Giorgio Marconi
Caro Giorgio, come riesci a convivere con un figlio, Giò, da molti considerato più bravo di te e con la sua programmazione, strana per la tua ottica e che contraddice una vita, la tua, spesa con un’arte diversa?
Caro Giancarlo, mi diverte molto, mi intriga e in fondo mi è utile farmi un’“analisi” avendo oltrepassato gli ottant’anni. Giò è certamente più bravo di me, è un professionista attento che lavora nel (suo) presente dedicando molta energia e tempo nel visitare studi e mostre degli artisti di oggi. Questo è il suo spazio. Inoltre conosce anche il passato prossimo e anche remoto perché è “di casa”.
Devo dirti che sono stato molto felice quando mio figlio, dopo aver fatto un paio di anni di esperienza in una galleria di amici a San Francisco e poi da Maeght a Parigi, ritornato a Milano aprì un suo piccolo spazio, lo Studio Marconi 17, rivolto al contemporaneo. Aveva deciso che quello era il suo interesse e lavoro. Non c’è contraddizione tra la sua vita e la mia.
Come giudichi e vivi le scelte di Giò? Ti senti estraneo a quel tipo di arte che lui presenta oppure in un certo senso ti stimolano?
Le vivo molto bene anche perché essendo io datato “1900-1990” ho modo attraverso mio figlio di conoscere altri artisti più contemporanei che non avrei il tempo di seguire e analizzare. In questi ultimi vent’anni sono cambiati il modo e i tempi di fare arte. Tutto è più veloce e poi si sono allargati i campi di ricerca e di analisi. In definitiva mi sento partecipe di quello che fa e che mi interessa.
Come ti sembra cambiato il mestiere di gallerista, visto che vivi il confronto e una sorta di concorrenza in casa? Che differenza c’è tra te e lui alla sua età?
L’approccio all’arte del passato prossimo (la mia) e quella attuale di Giò è uguale: vedere le opere, parlare sui “perché” con l’artista e valutare la possibilità di diffusione con le gallerie del settore. Sono due mondi vicini ma differenti.
Giorgio, oggi viviamo l’arte anche come star system, con artisti che hanno vita breve ma intensissima. Di grande successo, ma che entrano molto presto nel cono d’ombra della normalità. Mentre tu hai speso una vita con gli stessi artisti. Come giudichi il momento?
Troppo veloce… non si ha il tempo di analizzare le idee e le opere. E in più la grande Finanza, comprando case d’aste e luoghi di esposizione, velocizza e altera il giudizio sulla qualità. Più storia del costume, di “quello che passa” che espressione d’arte in libertà.
Giò Marconi
Giò, cosa ti comporta la convivenza, sia nel lavoro che nella vita privata, con un gallerista storico, come Giorgio Marconi, tuo padre, che nel bene e nel male ha caratterizzato la vita dell’arte milanese per oltre cinquanta anni? Convivere con Giorgio Marconi, ti dà o ti toglie qualcosa?
Convivere con un padre è sempre problematico. Soprattutto se si chiama Giorgio Marconi che ancora oggi, a ottanta anni, non molla di un centimetro. Però io ho imparato a convivere con il mio illustre genitore. E spesso a fargli accettare e anche piacere certe mie mostre. Al punto, ma non lo diciamo a nessuno, che lui è diventato uno dei miei primi e più affezionati collezionisti. Ma sapessi quanta fatica ho fatto! Però, se sono riuscito a fare tante cose, molto lo debbo a lui.
Come vivi le scelte artistiche di tuo padre? Condividi questa sua devozione e fedeltà storica all’arte degli amici che lo hanno accompagnato anche nella vita? Pensi che le scelte di tuo padre siano soprattutto scelte sentimentali?
Non dimentichiamo che io sono cresciuto e vissuto con Tadini, Pardi, Adami, Baj, ecc. Gli amici artisti di mio padre erano anche miei amici e maestri. E anche stimolanti uomini di cultura. Ma si sa, ognuno è legato al proprio tempo. Posso apprezzare Marlene Dietrich, ma meglio, molto meglio Lady Gaga.
Pubblico e collezionisti: il tuo pubblico è molto internazionale e i tuoi collezionisti sono inglesi, americani, libanesi, turchi, indonesiani… E italiani. Tu come hai vissuto questo mutamento rispetto alla clientela di tuo padre che era milanese e italiana? Che differenza c’è tra quel collezionismo storico di tuo padre e il tuo collezionismo?
Il collezionismo è mutato un po’ come l’arte. Un tempo, ricordo che i collezionisti arrivavano in galleria e chiedevano consigli a mio padre, un po’ come al prete. Ora arrivano da tutto il mondo e sanno tutto. Vogliono acquistare quell’artista e spesso quella determinata opera. Il livello di informazione e di preparazione di certi collezionisti spesso è devastante. Molte volte sono io che apprendo da loro.
Ma parliamo di te: come vivi l’attuale crisi del mercato italiano? Sfiora anche te? E chi sono i tuoi nuovi clienti? Come li raggiungi, attraverso le fiere oppure con rapporti personali?
Per fortuna con il tempo e grazie a certi artisti, sono riuscito ad acquisire un mercato internazionale, anzi, planetario. Si tratta di collezionisti che seguono la vita e le mostre dei loro artisti preferiti ovunque, da me a Milano o a New York o a Istanbul. Naturalmente le grandi fiere portano contatti nuovi molto importanti. In Italia per fortuna ho alcuni collezionisti che si muovono indipendentemente dalla crisi.
Tu lavori, a differenza di tuo padre, soprattutto con artisti stranieri. Mentre tuo padre trascorre la sua vita in galleria, come il prete sull’altare, mi disse una volta, tu la vivi a contatto con il jet set e in città lontane. Con quale criterio scegli un artista? Perché ti piace oppure perché capisci che avrà successo?
Partecipando a certe fiere e a contatto con le principali gallerie internazionali, sei obbligato a individuare gli artisti più significativi oggi. Ti assicuro che con un po’ di attenzione, non è difficile avere il meglio del panorama internazionale. Questi artisti spesso mi piacciono, altre volte li ritengo importanti, indipendentemente dal mio gusto personale.
Tu hai creato una sorta di network internazionale. Quali sono le gallerie straniere con cui hai un feeling particolare?
Neugerriemschneider, Berlino, Max Hetzler, Berlino, Petzel, New York.
Ma il mercato è in crisi oppure sta vivendo una stagione smagliante? Cosa ti dice la tua esperienza?
Nei paesi più liberali, dove il lavoro sull’arte e sugli artisti viene apprezzato e rispettato, dove le opere e i collezionisti si muovono liberamente senza essere perseguiti, il mercato è florido. Nei paesi dove lo stato è fortemente presente e pressante, come l’Italia, si fa molta più fatica.
Perché l’arte italiana è poco apprezzata all’estero? Veramente l’artista italiano è meno bravo?
Ma dove puoi vedere in un contesto internazionale l’artista italiano? E anche in Italia, se vuoi avere visibilità e un po’ di credibilità, non è facile mostrare artisti italiani, a meno che non si tratti di artisti storicizzati, come Fontana, Manzoni, Castellani, l’Arte Povera.