“Nel giocare con le cose (quel gioco serio e disinteressato che fanno gli artisti), per un motivo in parte di ideazione in parte di scoperta fortuita, può succedere che esse (le cose) diano vita a quella figura fuori di noi che apre l’occhio dentro di noi. In questo momento l’occhio interiore si rivela davanti a noi: è come se avessimo trovato qualcosa di smarrito da tempo e per questo ci sembra familiare; è come se quella figura costituisse subito la nostra immaginazione. Tutte queste sensazioni le chiamiamo stupore.”
Parole di Gianni Caravaggio, perfette per riflettere e rivedere la ricerca in mostra nella sua personale e in quelle di Francesco Gennari e Alice Cattaneo. Questi artisti appartengono, più o meno, alla stessa generazione, e tutti e tre sembrano dare “figura” all’immagine evocata. Colpisce l’idea di paesaggio di cui parla il titolo della mostra di Francesco Gennari, “Tre autoritratti e un paesaggio”, presso la Galleria Zero… Non c’è quarto elemento, ma un’alternativa unica all’autoritratto, che non può passare inosservato e non attirare l’attenzione. La loro presenza in quanto artisti creatori è sempre presente e inevitabile, ovviamente. Del resto, a proposito del lavoro di Francesco Gennari e Gianni Caravaggio, si è parlato molto della dimensione di artista demiurgo, artista artefice. Lo si è fatto meno con la ricerca di Alice Cattaneo, sebbene la dimensione performativa e di regia nel suo lavoro sia un dato imprescindibile, adesso forse più di prima. Il “Paesaggio” di cui parla Gennari è la stampa fotografica in bianco e nero di un precedente lavoro La degenerazione di Parsifal (Natività), che si trasforma qui in immagine-sintesi di metafisica, natura e architettura. Davanti al paesaggio stanno tre autoritratti che ci assicurano che il demiurgo non si è allontanato: è cerchio di acciaio inox che prende vita dal verde, liquido, fresco, dello sciroppo di menta; è triangolo in marmo nero (lapidario) sul quale lo spirito dell’artista è (o era) il distillato forte e incolore del gin; è stella solare con il suo cappotto di loden e il maglione arancione, illuminante e illuminato misteriosamente. Per Caravaggio, in Due lune con stupore, opera esposta presso la Galleria kaufmann repetto, le tracce della mano dell’artista su una forma ovoidale in marmo bianco si trasformano in diverse fasi lunari, a seconda della riflessione della luce, mentre è sempre la presenza/assenza dell’artista a creare attraverso un gioco metafisico la sintesi visiva tra la due manifestazioni della materia stessa (il marmo e la polvere). Tra la dimensione esistenziale (e non solo) del finito e quella più impegnativa dell’eternità in Spargere le proprie ceneri.
Alice Cattaneo con le sei installazioni sospese, a terra e a parete, giocate con leggerezza e con studio prospettico nei tre spazi della Galleria Suzy Shammah, ha la forza anche materica e materiale (l’artista utilizza elementi più rigidi come il ferro e forme più essenziali e geometriche) di inscenare un senso di disequilibrio più complesso e paradossalmente più razionale.
Una razionalità che gli artisti sembrano in qualche modo volere e riuscire a “tenere in mano”, come fili invisibili di direzione e di senso; come i fili gialli e arancioni delle installazioni Tessitori di albe e Tessitori di tramonti di Gianni Caravaggio: il sempre nuovo, il sempre uguale del sole. Come di ogni giorno, di ogni esistenza.