Nel giugno del 1986 Franco Angeli pubblica Porta Rossa, un libro tuttora poco conosciuto che testimonia la consuetudine dell’artista con molti dei più significativi poeti italiani della seconda metà del Novecento. Il volume è l’ultimo importante episodio che documenta il rapporto tra Angeli e i poeti della neoavanguardia italiana, avviato tra la fine degli anni Cinquanta e i primi Sessanta. Un legame presto individuato dalla critica più accorta, in particolare da Maurizio Fagiolo Dell’Arco, ma successivamente trascurato dagli studi storico-critici sull’artista, pur avendo un peso cruciale sin dagli inizi della sua attività e ricadute non secondarie sulla sua pittura. Il milieu letterario frequentato da Angeli ha infatti giocato un ruolo decisivo non soltanto nella diffusione e nella recezione dei suoi primi lavori, ma anche nell’uso della parola che l’artista fa nei suoi dipinti tra il 1963 e il 1965. L’intensificarsi nei primi anni Sessanta dei rapporti tra Angeli e alcuni degli esponenti dell’ala più sperimentale della poesia italiana, come Elio Pagliarani, Nanni Balestrini e i critici-poeti Cesare Vivaldi e Mario Diacono, coincide infatti con la presenza sempre più frequente nelle sue opere di iscrizioni ed epigrafi. In questa fase l’uso della scrittura da parte di Angeli non è più circoscritto a pochi casi isolati com’era stato fino al 1959-1961, quando le parole irrompevano nel campo pittorico quasi esclusivamente sottoforma di ritaglio di giornale, come ad esempio nell’opera O.A.S. (Tutti cattivi i tedeschi) (1961). Intorno al 1963-1964 il ruolo della parola nei dipinti di Angeli acquista un peso maggiore, si fa pittoricamente più complesso, diventa un elemento essenziale nella composizione di molte opere; e il cambiamento può essere ricondotto anche alla vicinanza dell’artista con i poeti appena menzionati.
La genesi di Porta Rossa, pubblicato dalla casa editrice Pirgus, risale al 1979, anno in cui Angeli visita la grande mostra “Pittura Metafisica” curata da Giuliano Briganti e Ester Coen a Palazzo Grassi a Venezia. Dalla visita all’esposizione veneziana nasce una serie di disegni e acquerelli ispirati alle opere della Metafisica. Lasciata Venezia, Angeli si sposta a Firenze, dove alloggia nella Grande Suite n. 64 al terzo piano dell’albergo Porta Rossa. Qui ha l’idea di mostrare il suo taccuino di disegni ai fratelli Piero, Dino e Valerio Carini, nella cui stamperia di S. Giovanni Valdarno l’anno precedente aveva lavorato ad alcune litografie. Nel 1980 Angeli chiede a un nutrito gruppo di amici scrittori di inviargli poesie da pubblicare nel volume, che vedrà la luce soltanto sei anni dopo, in un’edizione lussuosa, edita in 322 copie, con 63 piccole litografie. Tra i poeti che partecipano al progetto vi sono nomi illustri: oltre a quelli già ricordati di Pagliarani, Diacono, Balestrini, Vivaldi, troviamo Valentino Zeichen, Francesco Serrao, Enzo Siciliano, Valerio Magrelli, Alfredo Giuliani, Germano Lombardi e Tano Festa, presente qui nella veste di poeta.
Benché non ci siano cesure esplicite, il libro è composto da due sezioni: nella prima i testi poetici affiancano le litografie in cui Angeli, come già detto, rilegge i capolavori metafisici o particolari di essi. Il registro cambia a pagina 82, dove ha inizio una serie diversa di litografie in cui l’artista ricorre ai simboli tipici del suo repertorio epico-araldico – aquile, svastiche, falci e martello, croci, stelle – giustapposti però a cuori e pois, e dipinti con colori squillanti e festosi, che ricordano certi acquerelli del Kandinskij anni Venti, lontani, quindi, dall’atmosfera brechtiana presente nelle opere dei primi anni Sessanta.
Sulle immagini di Porta Rossa scorre, secondo direttrici molteplici, un testo scritto a stampatello dall’autore. Si tratta di un racconto che, stando alle note dell’artista, trae spunto da un articolo apparso sul Corriere della Sera dedicato alla biografia di Napoleone e alle sue relazioni erotico-sentimentali, in particolare con la moglie Giuseppina. La scrittura di Angeli segue i profili delle immagini, le frasi si spezzano per assecondare l’andamento del disegno, svincolando la lettura dall’ordine lineare canonico, secondo soluzioni che hanno una tradizione radicata nell’arte e nella letteratura occidentali, dal Simbolismo, al Futurismo, al Dada.
Dal dipinto intitolato Napoleone esposto nel giugno del 1963 alla Galleria La Tartaruga a Roma all’imperatore protagonista di Porta Rossa trascorrono più di vent’anni. Eppure molti fili tengono insieme questi due episodi cronologicamente così distanti, che segnano le fasi in cui i legami tra Angeli e i poeti della neoavanguardia sono più intensi. Comune a entrambi i momenti è anzitutto l’interesse per la Metafisica, che già dai primi anni Sessanta aveva spinto critici come Vivaldi a parlare di Neo-metafisica proprio in riferimento alle opere di Angeli e della nuova generazione di artisti affacciatisi sulla scena romana intorno al 1960. Inoltre nel libro, come si è visto, ritroviamo molti dei poeti e dei critici-poeti più vicini all’artista sin dagli esordi. A eccezione di Emilio Villa, in Porta Rossa sono presenti tutti i poeti – Vivaldi, Diacono, Pagliarani e Balestrini – che con i loro scritti hanno accompagnato Angeli nelle sue mostre iniziali o nella realizzazione di libri d’artista.
Nel gennaio del 1960 Cesare Vivaldi, già sodale degli artisti romani appartenenti alla generazione precedente a quella di Angeli, lo presenta nella prima personale alla Galleria La Salita di Gian Tomaso Liverani a Roma. Qui Angeli espone opere realizzate tra il 1959 e il 1960, in cui l’eco della pittura di Alberto Burri è ancora forte, malgrado Vivaldi individui già una rottura dello schema informale burriano. A questa fase risale anche la conoscenza tra Angeli e Diacono. Nel settembre del 1963 i due realizzano a Roma un libro d’artista a quattro mani, Poema 63, in cinque copie numerate e firmate, alla cui rilegatura provvede lo stesso Diacono. Il libro presenta sei disegni originali e un testo poetico scritto a mano, in vari colori, definito da Diacono Iperiscrizione, caratterizzato da uno spiccato sperimentalismo e dalla mescolanza di lingue diverse – inglese, italiano, tedesco, francese, latino – il cui esito ricorda da vicino la poesia di Villa, con il quale in questi anni Diacono condivide l’esperienza, prima, della rivista napoletana Quaderno, poi, della romana Ex. Il testo di Diacono è criptico e si presta più alla recitazione che alla semplice lettura, perché parole e frasi – graficamente frante e spezzate nei loro nessi sintattici – si ricompongono per via fonetica. Sulla pagina bianca Angeli fa affiorare, isolati o reinquadrati entro griglie, i simboli delle ideologie mortifere dei totalitarismi e del colonialismo novecenteschi: i titoli cimitero tedesco, cimitero di guerra, cimitero algerino, cimitero partigiano, stanno lì a ricordarne gli esiti.
Pochi mesi dopo la pubblicazione di Poema 63 (gennaio,1964), Angeli è nuovamente impegnato nella realizzazione di un altro libro d’artista, questa volta insieme a Elio Pagliarani1, esponente di punta dei Novissimi, tra i fondatori del Gruppo 63, già in contatto con la cerchia di Azimuth, in quegli anni vicinissimo ad artisti come Perilli e Novelli. Il libro, realizzato in tre copie da Angeli e Pagliarani, è ancora oggi irreperibile. Di quell’esperienza resta però traccia in un cartoncino d’invito stampato dallo Studio d’arte Arco d’Alibert, spazio inaugurato soltanto due mesi prima a Roma da Mara Coccia, dove Angeli e Pagliarani presentarono il volume. Il poeta recitò alcuni brani tratti dal poemetto La Ragazza Carla e da Lezioni di fisica. Non sappiamo invece quali opere l’artista abbia realizzato per le tre copie del libro, ma la collaborazione con lo scrittore ha ricadute che, a mio avviso, pare vadano oltre la specifica occasione. Un’eco degli scritti di Pagliarani – soprattutto per l’uso dei linguaggi asettici del diritto e dei contratti legali e per il ricorso a tecniche di montaggio, che caratterizzano in special modo Lezioni di fisica – è ravvisabile nella piccola e preziosa pubblicazione di Angeli intitolata Frammenti capitolini – più simile a un libro d’artista che non a un catalogo – edita nel novembre del 1964 in occasione dell’omonima mostra personale tenuta dall’artista, sempre allo Studio d’arte Arco d’Alibert. Nel volume si alternano particolari di effigi e stemmi legati alla storia della Roma imperiale e pontificia (artigli e rostri d’aquila, lupe capitoline, epigrafi) a sigle e articoli tratti dal codice penale, relativi ai reati di vilipendio contro la bandiera e gli altri emblemi dello Stato, ai luoghi di culto, ai monumenti e al patrimonio archeologico. Agli articoli di legge l’artista giustappone un suo scritto – un brano vicino alla poesia dei Novissimi – in cui i sostantivi si susseguono paratatticamente e la punteggiatura è ridotta quasi a zero:
Roma, capitale d’Italia: città ministeriale, barocca clericale, capitale politica cattolica cinematografica governativa: attori registi duchi conti assessori marchesi sottosegretari attrici produttori quotidiani fascisti ambasciatori arrivisti vescovi cardinali seminaristi preti monache sacramenti, meta turistica: monumenti lapidi piazze chiese san giovanni san sebastiano santa caterina san giuseppe santa maria del popolo santissimi apostoli…
Un ritratto di Roma, quello fatto da Angeli che, come nel caso della Milano narrata da Pagliarani, è impietoso, topograficamente preciso e implacabile. Sempre più spesso, in questa fase, Angeli introduce lettere e parole nei suoi dipinti, come nel caso di Natale di Roma, Stemma pontificio, Artiglio, tutti realizzati tra il 1964 e il 1965. Se la fattura anonima, ottenuta con stencil e mascherine, ricorda gli alfabeti di Manzoni, le lettere di Schifano o Jasper Johns, la funzione di queste scritte latine è più narrativa e, stricto sensu, retorica. Di scrivere “la vita parallela Angeli/Pagliarani”2si proponeva nel 1965 Maurizio Fagiolo Dell’Arco, in occasione della mostra di Angeli alla Galleria Zero di Verona. Il critico aveva già rilevato strette affinità tra la pittura di Angeli e Schifano e la poesia della neoavanguardia italiana in un lungo articolo apparso sulle pagine di Marcatré, con il titolo “Per una figurazione ‘Novissima’”3, in aperta polemica con la Nuova Figurazione. Fagiolo riconosce nelle opere di Angeli e Schifano i tratti individuati da Alfredo Giuliani per definire il carattere della poesia moderna nella raccolta I Novissimi. Poesie per gli anni 60, edita nel 1961. La discontinuità del processo immaginativo, l’asintattismo, la violenza operata sui segni, la giustapposizione e la compresenza di vari ordini del discorso, la scomposizione e la ricomposizione della struttura sintattica, la semanticità della frase sospesa o interrotta dal premere di altre frasi, l’asprezza e l’atonalismo del metro sono, secondo Fagiolo, qualità che appartengono non soltanto alle opere dei poeti Novissimi, ma anche a quelle pittoriche di Angeli e Schifano. Nelle opere realizzate su carta o su tela da Angeli intorno al 1964 l’immagine non si dà nella sua interezza, ma come frammento che, isolato o reiterato, spesso non riempie il campo bianco della superficie pittorica, lasciando vuote ampie porzioni di spazi. I frammenti sono giustapposti senza una coerenza di ordine pittorico o prospettico: l’artiglio, ad esempio, entra minacciosamente nell’iscrizione lapidea sovrapponendosi a essa con l’effetto del collage. Il velo semitrasparente con cui l’artista ricopre la tela crea una pausa nella lettura dell’opera: uno schermo, quello di Angeli, che ha soltanto in parte le valenze ottico-percettive degli schermi-luce di Lo Savio, ma che serve anzitutto a definire una distanza temporale, a mediare e attutire la violenza delle immagini attraverso un filtro in grado di evocare la qualità della patina antica. Inoltre, nelle opere di questi anni stemmi appartenenti ad ambiti diversi vengono smontati e riassemblati per creare un nuovo repertorio araldico e una simbologia che non ha coerenza storica, ma immaginaria. Spesso decentrata, la figura è accostata a epigrafi sulla cui superficie compaiono fratture che spezzano bruscamente parole e frasi. Alle pennellate più rapide e compendiarie, in alcuni casi violente, delle figure fa da contrappunto l’esecuzione accurata, quasi standardizzata, delle lettere che coprono larghe porzioni dello spazio del quadro sollecitando una visione che implica i tempi dilatati della lettura – resa più complessa dalla decifrazione delle iscrizioni in latino e dalla compresenza straniante di linguaggi diversi.
Gli scambi di Angeli con i poeti del Gruppo 63 e con la neoavanguardia letteraria italiana, qui sinteticamente delineati, proseguirono lungo tutto il decennio e oltre, come dimostra in modo eloquente la pronta risposta dei molti poeti che l’artista nel 1986, due anni prima di morire, riuscì a coinvolgere nel libro Porta Rossa.