Letizia Ragaglia: Abbiamo passato delle belle avventure insieme o forse è meglio dire che vi ho cacciato in un bel guaio con la mostra “Group Therapy” a Museion di Bolzano, dunque non poteva mancare una sorta di conversazione a tre su Flash Art! Ormai ci conosciamo da molto tempo, eppure il vostro lavoro continua a rinnovarsi e a divertirmi. Voi che somma tirate da 10 anni di goldiechiari?
Goldiechiari: Se non ci siamo divise quest’anno dopo tutte le pressioni legali e mediatiche potremmo continuare a lavorare insieme ancora per parecchio tempo. Almeno finché la legge non ci separi! Dal nostro punto di vista, la somma è in attivo. Essendo il lavoro inscindibile dalla nostra collaborazione, questi 10 anni ci hanno permesso di cambiare molto sia nella ricerca sia nella visione e nel linguaggio condiviso.
LR: Nel panorama artistico italiano non ci sono molti artisti che lavorano su un filone che potremmo definire di “impegno socio-politico”. Voi avete saputo rinnovare questo soggetto con una buona dose di ironia, cercando di non dare mai nulla per scontato. Com’è il vostro approccio a nuove tematiche sulle quali scegliete poi di incentrare il vostro lavoro? Nasce da assidue discussioni, da indole, da precise committenze o altro?
G: Effettivamente, quando iniziammo a lavorare era un filone piuttosto marginale mentre oggi sembra che molti giovani artisti ne siano attratti. Per noi la politica e la storia italiana nello specifico sono fonti inesauribili di interesse e ispirazione. Materia grezza e di ricerca da sfruttare come cassetta degli attrezzi. Tra questi l’ironia è un’arma che non risulta quasi mai retorica ed esercita il nostro spirito critico, speriamo anche quello altrui. Diffidiamo sempre dagli individui e dalle culture che mancano di senso dell’umorismo. Nel lavoro e nella scelta di nuove tematiche procediamo prevalentemente per serie, come nel caso di “Bucoliche” ed “Enjoy”. I tempi di realizzazione sono molto lenti. C’è una lunga fase di ricerca, assemblaggio, discussioni e trattative tra noi per approdare alla sintesi finale.
LR: Enjoy, l’enorme sex toy avvolto di luce rossa recentemente esposto al Festival di Santarcangelo (Rimini), oppure le lettere cubitali in cemento che compongono la scritta “Welcome” sulle quali troneggiano vetri rotti per rinviare alla difficile accettazione dell’altro in tutte le sue declinazioni sono opere formalmente molto forti. In molte altre opere avete rielaborato delle iconografie assai note della storia dell’arte. Quanto conta l’estetica nel vostro lavoro? E ancora: da dove nasce l’esigenza di giocare con un repertorio di immagini indissolubilmente legato a certi contenuti?
G: L’estetica è un gioco di seduzione con la/lo spettatrice/tore. Ha lo scopo di attrarre e di incuriosire. Facilita l’accesso al percorso a ostacoli che ciclicamente proponiamo al pubblico. Simile è il detournèment di iconografie familiari. Il riconoscimento spontaneo dello spettatore e la familiarità con immagini note della storia dell’arte con simbologie quotidiane o conflittuali ci permette di essere accolte più facilmente. Il nostro modo di vedere le cose è influenzato da ciò che sappiamo e crediamo, dalla contemporaneità nella quale viviamo, dal luogo di appartenenza, dal genere, dalla classe sociale e da molte altre differenze che ci caratterizzano. È questa prospettiva naturalizzante che ci interessa interrogare e se possibile modificare. Come con una capriola si riesce a guardare ciò che ci circonda tutto al contrario.
LR: Fino a oggi nel vostro percorso avete affrontato anche molte commissioni, ovvero lavori da realizzare per specifici progetti, per mostre, per concorsi. Ricordo i lavori realizzati, per così dire, “insieme”: la sedia vibrante nell’ex dopolavoro ferroviario di Manciano, le api incastrate nel filo spinato della Emergency Biennale, i sacchetti di plastica che galleggiavano come pseudo-ninfee d’après Monet sulla recinzione del cantiere del nuovo museo di Bolzano e infine Confine immaginato, l’opera poi sequestrata durante la mostra “Group Therapy”. Come procedete quando dovete pensare a un lavoro per una specifica situazione? Considerate in maniera ancora più forte il vostro pubblico? Vi interessa provocare (ebbene sì, usiamo il tanto deprecato verbo del XX secolo!), pungere lo spettatore?
G: La prima cosa che valutiamo sono i soldi. No, non è vero! Anche se non abbiamo capito perché è così sconveniente parlarne per un artista. Il nostro rapporto con lo spazio è ossessivo. Difficilmente se riceviamo una commissione arriviamo a visitarlo con un’idea preconfezionata sul da farsi. Studiamo il luogo, il contesto, la storia e infine il pubblico. È accaduto che un lavoro mutasse dall’Italia agli Stati Uniti. Welcome è stato presentato nel 2004 a Milano con pezzi di vetro rotti sull’estremità di ogni lettera. A New York li abbiamo eliminati. In quel contesto non aveva lo stesso senso, non rientrava nell’immaginario americano di confine o sbarramento. Se s’intende provocare come suscitare, causare, scatenare, indurre e stimolare, la risposta è sì, ci interessa pungolare lo spettatore. Attraversare territori pericolosi è attraente. Ma la provocazione fine a se stessa senza un percorso è puro sensazionalismo spettacolare.
LR: So che l’argomento è un po’ “off limits”, ma chi ha seguito la questione del sequestro dell’opera Confine immaginato sarà curioso di conoscere lo stato delle cose e il vostro attuale stato d’animo a riguardo. Magari avete anche voglia di fare un riassunto della storia a chi non è informato?
G: A proposito di mancanza di umorismo… Nel settembre 2006 abbiamo presentato l’installazione audio Confine immaginato che si attivava con l’ingresso del visitatore/trice nel museo di Bolzano. Il sonoro riproduceva con campionamenti di scrosci d’acqua e sciacquone l’inno italiano Fratelli d’Italia. Si trattava di una metafora sgangherata e casalinga della frontiera nazionale. Come scrive Marco D’Eramo nella prefazione del libro Comunità immaginate di Benedict Anderson, dal quale abbiamo tratto ispirazione, “nel momento in cui si esamina come ‘artefatto culturale di un particolare tipo’, cioè come prodotto, quel che invece esige di essere pensato come dato, si desacralizza quello che pretende di essere riverito, si laicizza quello che si pone come un destino”. Dopo un mese, AN, nella persona di Alessandro Dell’Urzì, ha denunciato il fatto alla Procura della Repubblica che prontamente si è prodigata nel sequestro del pericoloso CD masterizzato. L’accusa: vilipendio alla bandiera e altri simboli dello Stato. Dimostrato in aula che l’inno, essendo sonoro, non è un simbolo e non è tutelato formalmente in quanto provvisorio, si è proceduto col riconsegnare a Museion il lavoro. Dopo una settimana Confine immaginato viene risequestrato con l’accusa di vilipendio al popolo italiano. Nell’udienza di fronte a un enorme affresco del Giudizio Universale abbiamo spiegato ai giudici il lavoro, alcune nozioni base di arte contemporanea e cercato di difendere la libertà d’espressione artistica. Ma evidentemente non siamo state molto convincenti visto che il lavoro è ancora sotto sequestro e noi come persone fisiche indagate penalmente. Nonostante l’impegno economico e mentale che ci ha procurato questa vicenda pensiamo che il lavoro abbia messo in luce degli aspetti paradossali e immutabili del confine nazionale e quindi per quanto ci riguarda ne è valsa la pena. Inoltre non possiamo che ringraziare tutti quelli che ci hanno sostenuto, per arrivare all’attestato di solidarietà dell’AMACI e al dibattito organizzato da Museion per la difesa della libertà di espressione.
LR: Per goldiechiari 2008 cosa ci dobbiamo aspettare?
G: Stiamo lavorando a un breve musical con protagonista la ballerina svedese Lotta Melin e a una nuova serie fotografica.