While my body’s in prison, heart cells alone / have multiplied. My bones are merely bored / with all this waiting around. But the heart, / this child of myself resides in the flesh, / this ultimate signature of the me, the start / of my blindness and sleep, builds a death crèche.1
Sono adolescenti i protagonisti del microcosmo creato da Giuliana Rosso per l’ultima stanza della personale “Bored Bones” a cura di Treti Galaxie presso The Address a Brescia. Il titolo della mostra riprende dei versi di Anne Sexton, poetessa statunitense morta suicida nel 1974, a quarantacinque anni. Si tratta di versi che riflettono sulla complessità dell’esistenza e il pensiero assillante della morte. Le sagome di carta di questi adolescenti dal sesso indefinito fluttuano come anime tormentate alla ricerca di risposte a una condivisa frustrazione esistenziale. Gli sguardi smarriti e le posture stanche ne rivelano tutta l’inquietudine, così come le loro ossa – rese visibili come in una radiografia, permettendoci di accedere a un’intimità ancora più profonda –che in un processo di umanizzazione hanno assunto dei volti, anch’essi irritati e annoiati. Sotto le tonalità brillanti di verdi, gialli e rossi si cela l’inquietante disagio adolescenziale – colto perfettamente dalla figura dell’Incontinente (2023), immortalato mentre si urina nei pantaloni.
Nell’installazione site specific che apre la mostra, il tema adolescenziale è calato in una dimensione più domestica e quotidiana. Realizzata in carta – materiale con cui l’artista riesce a esplorare la profondità dell’inquietudine dei personaggi –, l’installazione si compone di due parti: Resta fosforescente e Luccicante come acqua (entrambe del 2023) e ricrea un ambiente dai contorni indefiniti, dove realtà e immaginazione si fondono creando uno spazio onirico, un sogno che si è fatto realtà. In Luccicante come acqua, uno spazzolino è stato da poco utilizzato e lasciato all’interno dal lavandino, in un momento sospeso che è tutto ciò che rimane del passaggio di una presenza umana. Le piume che ricoprono lo spazzolino – ma anche quelle che escono dalle tubature che percorrono la parete – sfidano la normalità domestica presentandosi come elemento spiazzante che ci fa dubitare del confine tra ciò che è reale e ciò che non lo è più. Il dialogo tra realtà e fantasia è ribadito da Resta fosforescente, la scultura di un giovane coperta da piccole figurine di Pokémon e Digimon realizzate con la Fabbrica dei mostri, uno dei giocattoli più ambiti negli anni Novanta. Il verde acido della carnagione della figura maschile insinua ancora una volta una presenza inquietante sotto una superficie apparentemente giocosa data dalla brillantezza del colore.
Il confine labile tra realtà e immaginazione viene completamente meno nella sala di Abisso (2023), l’installazione site-specific che, dati i suoi volumi complessi, ha tenuto Rosso impegnata per un anno intero. Gli spazi della galleria ospitavano in origine una banca: le stanze hanno una disposizione particolare, le pareti sono spesse e, in questo caso, la presenza di una struttura in legno – probabilmente per gli scambi di denaro – ha reso difficile il lavoro di misurazione dello spazio. Abisso ricostruisce una camera da letto. Le aperture della struttura di legno sono chiuse da pannelli di carta che emulano parti dell’arredamento da cui emergono due letti realizzati in carta da spolvero – più leggera del cartoncino, ma più pesante della carta normale. Il primo letto è vuoto, ma le pieghe delle lenzuola lasciano intendere che qualcuno si sia appena alzato, lasciando solamente delle creature, un polpo e un granchio “pacifista”. Sul secondo, invece, un adolescente sembra essersi appena svegliato da un incubo, ma i mostri inquietanti che popolano la superficie delle lenzuola rendono di nuovo ambiguo il limite tra realtà e sogno – se fosse la vita reale il vero incubo?
Il tutto avviene sotto lo sguardo severo di una figura – di cui è impossibile decifrare il sesso o la provenienza – che si aaccia sulla scena dall’arco in fondo alla sala. L’arco chiude il passaggio tra la sala e gli uci della galleria, ma apre lo spazio a un mondo altro. La figura ci osserva come se fossimo pedine all’interno di un gioco, componenti di una casa delle bambole. Ancora una volta, allora, mettiamo in dubbio quello che abbiamo davanti agli occhi: stiamo sognando o siamo prigionieri dell’immaginazione dell’artista?