Larry Miller: Da dove cominciamo?
George Maciunas: Da un interesse parallelo per quello che io chiamerei Happening o Azioni alle quali hanno contribuito due persone: John Cage, ancora, nel 1952 con il suo primo happening, e Georges Mathieu che nello stesso anno esegui il primo happening dal titolo Battle of Boudine. E la cosa interessante è che Mathieu andò in Giappone, fece quest’azione e diede vita al Gruppo Gutai. Il suo contributo fu assolutamente decisivo per la fondazione di questo gruppo.
LM: Non conosco così bene i suoi lavori. Mi sembra che descrivano qualcosa che…
GM: Fece un’azione di pittura, quasi un happening.
LM: Non come Pollock.
GM: No, no, fu una pièce teatrale, più affine aYves Klein.
LM: Tipo i nudi blu di Klein? Ma il gruppo Gutai non era quello che sparava pallottole ai quadri…
GM: Sì.
LM: E li facevano esplodere…
GM: In ogni caso, questo è qualcosa che Mathieu farebbe. Per questo il gruppo Gutai è molto vicino a Georges Mathieu, nel senso che entrambi facevano pittura come azione, molto più di quanto non abbia fatto Pollock e, allo stesso tempo, in maniera affatto diversa da Yves Klein. ll diagramma, tuttavia, non indica il contributo dato da Klein e questo è esattamente il punto in cui andrebbe inserito, il punto in cui risulta essere incompleto. Si sarebbe dovuto dare maggior risalto aYves Klein negli anni Sessanta, cosa che non è stata fatta. L’altra figura importante è, a partire dal 1932, Joseph Cornell, influenzato in un certo qual modo dai surrealisti. Il diagramma mostra come egli a sua volta influenzi enormemente sia Bob Watts sia, in modo particolare, George Brecht. Ora, a queste influenze fondamentali dell’Action Painting di Mathieu e dei primi happening di John Cage, e in linea generale di tutto Cage e di quanto fece negli anni Cinquanta, va aggiunta quella di Joseph Cornell e anche quel piccolo influsso avuto da Ann Halprin che vediamo qui e che si chiama Attività Naturali e Compiti…
LM: E sarebbe?
GM: In California. Influenzò un sacco di personaggi come James Waring, Bob Morris, Simone Forti, La MonteYoung eWalter De Maria.
LM: Sarebbe puramente danza?
GM: No, no, è semplicemente quello che è indicato: azioni naturali e compiti. Erano come atti molto naturali, tipo il camminare.
LM: Ho capito, atti fisici che non rientrano in ciò che comunemente si intende per danza, semplici attività fisiche.
GM: Esatto, come camminare in cerchio.
LM: Come un gesto ready-made.
GM: Esatto. In questo modo in tutte le composizioni brevi del 1960 di La Monte Young possiamo rintracciare l’influenza delle attività naturali di Ann Halprin. Diciamo che il suo pubblico è seduto sul palco senza che stia facendo nulla. Questa è un’attività naturale, non è danza. Ed eccoci arrivati a metà del diagramma. No, non a metà, al primo quarto. E proprio il 1959 fu un anno denso di avvenimenti: John Cage aprì una scuola alla quale si iscrissero molti studenti, e in Francia furono molto attivi i cosiddetti nouveau realists, come lo fu, nello stesso periodo, anche Ben Vautier; ed è così che il 1959 è stato un anno davvero intenso: abbiamo Nam June Paik che suona il suo primo pezzo, Vostell che crea la sua prima opera, Allan Kaprow che organizza i sui primi happening, abbiamo Dick eYves Klein il quale era già attivo prima di allora ma, diciamo, raggiunse l’apice in quell’anno; Ben Vautier che esegue i suoi primi pezzi firmando… praticamente tutto: continenti, pace, carestia, guerra, rumore, fine del mondo e in modo particolare sculture umane; e questo è importante da sapere perché successivamente Manzoni farà lo stesso. Gesti… Furono suoi i primi gesti che apparvero quindi nel 1959 e non nel 1968 con Acconci e personaggi simili. Ed ecco i primi francobolli di Bob Watts, un sacco di card music scritte su biglietti simili a quelli di George Brecht e la prima Arte Concettuale di Henry Flynt. Nel 1960 e nel 1961, sul finire del 1961, c’è Fluxus, anche se in effetti ufficialmente si dovrebbe parlare di inizio nel 1962, perché nel 1961 io avevo già una galleria che produceva, più o meno, tutto quello che Fluxus farà successivamente, senza però utilizzarne il nome.
LM: Vuoi dire la AG Gallery?
GM: Esatto. E La Monte Young fece una serie di cose molto simili, lo stesso genere di eventi, presso lo studio di Yoko Ono a Chambers Street, che è proprio quello che il diagramma indica, ti dà l’intero programma di ciò che è stato messo in scena allora.
LM: Di che cosa ti interessavi prima di aprire la AG Gallery?
GM: La ragione per cui entrai in contatto con quelle persone è che stavo partecipando ai corsi di Richard Maxfield. Vedi, dopo John Cage, e John Cage tenne un anno di lezione alla New School. Il secondo anno Richard Maxfield ne tenne uno di musica elettronica ed è qui che ho incontrato La Monte Young: sai, anche lui si era iscritto allo stesso corso. Così mi interessai a quello che stava facendo, e lui mi presentò ad altre persone e questo è il modo in cui riuscimmo a mettere insieme l’intero programma della AG Gallery. Contemporaneamente La Monte Young organizzò il programma per la galleria di Yoko, cioè per il suo loft. E così la AG e il loft di Yoko appartengono più o meno allo stesso periodo, e la differenza tra i due fu proprio minima: entrambi infatti proposero lavori di Jackson MacLow, Bob Morris e La Monte Young anche se non erano proprio le stesse composizioni. Alla AG presentammo due delle composizioni di La Monte Young: la n. 3 e la n. 7, mentre al loft di Yoko vennero rappresentate tutte le composizioni del 1961 tipo dipingi una linea retta. Henry Flynt invece diede un concerto al loft di Yoko e alla AG Gallery tenne una conferenza. Come vedi ci furono alcune piccole differenze.
LM: Ok. Posso ricapitolare un momento? Sei mai stato a qualcuna delle lezioni di John Cage alla New School?
GM: No.
LM: Ma a quelle di Richard Maxfield sì. Ed è qui dove hai davvero intrecciato tutti i tuoi contatti.
GM: Giusto. Il mio primo interesse fu per la musica elettronica.
LM: Quindi allora componevi?
GM: Sì, stavo scrivendo alcune composizioni.
LM: Che esistono ancora?
GM: No, non esistono più.
LM: Perché?
GM: Non so dove siano finite.
LM: Oh.
GM: Quindi nel 1962 andai in Europa con l’intento di continuare… Oh, prima di partire per l’Europa pubblicammo, o almeno riuscimmo a dargli una forma, l’Anthology di La Monte Young, la conosci no? Il libro rosso.
LM: Fu questa la vostra prima pubblicazione, la prima pubblicazione Fluxus voglio dire?
GM: Ci vollero alcuni anni perché prendesse corpo. Nel frattempo macinavamo idee, facemmo alcuni concerti, cosa estremamente più facile che pubblicare, che ci avrebbero fatto pubblicità per le nostre future pubblicazioni, in questo modo avremmo forse potuto trovare qualcuno che volesse acquistare le nostre pubblicazioni perché all’inizio non riuscivamo nemmeno a vendere Anthology che giaceva nei magazzini. Così nacque l’idea di fare concerti come escamotage promozionale allo scopo di vendere qualsiasi cosa avessimo intenzione di pubblicare o produrre. Ecco come è nata la serie di concerti a Wiesbaden ed è qui che per la prima volta è stato utilizzato il nome Fluxus Festival ed era l’autunno del 1962.
LM: Da allora si è iniziato a chiamarlo Fluxus?
GM: Sì. È stato chiamato Fluxus Festival.
LM: Vorrei chiederti di Fluxus, voglio dire, da dove viene questo nome?
GM: Risale ai tempi in cui, ancora a NewYork, stavamo pensando a che nome dare alla nuova pubblicazione.
LM: Quando parli al plurale intendi tu e La Monte?
GM: No, a La Monte sembrava non interessare la cosa, e perciò eravamo io e il mio socio della galleria il quale aveva intenzione di chiamarla o così o in modo simile. Ma poi la galleria è fallita e questo è tutto: lui si è ritirato e cosi è rimasto fuori dalla foto ricordo.
LM: Ma inizialmente il nome era stato pensato perché si riferiva a…
GM: Solo alla pubblicazione.
LM: Una pubblicazione dal titolo…
GM: Fluxus, semplicemente. E doveva essere simile a un libro con il suo bel titolo, e questo è tutto.
LM: All’inizio non lo concepisti nel modo in cui Fluxus è di ventata famoso oggi, una specie di…
GM: Movimento?
LM: Una rappresentazione, no?
GM: No. Era solamente il nome di un libro, la seconda antologia… Ora, dopo aver iniziato con i concerti, abbiamo avuto un po’ di visibilità, di esibizioni anche, e questo è il modo in cui iniziammo a produrre oggetti che dovevano essere come delle ripetizioni prodotte in serie. Questo prima ancora dell’uscita del primo Fluxus Yearbook: fu un paio di anni prima della sua pubblicazione.
LM: Il primo oggetto fu quindi…
GM: Il WaterYam.
LM: Come ti sostenevi in questo periodo?
GM: Con un lavoro: tutte le produzioni venivano direttamente dalle mie tasche. ll 90% del mio stipendio serviva a sostenere le produzioni di Fluxus.
LM: E che lavoro facevi allora?
GM: Ero un graphic design, ho lavorato fino al 1968 per un piccolo studio. Guadagnavo circa diecimila dollari e ne spendevo novemila per Fluxus.
LM: Hai una minima idea di quanto hai speso in totale?
GM: Sì, ce l’ho un’idea. Per Fluxus intendi?
LM: Sì.
GM: Probabilmente sui cinquantamila.
LM: Hai avuto un qualche ritorno?
GM: No, non ho mai avuto nessun riscontro. Guarda Dick Higgins e a quanto ha perso con la sua Something Else Press, circa mezzo milione. Aprimmo un negozio a Canal Street, mi sembra fosse il 1964, e rimase aperto per quasi un anno credo, e nonostante ciò non riuscimmo a vendere un solo pezzo in tutto quel tempo.
LM: La cosa principale di cui volevo tu parlassi riguardava il diagramma… il business del Concretismo. Cosa intendi per Concretismo e quale è la sua storia? La seconda cosa invece è che parte ha avuto l’umorismo in tutto questo e la sua storia perché mi sembra che la tua estetica sia strettamente legata a entrambi i fattori.
GM: È vero. Il concretismo è un termine estremamente semplice e sta ad indicare il contrario di astrazione. Questo è quanto dice il dizionario: contrario di astrazione.
LM: Tuttavia questo non vuol dire che una pittura realistica sia concreta?
GM: No, certo. Ma il dipinto realistico non è realistico, è illusorio giusto?
LM: Quali furono le cose che maggiormente ti hanno influenzato?
GM: Il ready-made è forse la cosa più concreta. Non ci può essere niente di più concreto del ready-made.
LM: Perché è quello che rappresenta.
GM: Esatto, e il tutto è estremamente concreto. Non c’è alcuna illusione né astrazione. Il ready-made è la cosa più concreta. Duchamp pensava principalmente in termini di oggetti ready-made, John Cage lo applicò al suono mentre Gcorge Brecht, insieme a Ben Vautier, lo estese ulteriormente alle azioni, quelle quotidiane, tipo l’esibizione di George Brecht in cui accendeva e spegneva di continuo una lampadina. Ci siamo? Questa è la pièce: accendere una luce e poi spegnerla. È una cosa che fai tutti i giorni giusto?
LM: E Ben Vautier? Quali furono le cose che fece e che seguirono la stessa direttrice?
GM: Ben di qualunque cosa avrebbe l’atto un ready-made, e come disse lui stesso, avrebbe firmato una guerra come se fosse una sua creazione; questo è un ready-made. Tutta la Seconda Guerra Mondiale in realtà è un pezzo di Ben Vautier.
LM: (ride) Non posso concentrarmi quando rido.
GM: Ok.
LM: Così l’idea di firmare… Ma non aveva firmato il mondo?
GM: Il mondo, Dio, la fine del mondo, qualsiasi cosa. Portò il ready-made all’assurdità, a un fine assurdo. Non lasciò niente di intatto, firmò tutto. Quindi tutto è di Ben Vautier. Qui si sta già facendo strada l’umorismo no? E per quanto riguarda l’umorismo, ce n’è molto anche nel teatro dei futuristi, oppure anche nella commedia classica come quella di Charlie Chaplin e Buster Keaton. C’è molto umorismo nell’umorismo musicale di Spike Jones. Questi possono non aver avuto un’influenza diretta, ma c’erano ed è rimasta ancora oggi la tradizione di fare concerti e musica divertenti. Bob Watts era una specie di appassionato dell’umorismo proprio come, di nuovo, Ben Vautier. Ma direi di essere io quello maggiormente interessato all’umorismo, voglio dire che quello è il mio interesse principale. Anche Bob era molto attratto dalla cosa, mentre per quanto riguarda George Brecht non saprei dire, ma forse anche lui lo era. ln generale la maggior parte delle persone che ruotava intorno a Fluxus tendeva ad avere un certo interesse per l’umorismo.
LM: Ma gli stessi principi si possono estendere anche alle performance Fluxus?
GM: Certo, anche se non completamente. Vedi, la ragione per cui sono così interessato a questo è perché ho avuto una formazione da architetto. Voglio dire che questo è il modo in cui un architetto pensa: in termini di funzionalismo; in caso contrario non sarebbe un architetto ma uno scultore o uno scenografo. Se uno è un architetto o un ingegnere, penserà in termini di funzionalità. Anche un matematico pensa allo stesso modo, non a caso il termine funzione fa parte della matematica. Ora nelle performance, ma non sempre è così naturalmente, se si possiede un clavicembalo e si vuole fare un pezzo, la logica vuole che si usi quello strumento. Non si è necessariamente obbligati ad adoperare la tastiera e a suonare un brano di Couperin o di altri, ma si potrebbero utilizzare alcune sue caratteristiche: la forma, la leggerezza, il modo in cui le corde rispondono agli oggetti che gli vengono scagliati contro o altro ancora. Questo sarebbe un modo funzionale di utilizzare il clavicembalo. Un modo disfunzionale potrebbe essere quello in cui, in piedi di fianco allo strumento, si suoni un violino. Noi abbiamo eseguito un pezzo simile a questo, dove un interprete suonava l’armonica stando dentro un clavicembalo; ma quello fu eseguito come una specie di scherzo, in altre parole si era portati a pensare che una volta aperto il clavicembalo…
LM: A questo punto vorrei farti delle domande un po’ più generali; mi piacerebbe sapere se non hai mai tracciato un parallelismo tra Fluxus e Dada, in quanto Fluxus è un nome che voleva definire, in mancanza di termini migliori, un certo tipo di estetica o di approccio all’espressione, ed è solo in seguito che comparve il nome; ma questa idea della parola che per rappresentare un certo tipo di sensibilità, non è una cosa che appartiene al movimento Dada?
GM: Sì, beh… no, non c’è niente di sbagliato.
LM: Non consideri Fluxus arte?
GM: Io no. Credo siano buone, ingegnose gag. È quello che facemmo, e non c’è nessuna ragione per cui una gag, se qualcuno la vuole chiamare arte, non lo possa fare, va benissimo. Sai, io credo che quelle di Buster Keaton siano una forma elevata di arte, gag visive. Noi non facevamo solo gag visive, ma anche sonore e di altro tipo. Una barzelletta non può essere multiforme; in altre parole non è possibile che vi siano sei attori che, tutti nello stesso momento, raccontino barzellette. Semplicemente non funzionerebbe; è necessario che le storielle vengano raccontate una alla volta.
LM: Perché le barzellette fanno riferimento alle nostre aspettative lineari.
GM: Esatto. Tutta la struttura è lineare e non è nemmeno possibile raccontare due barzellette contemporaneamente, non sarebbe possibile capirle. L’intera struttura di una barzelletta è lineare e monomorfica e credo sia questa la ragione per cui i nostri pezzi concettuali tendono ad avere questa struttura: proprio come una gag. Non puoi nemmeno tre gag contemporaneamente poiché due di esse andranno perse. Prendi Buster Keaton per esempio, non farebbe mai due gag contemporaneamente, ma esse si susseguono l’una all’altra in veloce sequenza senza mai sovrapporsi. Nel caso succedesse, avremmo solo delle brutte gag. Per questo credo che i fratelli Marx non siano molto bravi nelle scenette: le sovraccaricano, inseriscono molte battute tutte insieme e quindi la maggior parte non vengono colte, a meno di vedere i loro film cinque o sei volte per riuscire a comprenderle tutte.
LM: Una domanda allora: tu quindi consideri Fluxus non un gruppo vero ma più come una sensibilità di un certo tipo, e certamente non arte elevata ma una gag.
GM: Sì, arte inferiore.
LM: Bene, a questo punto ti chiedo quale è per te il punto più alto raggiunto dalle arti e cosa tu consideri arte elevata.
GM: Be’, c’è molta, effettivamente troppa arte elevata; ecco perché abbiamo creato Fluxus.
LM: Paragona Fluxus a…
GM: E l’arte elevata?
LM: E l’arte elevata oggi.
GM: Prima di tutto l’arte elevata è altamente commercializzabile. Puoi vendere un pezzo per mezzo milione o per centomila, davvero molto commercializzabile. Seconda cosa i nomi sono nomi, anch’essi estremamente commercializzabili al punto che basta solo citarne uno perché tutti lo riconoscano tipo Warhol o Lichtenstein. Cita invece Ben Vautier o anche George Brecht: sono in pochi a conoscerli. Per arte elevata intendo qualcosa che si può ritrovare nei musei, e Fluxus nei musei non c’è. Fatta eccezione per il Beaubourg e questo grazie a Pontus Hultén; ma anche in questo caso gli oggetti Fluxus non sono stati inseriti nelle collezioni d’arte, ma conservati nella biblioteca, esattamente nella biblioteca dei documenti. Cosi nemmeno lui considera Fluxus un’arte, ma, al contrario, un documento.
LM: Ma questo non ti da fastidio?
GM: No, effettivamente mi fa piacere.
LM: E per quale motivo ti lusinga?
GM: Perché il nostro intento non è mai stato quello di essere arte elevata. Siamo nati per essere un manipolo di burloni. Un paio di volte ho dato la seguente risposta a un banchiere che mi fece una domanda durante un colloquio per la richiesta di un mutuo. Chiesero a Bob Watts qual era la sua professione e questi rispose di essere stato professore per 25 anni. Quindi chiese a me cosa avevo fatto e cosa facevo, al che “Faccio scherzetti”. “Oh”, rispose, “Non farai uno dei tuoi scherzi con questo mutuo no?” (ride).
LM: Quanto poco ti conoscevano (ride).
GM: Prendiamo i nostri primi manifesti, quando erano ancora seri come nel primo o nel secondo anno. Erano tutti una specie di manifesto anti-arte e tutti tendevano a indirizzarsi contro quelle forme di arte che ognuno praticava. Come vedi ogni cosa è connessa a John Cage. Quando diceva che è possibile ascoltare i rumori della strada e contemporaneamente vivere quest’esperienza come se fosse arte, ecco che non si ha più bisogno dei musicisti per comporre la musica. Ascoltando i rumori della strada ognuno può essere il proprio musicista. Se si riesce ad avere un’esperienza dell’arte attraverso l’esibizione di George Brecht che accende e spegne in sequenza una lampadina, allora tutti siamo artisti no? Si elimina in maniera totale l’artista inteso come professione. Se all’esperienza della vita quotidiana, ai ready-made di tutti i giorni, si potesse sostituire l’esperienza dell’arte, si eliminerebbe in maniera definitiva il bisogno degli artisti. Vorrei aggiungere inoltre che sarebbe certo bellissimo riuscire a percepire l’esperienza dell’arte attraverso una sedia. In questo caso si avrebbe un’ottima sedia oltre a un’esperienza artistica nel momento in cui ci sediamo. Si prenderebbero due piccioni con una fava oltre a non aver bisogno di artisti, anche se in questo caso non potremmo fare a meno di una sedia.