A volte si ha l’impressione che a questo punto non ci sia più niente da giustificare. L’arte è diversa, super-soggettiva e lacerata alla deriva di ogni principio vincolante ed è questo il modo in cui dovrebbe essere. L’alternativa è un grande racconto che esclude possibilità e differenze da elaborare eccessivamente. La domanda resta, cosa può fare un artista all’interno di questa prospettiva di posizioni multiple — in particolare se si ha l’impressione che la progressiva ideologia collettiva possa avere alcune aderenze nel profondo del cuore del fare arte contemporanea? Ma se gli artisti si rifiutano di divenire parte di un processo di dialogo continuo e di discussione e se sono disinteressati nel proporre soluzioni collettive in maniera didattica, allora come possono produrre un lavoro che dimostri scetticismo ed entusiasmo in egual misura? C’è la possibilità di una pratica artistica semi-autonoma dove, all’interno di tutta questa diversità, possiamo trovare tracce di un codice che può condurre a un’arte che ha legami con l’eredità della critica modernista. Questo comporterebbe entusiasmo per i vari linguaggi del Modernismo, affermazioni universali, realizzazione democratica e desiderio di riconoscere la differenza e l’unicità all’interno di una cultura che realmente richiede nuovi modelli di sapere collettivo. Forse questo è tutto complicato da un’assenza collettiva di coscienza, che vuol dire una perdita collettiva di memoria in relazione al perché possa essere stato utile in primo luogo per sbarazzarsi degli orpelli, fare cose oneste e produrre un senso razionale degli oggetti, delle persone e delle varie relazioni. Se abbiamo perso le nostre direttrici sul perché le cose debbano essere meglio, quali sono gli artisti a cui possiamo essere affidati? Qualcuno che chiaramente dimostra un desiderio di standard alti ma è obbligato a riflettere il collasso di credere al cuore di una critica di posizioni moderniste. Potremmo andare incontro a una serie di delusioni e perdita di fiducia. È questo ciò che Heimo Zobernig propone, rafforza o riflette? Oppure è qualcosa che ha a che fare con il senso corrotto di un momento in cui si crede che le cose diventino migliori. Come spettatori, naturalmente, ci aspettiamo di capire qualcosa e accettare le cose nella maniera in cui esse sono, ma dovremmo in questo caso trovare cose in un certo senso opache. Zobernig però rifiuta di essere più di ciò che noi offriamo. Se lo spettatore indietreggia e aspetta di essere intrattenuto, anche Zobernig indietreggia e restituisce quel poco che riceve. Se lo spettatore decide di aspettare le cose nel modo in cui egli le presenta, allora lascia tracce di possibilità, strutture dal passato, lo scetticismo del presente e una losca creatività. Per questo siamo di fronte a una pratica artistica onesta e, nel momento in cui voltiamo le spalle al lavoro, essa ci tormenta per proporci ciò che dovrebbe essere meglio. Sarebbe più efficace, a questo punto, proporre qualcosa di più preciso? Una struttura documentaria, per esempio, che ci sveli ciò che già conosciamo? Oppure potrebbe essere più elegante dire di più sulla storia del lavoro di Heimo, le collaborazioni occasionali e la percezione di “tutto ma niente è possibile”. Questa è arte che ha sempre avuto inizio nel punto in cui altre finiscono. Non parte con una vanità che oggi suggerisce al lavoro di essere più di ciò che è possibile. È urbana e a disagio. È il lavoro di un artista che rifiuta di pretendere che egli conosce meno di ciò che realmente conosce. Mi ricorda di quando in un laboratorio in Irlanda il ricercatore capo mi disse che stava “giocando con i plasma” ma era chiaro che questo gioco ha avuto luogo all’interno di un sistema di codici e conoscenze e potenziale e rassegnazione.
Solo perché l’ideologia modernista è implosa non significa che un artista deve fermarsi e ritornare ad altri fatti per occupare gli spazi che sono progettati per l’arte. Potrebbe essere un buon momento per discutere l’esposizione, l’architettura, il Modernismo e l’idea dell’artista come uno stupido illuso. Ma poi ancora, quando collochi il lavoro di Zobernig in contrasto con altra arte — anche quella che mostra un’espressione infinita del personale — le cose diventano complicate. Perché egli ha consistentemente assegnato e mostrato a noi un’inconsistente relazione per concretizzare i potenziali nell’arte contemporanea. Egli lavora in serie, ma non importa; genera luoghi da occupare ma non controlla la discussione; ci mostra immagini che suggeriscono cosa fare quando non c’è alternativa. Invece di indietreggiare verso mondi paralleli o verso un’onesta rappresentazione del suo lavoro, resta radicato in un reale scetticismo che pervade l’arte contemporanea. Questo è il soggetto, la sua metodologia e il suo potenziale unico. Siamo invitati a speculare su quello che un artista può fare ora che siamo coinvolti in una proiezione di idee che non possono mai corrispondere al fallimento dell’arte in relazione ad altre strutture. Con il lavoro di Heimo Zobernig percepiamo sempre che dovremmo anche noi arrenderci ma, nel frattempo, c’è un’altra possibilità, un’altra serie di punti finali, un nuovo modo di vedere la ridicolaggine di perseguire il ruolo dell’artista e un altro modo di affrontare il nuovo giorno.
Oppure possiamo metterla in un altro modo. Incontrerai delle strutture precise in galleria. Ogni cosa è stata pensata fino in fondo. Dove tu credevi non ci fosse modo di essere incluso, scopri che questa è una pratica che include tutto. Si scopre il modo, nel vero senso della parola, di rendere il piedistallo significativo come ciò che ci sta sopra. Il tavolo, la sedia, il manifesto, il testo. Tutte queste cose sono intrise di potenziale e trattate con eguale serietà essendo finite nel dimenticatoio. Se ci fosse stato detto, tanto tempo fa, che il potenziale primario dell’arte era di rappresentare con onestà la piega di un vestito o il piegamento di un braccio, allora forse Zobernig avrebbe fatto lo stesso nel corso di una fase post-moderna dove nuovi supporti, dettagli e soggettività richiedono rappresentazione e riconoscimento all’interno del discorso dell’arte contemporanea. Questo è ciò che potrebbe spiegare il suo potenziale duraturo: il fatto che ci mostri strutture e strumenti dell’altezza del Modernismo ma rifiuti di fare grandiose affermazioni sul suo potenziale. L’onesta sedia pre-consumista della teoria marxista è ancora quella sedia. Ma è naturalmente l’ultima comodità contro il surplus di capitale. Egli ci mostra quanto ridicolo e senza speranza fosse per gli scrittori del Manifesto pensare che certe forme potessero essere liberatorie. E allo stesso tempo resta ancorato formalmente al potenziale di qualcosa che si trova impercettibilmente lì. Un’estetica riduttiva che è al contempo onesta e pigra. Quando si arriva al punto di cercare di capire come continuare, Heimo Zobernig ti fa domandare perché dovresti esserti preoccupato di tutto questo. Per questo si preoccupava di come procedere prima che tu arrivassi al punto di pensare che alla fine potrebbe non esserci un prossimo passaggio. Egli ha trovato un modo per dimostrare, in una forma che è abbastanza comune nella musica contemporanea, che quando stai lavorando svogliatamente alla tastiera, può venire fuori qualcosa di nuovo, mentre il ritmo e la melodia sono parte di un linguaggio che è finito molto tempo fa. È come quando trovi un modo per continuare un progetto moderno quando era chiaramente stato cooptato dagli accademici e dalle persone che non hanno interesse nei suoi principi fondanti, ma sono innamorati del modo in cui riesce a creare uno scenario di idee fallite. Un modo è quello di proporre una nuova serie di scenari. E alcuni nuovi dettagli minori. Lasciare il design di cucine ad altri, perché la cornice che circonda l’arte è certamente crollata ed è stata resa muta, oppure è come una seriosa pietra fredda in un mattino dopo la notte prima.