Baruchello (Livorno, 1924) ritorna nella città dove ha vissuto i suoi primi sette anni fondamentali per la formazione dell’inconscio. Una città che nasce assieme allo sviluppo del lobo destro e sinistro della sua coscienza.
Qualche giorno fa sulla salita per Montenero ritrova una sua casa d’infanzia, il cancello del giardino, il bolide di Tazio Nuvolari durante un rally voluto da Ciano, il casamento con la finestra ad angolo di fronte al mare che fingeva con i suoi fratelli la prua di un bastimento in mezzo alla tempesta. Poi “la scuola, la paura di essere lasciato solo, l’autista di mio padre che mi portava all’asilo”.
Universo olografico e sottrazione. La memoria per la scienza e la fisica quantistica è come un lettore di ologrammi. Se nel taglio di una foto sottraggo all’intero una porzione un minuscolo frammento di ologramma mantiene intatta l’intera informazione mancante. Eppure Baruchello rispetto all’ologramma sembra operare inversamente. Per sottrazione. In procédés personali e quasi rousselliani decostruttivisti. Predilige la parte all’intero sostituendolo talvolta con un suo inventario.
Anonimi. Nel suo ultimo lavoro recupera uno schedario poliziesco conservato a Livorno nell’Archivio di Stato – Fondo Questura, inventario n.1483, serie A/8. È dei primi anni Cinquanta. L’allagamento degli scantinati ha sottoposto questo raccoglitore fotografico a un processo di corruzione irreversibile immerso in acque nere putrescenti che ne hanno disperso le informazioni. Un restauro ha cercato di fermarlo. Baruchello si sofferma in ogni caso sulle immagini più devastate sedici fototessere di persone sorvegliate controllate spiate, forse attivisti soggetti di oscure delazioni forse appartenenti a partiti politici ritenuti allora sovversivi.
Lo schedario è un monumento occulto dello stato, allo stato alla scienza poliziesca militare disciplinare. Se un monumento è celebrato nel marmo i volti residui di questi ritratti mostrano ben altre screziature. I loro visi sono cottolenghi cartografici, appartengono alla corruzione della carta dei sali d’argento, sono solcati da venature serpentine. Matasse nere filiformi sostituiscono i visi, le loro identità ridotte a presenze larvali maculari corpuscolari.
Rudera. Il rudere è la parte di un tutto perduto. Il frammento di un edificio un tempo integro la cui scomparsa lascia posto all’immaginazione.
Se l’immagine fotografica è sempre un essere stato, queste foto dei sorvegliati sono ruderi di immagini. Manifestano mancanza, un loro non essere più, un tornare cosa.
Rudere può essere un linguaggio monco, un discorso incomprensibile, lo scarto tra parola e denotato.
Cosa si contempla di un rudere? Una sorta di sconfitta della vita?
Carico Massimo. A Livorno espone in un ex magazzino della vecchia dogana d’acqua di cui restano residui. Fuori della soglia raccoglie nelle buste tipografate arancioni di un archivio, chicchi di pepe, chiodi di garofano da un sacco di iuta e cannella da una vecchia cassa protetta da carta di giornale con ideogrammi cinesi, pubblicità di cinematografi di Singapore degli anni Settanta.
La mostra procede all’interno con una sorta di contrappunto. Da un lato i ritratti-lacerto dei sorvegliati disiecta membra da sala anatomica, da museo, da cimitero. Dall’altro la registrazione sonora di un discorso di Gramsci a Livorno pubblicato su L’Ordine Nuovo del 1921. Da questa orazione dal suo impeto rivoluzionario si origina il Partito Comunista Italiano.
Baruchello opera su questo discorso. Ne elide le giunture gli articoli le connessioni. Il testo di risulta viene quasi salmodiato, sussurrato. Ecco. Ciò che è stato scritto ritorna recitato. Ciò che è perso ritorna da fantasma revenant. Se ne rileggano le parole: classe operaia italiana emancipare classi oppresse sfruttate capitalismo sistema forze rivoluzionarie…
La sua luce spettrale è il suo barlume di utopia che ormai dissolta sfigurata a livello politico ritorna come murmure come altro.
A Livorno si opera una congiuntura ortopedica tra memoria personale e collettiva.
C’è il ritorno a un’origine, al progetto moderno di emancipazione sociale umana prima del suo fallimento. Prima che il mondo diventasse campo.
Se ogni particella dell’esistente rimanda a una totalità Baruchello si sofferma di fronte alla storia interrogandone il senso con la difficoltà di intravederne uno. Si può credere nella capacità del frammento di conservare il tutto?
Si interroga: “Cosa manca quando hai davanti un frammento?”
Questi volti sfigurati sono cose, oggetti in meno. Buchi neri la memoria il linguaggio la nuda vita. Ma è silenzio afasia congedo? Oppure c’è qualcosa che si libera, che finalmente nasce?
L’universo quantistico appare un infinitesimo acquario dove ogni singola parte al suo interno è in contatto. Baruchello si sofferma al bivio del frammento. Ne contempla le macerie la penombra l’opacità il distacco. Tutto diventa potenzialmente soggetto a riduzione, a perdita, frammentazione. Nel medesimo tempo, se il frammento è il padre, la madre è il tutto.