivela piuttosto l’aspetto dell’orrore, indagando la totale rimozione di emozioni da parte della società moderna, che si protegge dalla marea di immagini continuamente profuse dai mass media. Le fonti che l’artista utilizza (giornali, riviste, immagini dai libri di scienza e di medicina) le abbiamo tutti i giorni davanti agli occhi.
La composizione elegante e i motivi raffinati dei wallpaper — carte da parati prodotte da una ditta di Berlino su indicazioni dell’artista — nascondono un inganno suggerito dai singoli elementi. Gli stormi di uccelli si trasformano in elicotteri (Hawks and Caves, 2004) e il tripudio di colori di un gruppo di pianeti luminosi è generato in realtà da esplosioni di armi e meteoriti (Astro, 2006); lo sbuffo di una nuvola cela il fumo di un incendio (Watching the War, 2002), mentre l’allegro fregio con escursionisti nasconde una fila di profughi.
La distinzione tra naturale e artificiale è un argomento centrale nell’opera dell’artista. È infatti proprio il fascino per il naturale a spingere Simeti alla ricerca di attrezzi per la campagna: l’equipaggiamento dei cacciatori diventa una miniera di riferimenti e citazioni in opere come Decoy (2006) o Plastic Eden (2008). L’astrazione dell’idea di “campestre” o “bucolico” è evidente nei sacchi di concimi e pesticidi che ammiccano al design degli “sciccosi” puff (Bean Bag, 2006), che sembrano usciti direttamente dal negozio di Jonathan Adler a Soho.
Le catastrofi naturali costruiscono il motivo principale delle opere più recenti dell’artista, come nel caso delle xilografie, realizzate utilizzando pezzi di legno trovati per le strade di Brooklyn e segnate dal tempo e dalle intemperie. Qui Simeti sfrutta la struttura di questi oggetti di scarto malandati per fare emergere i paesaggi delle zone devastate dagli uragani. In Ivan (2008), l’immagine di una casa dalle porte sgangherate, con le pareti e il soffitto distrutti, apre lo sfondo a un cielo terso. Simeti ricrea ancora una volta un ambiente domestico, adottando la tecnica dei teatrini di stucco e ottone tipica di Giacomo Serpotta, prendendo in prestito una scena che appartiene al triste scenario prodotto dall’omonimo uragano che nel 2004 devastò i Caraibi.
Proprio la casa è al centro di un interesse rinnovato per l’architettura. In occasione di “Acrobazie 2008” — il progetto curato da Elisa Fulco e Teresa Maranzano per l’Atelier Adriano e Michele dell’ospedale psichiatrico Fatebenefratelli a San Colombano al Lambro (MI) — Simeti ha costruito una casa utopica insieme al gruppo di “pittori” dell’istituto. Gli uccelli meccanici di Plastic Eden sono stati la fonte d’ispirazione e il modello per il gruppo di nuovi collaboratori, e dalla collaborazione fra Simeti e gli artisti del Centro è nata anche una speciale carta da parati che riveste una serie di paraventi. Al sistema di pareti mobili si aggiungono delle costruzioni modulari posizionate su erba sintetica in modo da permettere di costruire una casa, una torre o un rifugio se appoggiate contro un sostegno (125 House e 127 Lean to Shelter). Una casa utopica che, pur mostrando apertamente la sua vulnerabilità e precarietà, riesce davvero a rappresentare qualcosa di duraturo.