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7 Febbraio 2017, 11:44 am CET

Franz West. Auto-Theater di Fuani Marino

di Fuani Marino 7 Febbraio 2017
Franz West "Dortmund und Gmünd (Die Visualisierte Rhythmik)" (1993). Courtesy Collezione Grässlin, St. Georgen (Germania). Fotografia di Amedeo Benestante.
Franz West "Dortmund und Gmünd (Die Visualisierte Rhythmik)" (1993). Courtesy Collezione Grässlin, St. Georgen (Germania). Fotografia di Amedeo Benestante.
Franz West “Dortmund und Gmünd (Die Visualisierte Rhythmik)” (1993). Courtesy Collezione Grässlin, St. Georgen (Germania). Fotografia di Amedeo Benestante.

Il Museo Madre di Napoli ha da poco celebrato la ricerca artistica di Franz West con la mostra “Auto-Theater”, crocevia di un’idea curatoriale disseminata fra Colonia, Graz e Napoli, che vede schierati rispettivamente Katia Baudin e Kasper König, Peter Pakesch e Mario Codognato. Nella retrospettiva, un filo ininterrotto collega le opere dell’artista austriaco, dagli “Adaptives” degli esordi, realizzati fra il 1974 e il 1980 e pensati a uso e consumo del pubblico, alle sculture in cartapesta, dai paraventi alle ultime produzioni per gli spazi pubblici, come Auditorium esposta a documenta nel 1992 e la “casa dei lemuri” per la Max-Reinhardt-Platz di Salisburgo nel 2002. Siamo di fronte a un’arte che non si presta alla pura contemplazione e che “colma la lacuna tra funzionale e non funzionale” chiamando il corpo dello spettatore a sperimentare e a intervenire attivamente.
Gli “Adaptives” dei primi anni Settanta non sono altro che oggetti adattabili al corpo umano che, aperti a un’ulteriore dimensione derivante dalle capacità creative di chi li usa e dall’interazione stessa, spingono a compiere movimenti insoliti. West comprende presto, però, che essere guardati durante quest’interazione infastidisce e blocca il visitatore, e per questo progetta le cabine, ambienti appositi in cui immergersi riparati da sguardi indiscreti per manipolare i “Passstücke” / “Adaptives”. Di fronte a visitatori restii a interagire con le sue opere, nonostante testi e fotografie esemplificative di invito, West comincia così a fare mobili, con rimandi al design tipico degli anni Ottanta. “Una sedia è un oggetto quotidiano, come un tappo per una bottiglia, una gruccia per un vestito, lo stesso è uno dei miei Adaptive per i destinatari dell’arte”, dice. Se una vena d’ironia serpeggia nei titoli, davanti a ogni opera si aprono serie intercambiabili di proprietà e di performance. Il visitatore, così, è invitato a raccogliere le infinite possibilità di interpretazione proiettando a sua volta sugli oggetti il suo teatro interiore, immaginando quello che c’è dentro e dietro. Le opere di West — i mobili (Kasten, 2008-2009), le sale disposte a tornello (Wegener Räume 2/6 – 5/6, 1988), le cabine interattive munite di istruzioni per l’uso (Spiegel in Kabine mit Passstücken realizzata con Michelangelo Pistoletto), le lampade (Drei Lampen, 2009) e le sedute strategiche (Plural, 1995) ­— sono nel complesso sculture immersive, ambienti scenici da vivere e talvolta da indossare (Tournure, 2001). Allestimenti interattivi indirizzati al coinvolgimento del fruitore che, contagiato dalla formula della creazione di West, procede a tentoni fra le approssimazioni e i rovesciamenti tipici dei sogni. Non distante dall’attività onirica è anche la vasta produzione grafica dell’artista, che con i suoi collage sviluppa “immagini miste” grazie alla tecnica del contrasto e della condensazione. Mentre nelle piccole teche in scala, le miniature di sculture e soggetti — figure plurali, ibride nella loro incerta morfologia — sono a cavallo fra opacità e trasparenza, visibile e invisibile, razionale e irrazionale.

Museo MADRE, Napoli.

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