Laura Cherubini: Ci può parlare dei suoi esordi nell’ambito della dialettica tra Informale e Azionismo viennese, movimento di cui lei è stato grande protagonista?
Günter Brus: Ho iniziato con grandi quadri informali intorno al 1960. In seguito, sono stato chiamato al servizio militare e per un anno non ho potuto fare nulla. Nel frattempo altri artisti si erano portati avanti con l’Azionismo e quando sono tornato mi sono trovato in questa dinamica di cui era teatro la Perinet Keller, uno scantinato che ci faceva da palcoscenico. Dopo il militare ero depresso, fumavo, bevevo, Otto Mühl mi ha salvato dicendo che mi facevo del male. Mi ha presentato il regista Kurt Kren al quale ho proposto di filmarmi mentre mi dipingevo. Nel 1962 ho conosciuto mia moglie Ana e anche lei ha cominciato a collaborare con me, nel ’63 si è trasferita a Vienna.
LC: Per lei l’azione nasce dalla pittura.
GB: Ho lasciato da parte la tela e ho cominciato a dipingere me stesso. Poi anche nell’azione con Ana entra in gioco il corpo.
LC: Qual è il significato della performance allora e ora?
GB: Allora il termine performance non esisteva ancora, si usava “azione” e in USA si usava “happening”. Ho eliminato il discorso pubblico, ma altri lo facevano.
LC: Rispetto all’happening nella performance c’è una drammaturgia maggiore.
GB: Schwarzkogler tendeva soprattutto alla foto, in questo senso era più statico; il mio lavoro invece aveva più affinità con la danza, con l’idea di un corpo che si muove nello spazio. C’era chi era più teatrale, mentre Mühl lavorava con la modella, come si usava per il nudo nelle accademie.
LC: La performance oggi ha un futuro e una specificità diversa da quella che lei stesso e altri artisti avete praticato da pionieri?
GB: No, non credo. Piuttosto vedo un futuro per gli attivisti politici. Penso alle Pussy Riot in Russia. Vedo l’azione in questa chiave. Con Ana abbiamo visto un documentario su Mosca e siamo rimasti molto colpiti da un artista performativo che si è messo nudo davanti al Cremlino e si è inchiodato i genitali al pavimento. Inoltre si è cucito le labbra, scritto frasi sulle mani e infilato nudo in una ruota chiodata. La polizia non poteva tirarlo fuori perché si sarebbe lacerato, così hanno dovuto tagliare la ruota.
Ana Brus: Lui e i suoi seguaci hanno detto che il potere non può far nulla contro un corpo nudo, già ferito dal potere. Questo si ricollega al discorso dell’Azionismo come azione politica. Siamo stati molto colpiti da questa frase: il potere non può ferirci di più. Noi non ci eravamo ancora arrivati a definire l’Azionismo in questo modo.
GB: Si può per certi versi paragonare la situazione a quella di Vienna allora, anche se non si trattava di un regime totalitario.
AB: C’era la polizia per strada, non si poteva fare quasi nulla…
GB: Bruno Kreisky è stato il primo a migliorare la situazione, dividendo mondi un tempo uniti: il potere politico e religioso nella Vienna del 1965. Un po’ come Putin ora in Russia…
AB: Sarebbe fondamentale che le nazioni confinanti dessero voce e visibilità a questi azionisti. Il documentario sulla Russia di cui parlavi prima affrontava più temi, tra cui quello dei “bambini-soldati” di Putin, bimbetti di 8-9 anni che vengono mandati con orgoglio dai propri genitori alla guerra… Probabilmente nel mondo ci sono tante azioni che hanno poco riscontro. È molto importante parlarne, è un dovere che la questione diventi pubblica.
GB: Nell’Azionismo c’era tensione rivolta all’estetica, alla cultura. Non era azione politica, ma anarchica. Gli azionisti russi oggi invece sono contro Putin, la chiesa… Le Pussy Riot le conosciamo per quel che abbiamo visto, ma la cosa importante sarebbe conoscerne i testi.
LC: Oggi Roman Grabner (curatore della mostra “Against the Light. Günter Brus and Franz Graf” al BRUSEUM, il museo a lei dedicato dalla città di Graz) ci ha parlato del suo “esilio” a Berlino e di come nei suoi disegni la figura di un uccello (il tordo) cominciò a diventare simbolo di questa condizione.
GB: Sono stato arrestato e rilasciato perché la prigione era piena. Mi hanno dato il permesso di restare a Vienna, ma non quello di lasciare la città, in attesa di essere destinato a un’altra prigione. Sono scappato con Ana. L’arresto era nato dall’azione Kunst und Revolution in università con la motivazione che veniva deriso l’inno austriaco. Era una provocazione contro l’interferenza della politica nella cultura e non l’hanno sopportato. È vero che ci sono tanti giochi di parole con il nome di questo uccello nel mio lavoro, ma non è un simbolo di questo fatto. È stata un’interpretazione dell’altro artista, Graf.
LC: Ci può parlare di quell’importante momento di transizione in cui dall’azione torna alla pittura e al disegno?
GB: Ho fatto l’ultima azione a Monaco nel 1970. Tutto il percorso di lavoro, ma in particolare quest’azione, è stata una sfida anche corporale con noi stessi. L’azione di Monaco è stata così estrema che ho pensato che non avrei potuto andare oltre e così ho deciso di smettere. Da questo tipo di azione hanno preso spunto Gina Pane, Marina Abramovic e Valie Export.
AB: Valie Export ha iniziato e proseguito parallelamente a Brus, poi sono arrivate le altre.
GB: Valie Export era allora l’unica artista donna viennese e ha iniziato a fare queste azioni, non avevamo comunque contatti assidui.
LC: Dunque lei chiude la pratica della performance nel 1970, ovvero quando altri iniziano, ed è allora che riprende la pratica del disegno?
GB: Dopo queste azioni ero arrivato al limite. Non sapevo come avrei proseguito. Ho pubblicato un paio di riviste ma non era sufficiente. Una casa editrice di Francoforte mi ha chiamato per pubblicare un libro riassuntivo del lavoro. Ho iniziato Irrwisch: ho disegnato la copertina, documentato azioni, inviato testi, foto e disegni. Quando ho mandato le prime trenta pagine il direttore ha chiamato e ha chiesto solo testi e disegni. Ho risposto: è quello che voglio fare, dedicarmi solo al disegno. Contemporaneamente lavoravo a disegni fin troppo poetici. Nei disegni potevo far proseguire l’azione.
LC: Grazie all’impostazione che è stata data al suo museo, mostrare cioè gruppi di sue opere insieme a quelle di altri artisti, si apre un suo rapporto con generazioni artistiche anche più giovani. Può parlarci di queste collaborazioni?
GB: La mostra “Brus e i suoi amici” riguardava lavori a quattro mani con i miei compagni di strada, Mühl, Rainer… e con artisti contemporanei che rispetto e con i quali mi diverto a collaborare. Per “Brus e i suoi amici” ho scelto io con chi collaborare. Invece Franz Graf e l’artista della prossima mostra, André Tomkins, sono stati proposti da Peter Pakesch. La prossima mostra invece riguarderà i miei lavori nelle collezioni di Graz e della Stiria.
LC: Può parlarci del suo rapporto con la scrittura, che è forte, e delle relazioni tra gli scritti e i disegni?
GB: Già dai tempi della scuola avevo talento per la letteratura, il direttore diceva: “Abbiamo un poeta in classe”. Nel periodo dell’Azionismo avevo lasciato da parte questo aspetto, ma è una componente importante. In Bild-Dichtung un libro viene esposto a parete. Disegno e scrivo, ma quello che disegno non è illustrazione di quello che scrivo, hanno la stessa aura, ma sono dotati di autonomia. Anche Kubin aveva illustrato i suoi testi, ma mi ha ispirato soprattutto William Blake. Ho dovuto affrontare la forza della pittura lasciandola da parte, per trovare linguaggi più affini.